Dal 30 maggio al 2 giugno papa Francesco si recherà in Romania. Nel 1999 anche Giovanni Paolo II visitò quel paese. Nell’ottobre 1948, in pieno regime comunista, fu arrestata l’intera gerarchia greco-cattolica, furono imprigionati molti sacerdoti e moltissimi laici. I beni di quella Chiesa furono confiscati. Di 7 vescovi è stata introdotta la causa di beatificazione con la connotazione del martirio. Papa Francesco li proclamerà beati il 2 giugno prossimo a Blaj. La Chiesa greco-cattolica ha potuto riprendere il suo cammino dopo la caduta di Ceaușescu. C’è grande attesa per la visita di papa Francesco che ha voluto porre come motto di questo viaggio “Camminiamo insieme”. Riproponiamo l’intervista del vescovo Virgil Bercea concessa a Francesco Strazzari e raccolta nel libro “Le catacombe sotto il Muro. I cristiani dell’Est e la libertà ritrovata” (EDB 2015).
Virgil Bercea, vescovo di Oradea Mare dei greco-cattolici di Romania, è uomo di vasta cultura e di profonda spiritualità.
Nato nel 1957, quando la Chiesa greco-cattolica era già stata messa fuori legge in Romania, diventò sacerdote clandestino nel 1982 senza dire nulla ai genitori per proteggerli dalla paura e dalle sofferenze.
Ha lavorato a lungo con il cardinale Alexandru Todea.
– Quando i comunisti andarono al potere e diedero vita alla Repubblica popolare di Romania, che nel 1965 si chiamerà Repubblica socialista di Romania, vi furono vari tentativi di insurrezione antistalinista, repressi nel sangue. Il 1° dicembre 1948 la Chiesa greco-cattolica veniva soppressa. Contava più di 2 milioni di fedeli, con quasi 2.000 parrocchie, 2.500 chiese, 3 seminari. Come giudica quel drammatico periodo storico?
Io sono nato nel 1957. Ma, il vescovo Ioan Suciu, in una lettera d’incoraggiamento indirizzata ai giovani, scriveva: «La Chiesa di Cristo nelle terre romene è calpestata dai figli delle tenebre». E aveva proprio ragione: la Chiesa venne messa fuori legge, tutti i vescovi arrestati la sera del 28 ottobre 1948, poi un po’ alla volta anche i sacerdoti, i religiosi, i monaci e tanti laici. I comunisti riuscirono a incutere una paura tremenda e un terrore costante perché diffondevano false informazioni. I cattolici avevano tutti una grande colpa: quella di essere cattolici e per di più greco-cattolici e romeni. Era una manovra politica imposta da Stalin e, purtroppo, la Chiesa ortodossa si lasciò strumentalizzare. Negli anni successivi furono arrestati anche i vescovi latini e, allo stesso tempo, fu arrestata l’intellighenzia di spicco, gli ex ministri, i generali. Come istituzione, soltanto la Chiesa greco-cattolica fu messa fuori legge, annientata.
– È impressionante la storia della Chiesa greco-cattolica. Dal 1948 fino al dicembre 1989 ha avuto tanti vescovi imprigionati, 500 preti e 20-30 mila fedeli incarcerati. La Chiesa è vissuta e ha operato nella clandestinità. Com’era in quel periodo il rapporto con la Chiesa ortodossa e con la Chiesa di rito latino?
Le posso dare dei numeri più precisi: 12 vescovi furono incarcerati, praticamente tutta la gerarchia greco-cattolica; più di 500 sacerdoti, e non conosciamo il numero dei fedeli, praticamente obbligati a passare alla Chiesa ortodossa. Molti hanno resistito e si sono rifugiati nelle chiese cattoliche latine di lingua ungherese. La resistenza fu molto forte all’inizio e tanta gente non andava più in chiesa, ma poi si dovevano seppellire i morti, battezzare i figli… Comunque, è rimasta una frangia della resistenza molto cospicua di fedeli accanto ad alcuni nostri sacerdoti, che sono riusciti a sfuggire alla Securitate, la famigerata polizia segreta. Lavoravano e clandestinamente amministravano i sacramenti in un’intera zona; altra gente ascoltava la messa greco-cattolica alla Radio Vaticana e altri andavano dai latini. Tanta gente si è raggruppata attorno alle suore o a persone più preparate. Poi, quando nel 1964 i nostri sacerdoti e religiosi sono usciti dalle carceri, è cominciata una nuova fase di riorganizzazione della Chiesa clandestina. Persone che, nel 1948, avevano appena finito gli studi teologici sono state ordinate sacerdoti; giovani che studiavano all’università in parallelo studiavano anche la teologia con i nostri professori ritornati dalle carceri; si celebrava nelle case e negli appartamenti dei fedeli; si preparavano i bambini alla prima comunione; si celebravano matrimoni nelle case e si facevano le sepolture quasi pubblicamente. I nostri vescovi tornati dalle carceri erano assai coraggiosi. Tutti hanno riconosciuto nel vescovo Alexandru Todea il capo della nostra Chiesa, il quale fu creato cardinale nel 1992 da Giovani Paolo II. La vita della Chiesa era molto viva.
