Reazioni al testo di Ratzinger

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Riportiamo alcune reazioni all’articolo scritto per Klerusblatt e ripreso in Italia dal Corriere della sera (11 aprile) col titolo La Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali. Alcune pubblicate, altre giunte in redazione. Vedi anche Joseph Ratzinger: collasso in che senso?

Il trauma e la nostalgia: continuità tra prefetto, papa ed emerito

l’articolo del papa emerito BenedettoConsiderevole valore deve essere attribuito a questo testo di J. Ratzinger, che interviene – dal silenzio interrotto del suo ritiro – sul tema degli abusi. Tema che con la sua attualità ha espressamente sollecitato il vescovo emerito di Roma a prendere la parola. Dicevo “testo considerevole” perché permette di apprezzare, in una forma del tutto convincente, una grande continuità tra il pensiero dell’attuale “emerito”, quello di papa Benedetto XVI, ma anche quello del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Anzi, si potrebbe estendere la continuità fino all’arcivescovo di Monaco: più di 40 anni appaiono segnati da una lettura traumatizzata e traumatica della svolta conciliare e del ’68, come causa di tutti i mali della Chiesa, abusi compresi.

Già altrove, e non molto tempo fa, avevo richiamato l’attenzione sulla lettura “apocalittica” con cui J. Ratzinger aveva presentato, nella sua autobiografia, agli inizi degli anni ’80, la vicenda conciliare come una vera “tragedia” per la Chiesa. Ma in questo giudizio parlava in lui, già allora, più un pregiudizio che un giudizio. Egli scambiava, con troppa facilità, l’effetto con la causa e la causa con l’effetto. Come allora, anche oggi, il cambiamento teologico e pastorale che inizia con il Concilio, non viene letto come la “risposta ad una crisi”, ma come “la causa della crisi”. Si idealizza il preconcilio e così si fa violenza al Concilio. Se la riforma della liturgia, dei seminari, della teologia morale viene interpretata in questo modo unilaterale e viscerale, è inevitabile, oggi ancor più di 40 anni fa, che la diagnosi inclini alla “nostalgia per il bel tempo che fu”. Questo non è un ragionamento teologico, bensì un attaccamento del sentimento, una nostalgia del cuore.

Alcuni lampi del testo illuminano perfettamente questo orizzonte, in modo assai unilaterale:

– si lamenta che negli anni ’80 i testi di Ratzinger fossero “censurati” in alcuni seminari. Ma non si ricorda che, 50 anni prima, erano i testi di Agostino o di Ambrogio a subire la stessa sorte;

– si dipinge la storia della teologia morale post-conciliare come se alla deriva resistesse solo Veritatis splendor, senza nulla dire dell’unilateralità con cui questo testo ha dovuto attendere Amoris lætitia per essere finalmente ridimensionato nella sua pretesa fondamentalistica in campo morale;

– si ricorda la domanda di “massimi di pena più alti” contro i colpevoli di pedofilia, addebitando al “garantismo conciliare” quasi la protezione dei pedofili. Ma non si tiene conto che le riforme del diritto penale non si fanno alzando i massimi, ma i minimi della pena.

– si punta lo sguardo contro l’abuso, come se fosse una lotta tra la tutela dell’accusato e la tutela della fede. Ma non entra nello sguardo del testo quel soggetto decisivo che è la vittima dell’abuso e che esige dalla Chiesa una lettura non autoreferenziale della questione.

