Don Gennaro Matino è parroco a Napoli e un narratore, traduttore di fiabe popolari del Seicento napoletano. Il cibo e i sentimenti si intrecciano nelle tre storie raccolte nel libro Pinto Smalto e altre fiabe dal Pentamerone, pubblicato da Marietti 1820 (96 pagine, euro 9,50). Tratti da Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile (1566-1632), prima raccolta europea di fiabe popolari, i racconti scritti in “lingua napoletana” erano destinati alla “conversazione” nelle piccole corti partenopee del Seicento, quando le tavole venivano sparecchiate e iniziavano i divertimenti del dopopranzo.
Betta non vuole marito ma, vista l’insistenza del padre, decide di farsene uno con le proprie mani impastando mandorle e zucchero, acqua profumata e muschio, pietre preziose e fili d’oro.
Anche Ciommetiello non vuole prendere moglie, ma quando si ferisce un dito tagliando una ricotta scopre di desiderare ardentemente una donna color del sangue e del latte e spera di trovarla andando in giro per il mondo. Il cibo e i sentimenti si intrecciano nelle tre novelle.
Il libro, introdotto dall’attore e sceneggiatore Enzo Decaro, che ha fatto parte del gruppo teatrale La Smorfia con Massimo Troisi e Lello Arena, si avvale di una nuova traduzione di don Matino. Collaboratore di Repubblica, ha pubblicato con Erri De Luca Mestieri all’aria aperta: pastori e pescatori nell’Antico e nel Nuovo Testamento (Feltrinelli 2004), Almeno 5 (Feltrinelli 2008) e Sottosopra: alture dell’Antico e del Nuovo Testamento (Mondadori 2008). Incuriositi dal traduttore, gli abbiamo rivolto alcune domande.
- Don Matino, quali difficoltà ha incontrato nel tradurre la lingua napoletana e seicentesca di Basile nell’italiano di oggi?
Le difficoltà sono sia di tipo linguistico che contenutistico e di significato perché il ’600 napoletano è un tempo di grande vivacità culturale ed è conservato nella lingua napoletana, una vera lingua perché ha il suo vocabolario e i suoi autori. È difficile entrare in una lingua che risponde a quel momento, alla descrizione di un tempo che non è più il nostro. Ho dovuto fare insieme una ricerca semantica, ma anche un’inquadratura storica. Molto mi ha aiutato la lettura della traduzione che di quei testi ha fatto Benedetto Croce.
- Lei è parroco e scrittore. In che modo si accordano queste due vocazioni?
Penso che, comunque sia, un prete è sempre un narratore, uno che di novelle se ne intende. Ovviamente la prima è la “buona novella”, che ha avuto in consegna dal Maestro. Poi impara il metodo dell’annuncio e del racconto ed è per questo che io, parroco e scrittore, mi diverto a fare il narratore.
- Le tre fiabe di Basile che ha tradotto per il libro di Marietti 1820 intrecciano cibo e sentimenti. La vita sentimentale è forse oggi uno degli ambiti più complessi da osservare, anche dal punto di vista di un prete. Cosa ne pensa?
Penso che in questo caso i sapori si legano insieme con la sapienza. Parlare di cibi e sapori di cucina è un po’ riportare il tempo della convivialità al centro dell’esperienza. Anche se, nel caso specifico delle favole, non sempre si cucina per legare con gli altri, ma per cucinare gli altri e anche se stessi. Cosa che in realtà non è la sapienza, quella vera e profonda, dell’amore. Ecco perché i sentimenti servono per legare non per cucinare. Servono per donarsi più che prendere. E questo vale per ieri e per oggi.
- Che cos’è Napoli per lei?
È la mia città. Fondamentalmente la vivo come madre e come matrigna. Madre perché la amo. La vivo e la sento e ne avverto l’aria e la carne, ma in certi momenti la percepisco anche come matrigna perché le sue contraddizioni e le frustrazioni di chi la vive sono tali che molto spesso spingono a fuggirla, ad andare altrove. Ma è giusto resistere perché, come lei cambia noi, noi possiamo cambiare lei.
Giambattista Basile, Pinto Smalto e altre fiabe dal Pentamerone, Traduzione di Gennaro Matino, Introduzione di Enzo Decaro, Marietti 1820, Bologna 2019, pp. 96, € 9,50.