– Come visse la Chiesa greco-cattolica la giornata del 9 novembre 1989 quando cadde il Muro di Berlino?
Quel momento l’abbiamo appreso da Radio Europa Libera, che trasmetteva da Monaco di Baviera. La Romania dovette aspettare fino al 22 dicembre, quando Ceaușescu scappò. C’era nell’aria qualcosa, ma nello stesso tempo eravamo dominati dalla paura. Tutti sapevano, nessuno parlava. Tutti avevano paura di tutti. Era incredibile. Si sperava, ma non c’era alcuna certezza.
– Il 22 dicembre cade Ceaușescu. Si forma il Fronte. La confusione è totale. La Chiesa greco-cattolica chiede subito l’abrogazione dei due articoli del decreto del ’48: l’autoscioglimento della Chiesa greco-cattolica e la confisca dei beni passati alla Chiesa ortodossa. Inizia una campagna a tutti i livelli per ristabilire la situazione precedente il 1948 e si verificano grandi tensioni con gli ortodossi. Le rivendicazioni erano legittime e giuste, ma secondo lei non si andò un po’ oltre, con atteggiamenti che rasentavano persino la violenza?
Agli inizi vi era una confusione totale. Non fu la Chiesa a chiedere l’abrogazione del decreto del ’48. Fu Doina Cornea, greco-cattolica, una delle personalità più conosciute della protesta contro il regime, che chiese espressamente di mettere nel decreto-legge n. 9 del 31 dicembre 1989 anche l’abrogazione del decreto n. 358 del 1948 riguardante la Chiesa greco-cattolica. Credevamo tutti che, da parte della Chiesa ortodossa, ci sarebbe stata un’apertura verso di noi. Purtroppo non fu così. In un incontro a Cluj con i vescovi e con tanti sacerdoti nel mese di febbraio, mi pare, i sacerdoti chiesero ai vescovi di ottenere la restitutio in integrum. Ero presente. I nostri fratelli reagirono molto duramente. Forse anche la richiesta – lo dico adesso – non era proporzionata alle nostre dimensioni. È sicuro che adesso nessuno pensa più alla restitutio in integrum, lo sanno anche gli ortodossi. Poi, per quanto riguarda le violenze, la verità è questa: sempre e dovunque i greco-cattolici sono stati aggrediti. Mai, in nessuna parte, i nostri hanno alzato la mano, invece in tanti posti hanno subìto delle violenze. Ed è vero che siamo stati accusati di aver provocato tutte queste violenze agli ortodossi. Dovunque abbiamo proposto celebrazioni alternative: celebrare gli uni gli altri nella stessa chiesa, cosa che mai gli ortodossi hanno accettato. In Occidente – Italia, Germania, Francia e Spagna – i nostri ortodossi romeni celebrano alternativamente nelle chiese cattoliche, ma qui non ci permettono di celebrare in un orario diverso. È molto triste che non ci accettino.
– Nel 1990 si ebbero consacrazioni di vescovi latini e greco-cattolici. Durante le trattative tra la Santa Sede e il governo romeno non aveva la Chiesa greco-cattolica la sensazione di essere lasciata al margine? La diplomazia vaticana chiedeva gradualità nelle rivendicazioni. Che cosa pensava la gerarchia greco-cattolica dell’azione dell’Ostpolitik?