Diversi sono i passaggi del testo in cui la ricostruzione storica dei 30 anni post-conciliari diventa una caricatura, soggettivamente significativa, ma oggettivamente insostenibile. Il testo apocalittico conclusivo riprende un’immagine che avevamo già ascoltato, la sera della commemorazione del 50° del Discorso della luna di papa Giovanni XXIII. In quell’occasione, l’11 ottobre 2012, la “festa per il Concilio” si era trasformata in uno sfogo quasi disperato e aveva raggelato la piazza sottostante. E al posto del Concilio era apparsa la barca della Chiesa ostacolata dai venti contrari, i pesci cattivi nella rete, la zizzania che cresce nel campo… Nulla oggi è cambiato da quella sera. Un papa che non capisce più il Concilio, di cui è stato un padre, può solo fare una cosa: prendere congedo. E lasciare la parola ad un figlio del Concilio. Essere riuscito in questo atto di servizio e di umiltà riscatta in lui ogni possibile mancanza, precedente o successiva. Per questo J. Ratzinger può anche concludere questa parola di disperazione ringraziando il suo successore, che ha riacceso la speranza. Il testo che ci ha consegnato in questa occasione da un lato rende ancora più grande il gesto profetico di 6 anni fa, ma dall’altro ci fa capire fino in fondo in quali meandri del risentimento e della nostalgia avremmo potuto cadere, se mai non lo avesse fatto.

Andrea Grillo
Pubblicato l’11 aprile 2019 nel blog: Come se non.

Non merita commenti

l’articolo del papa emerito Benedetto

Ho scorso il testo di Ratzinger. Ho letto anche una versione inglese inviatami da Sandro Magister. La prima parte parla di un problema morale euro-americano per il quale non ha fatto nulla mentre è stato in carica per oltre 20 anni, mentre era impegnato ad attaccare la teologia asiatica. Ora, attribuire tutto alla mancanza di fede in Dio è semplicistico. Penso che la reazione migliore sia ignorarlo. Non ho voglia di fare commenti.

Michael Amaladoss, S.J.

Un testo che causerà imbarazzo a lui stesso

English Version

Quando un amico mi ha inviato per primo l’articolo del papa emerito Benedetto sulle cause prime degli abusi da parte del clero, ho pensato di trattasse di una bufala. Sembrava di trovarsi in presenza di una caricatura sia della poderosa intelligenza di Joseph Ratzinger sia delle spiegazioni di parte conservatrice della crisi degli abusi sessuali. Apparentemente il testo è autentico, perciò dobbiamo cercare altre spiegazioni del perché sia così erroneo – a tal punto da supporre che il papa dimissionario possa sapere che sia erroneo. Esaminiamo le difficoltà di questo testo.

Prima e anzitutto, Bendetto conosce come pochi altri che la cristi ha un doppio versante doloroso: il fatto degli abusi e il fatto che gli abusi siano stati coperti. In nessun punto il testo sembra esaminare il secondo versante. Bene sa che quando, in qualità di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha concluso le indagini sulle malefatte di padre Marcial Maciel, non è stata intrapresa nessuna azione contro il più orribile degli abusatori. Avrebbe dovuto sapere delle accuse rivolte contro l’allora arcivescovo Theodore McCarrick, prima della sua promozione all’Arcidiocesi di Washington e al cardinalato, e che tali accuse erano rimaste senza risposta se non ignorate. Conosceva le circostanze che costrinsero il cardinale Bernard Law a rassegnare le dimissioni e trascorrere il resto della sua vita occupando una sinecura a Roma. Perché nessuna menzione di questo?

In secondo luogo, l’ex papa ha indubbiamente ragione nel ritenere che qualcosa sia accaduto negli anni ’60, che ci sia stata davvero una rivoluzione sessuale. La cultura pop ha annunciato il fatto incessantemente. Come afferma Benedetto, la rivoluzione sessuale ha avuto naturalmente un effetto sulla preparazione degli uomini al sacerdozio e alla vita nei seminari.

Se osservate le statistiche sull’ordinazione degli abusatori, vedrete che il decennio che ha prodotto il maggior numero di abusi sessuali è stato quello degli anni ’60, ma non c’è alcuna correlazione con l’affermazione di Benedetto che sia stata la riforma del seminario a creare il problema. La riforma del seminario non ha avuto effettivamente inizio prima della chiusura del Concilio Vaticano II e, in alcuni luoghi, non prima degli anni ’70. Inoltre, il decennio che ha prodotto il secondo maggior numero di autori di abuso è stato quello degli anni ’50 e non degli anni ’70. L’ex papa sarebbe stato più preciso se avesse affermato che la formazione nei seminari prima del Vaticano II non aveva preparato gli uomini a servire in una cultura post-Vaticano II. Su questo, penso, possiamo essere tutti d’accordo. E una certa percentuale di quegli uomini era psico-sessualmente immatura. È il seminario post-Vaticano II che pone l’accento sulla formazione umana e inizia a espellere gli immaturi e a diplomare per lo più in uomini sani e ben adattati.