Conosco bene questo argomento perché ho lavorato molto con monsignor Todea. Era fratello di mia nonna materna. Proveniva da una famiglia di sedici figli, di cui nove erano in vita. Tutta la famiglia, che era assai grande, fu seguita parecchio dalla Securitate, la polizia segreta. Nel 1982 diventai sacerdote clandestino all’insaputa dei miei genitori: volevo proteggerli dalla paura e dalle sofferenze che già avevano subìto. Così ho conosciuto, prima del 1989, i monsignori Poggi, Colasuonno, Bukovsky, che venivano in Romania per la famosa Ostpolitik e sapevo di Casaroli e Silvestrini, che poi, dopo l’89, ho conosciuto. Devo dire che tutte le volte che uno di loro veniva in Romania si incontrava anche con il vescovo Todea. Di comune accordo con il Vaticano si è stabilito quanto segue: i greco-cattolici sono d’accordo che si cerchi di creare contatti con lo Stato romeno per tentare di nominare un vescovo a Bucarest e di tenere contatti normali con tutti i latini e contatti costanti con i greco-cattolici, benché non riconosciuti dallo Stato romeno. Se non fosse cambiato niente, l’ultimo vescovo greco-cattolico in vita avrebbe ordinato un vescovo per assicurare la continuità. Tutte le volte che qualcuno dalla Santa Sede veniva in Romania incontrava clandestinamente anche Todea, una volta persino in un campo di mais. Todea poi riferiva agli altri vescovi. Mai ci siamo sentiti abbandonati.
– Che ricordo è rimasto del cardinale Alexandru Todea, che passò 27 anni in isolamento forzato?
Con il cardinale Todea ho lavorato moltissimo ed è stato il mio modello di vita. Ha dato la sua vita per la fede, per la Chiesa, per il Signore, per il papa. Un grande uomo. Aveva fatto 16 anni di carcere, 27 di domicilio coatto, 2 in cui ha visto rinascere la Chiesa e 10 in carrozzella, capace solo di pregare. Una vita vissuta con Cristo in croce.
– Che ricordi ha del vescovo Ioan Ploscaru, che ci ha lasciato diverse testimonianze delle sue sofferenze in prigione?
Ho conosciuto assai bene monsignor Ploscaru attraverso i suoi scritti: poesie dal carcere e memorie. Anche lui un uomo di grande carattere e grande fede. Baluardi della nostra Chiesa. Parlavano delle carceri e della sofferenza con molto distacco e, nello stesso tempo, con gratitudine al Signore perché aveva permesso loro di fare anche questa esperienza.
– C’è memoria dei tragici avvenimenti fino alla caduta del Muro di Berlino, della tragica fine di Ceaușescu e della moglie Elena, della difficile ricostruzione di una società distrutta dall’ideologia marxista?
Non è facile riprendere la normalità della vita. La storia non ritorna. Non tutti sono stati d’accordo con la fine che è stata fatta fare alla famiglia Ceaușescu. Le mentalità create in un certo modo per 50/60 anni non si sono trasformate nemmeno in 25 anni passati dalla caduta del Muro. Poi si è sovrapposta la grande, la più grande emigrazione della storia del popolo romeno verso l’Europa e verso tutto il mondo: oltre 5 milioni di persone. Accanto a questo esodo vi sono i bambini lasciati a casa, nei casi migliori, con un genitore, con i nonni oppure con i parenti. Altri drammi moderni della persona umana. Cosa ci riserva ancora il Signore? Difficile dirlo. Non perdiamo la speranza.
– Di fronte a quali sfide si trovano oggi le Chiese in Romania? Di quali valori ha bisogno la società romena per essere parte viva e vitale all’interno di un’Europa paragonata da papa Francesco a Strasburgo a una nonna non più feconda?
Viviamo in Europa nel libero movimento della gente, delle idee, dei problemi. Tutto ciò che si trova in Europa ormai c’è anche in Romania, non manca niente. I mass media ci globalizzano in una maniera qualche volta spaventosa. Con il libero movimento la Romania è diventata ancora più nonna dell’Europa. La Chiesa cattolica si impegna assai ed è molto apprezzata, alle volte invidiata, proprio perché una minoranza fa più di quello che fa la maggioranza. Sono convinto che si debba andare verso le periferie, che dobbiamo far fronte ai tempi che viviamo e dobbiamo andare verso la gente, verso tutta la gente. C’è un grande spazio di lavoro in tutti i campi e c’è una sete iniziale del Signore. Siamo in grado di rispondere a tutto? Sicuramente no. Allora bisogna far bene ciò che si riesce, meglio di tutti e per tutti. Davanti al Signore ci sono le persone, c’è la persona umana in mezzo ai moderni briganti. Noi dobbiamo essere semplicemente samaritani.
Questa intervista è stata pubblicata nel libro di Francesco Strazzari, Le catacombe sotto il Muro. I cristiani dell’Est e la libertà ritrovata (pagg 113-121), Prefazione del card. Angelo Sodano, Introduzione di mons. Antonio Mennini, EDB, Bologna 2015, pp. 200, € 12,75, ISBN 9788810558560.