Terzo, uno dei motivi per cui ho a lungo ammirato la teologia di Ratzinger è che egli è così sistematico, così completo e attento, con argomenti che si spingono solo il più lontano possibile e non oltre. Eppure qui abbiamo una serie di episodi sull’educazione sessuale e sui film perversi. Afferma: «Il collasso mentale era legato anche a una propensione alla violenza: per questo motivo non è più consentita la proiezione di film a sfondo sessuale sugli aerei perché la violenza si sarebbe propagata nella piccola comunità di passeggeri». Ho difficoltà a credere quel «non ci sia più» nella seconda parte dell’affermazione: c’è stato davvero un momento in cui le compagnie aeree hanno mostrato film sporchi?

Quarto, Benedetto è sempre descritto come un’anima gentile, eppure sembra godere del fatto che un teologo morale tedesco, Franz Böckle, che ha sfidato le idee che tutti noi conoscevamo sarebbero state predominanti nell’enciclica Veritatis splendor del 1993, sia morto prima che l’enciclica enciclica venisse pubblicata. Il papa emerito stabilisce i punteggi? Questo non è ciò che ci si aspetta da un sant’uomo in età avanzata, mentre si prepara a incontrare il suo creatore.

In quinto luogo, l’esame di Benedetto sul ruolo della legge ecclesiastica nell’affrontare gli abusi sessuali è fuori strada: il primo Codice universale di diritto canonico è stato pubblicato nel 1917. È stato rivisto da papa Giovanni Paolo II, che ha pubblicato un nuovo codice nel 1983. In breve, qualunque lacuna riguarda entrambi i codici, e ammettere che le disposizioni penali siano state «deliberatamente generosamente costruite» non può essere attribuito alla cattiva teologia post-Vaticano II. Eppure, insiste Benedetto:

Inoltre, tuttavia, c’era un problema fondamentale nella percezione della legge penale. Solo il cosiddetto garantismo, [una sorta di protezionismo procedurale], era ancora considerato come «conciliare». Ciò significa che dovevano essere garantiti anzitutto i diritti dell’imputato, in una misura che escludeva di fatto qualsiasi condanna. Come contrappeso alle opportunità di difesa, spesso inadeguate, disponibili per i teologi accusati, il loro diritto alla difesa è stato esteso grazie al garantismo a tal punto che le condanne erano quasi impossibili.

Chi sostiene questa interpretazione del garantismo? Perché le condanne erano «difficilmente possibili»? Era il prefetto della Congregazione per il clero apensarlo? Se è così, perché Giovanni Paolo II non lo ha rimosso? E, cosa più importante, non era forse Giovanni Paolo II, con le sue idee sul marchio indelebile dell’ordinazione presbiterale, a non volere che i sacerdoti-abusatori venissero spretati affinché non si mettesse in discussione il carattere ontologico del sacramento dell’ordine sacro? Benedetto sa che è stato così. Ancora una volta, non riesco a darmi ragione che un uomo santo che si prepara alla sua morte possa aver pronunciato una tale menzogna.

In tutto il testo ci sono barlumi del vecchio Ratzinger, spunti di genialità e bellezza. «Se volessimo davvero riassumere molto brevemente il contenuto della fede come esposto nella Bibbia, potremmo farlo affermando che il Signore ha iniziato una narrazione del suo amore per noi e vuole ricapitolare tutta la creazione in esso», scrive il papa emerito. «La fede è un viaggio e uno stile di vita», scrive, un fraseggio che sembra molto in linea con il Vaticano II.

Ma, nel complesso, questo è un testo deplorevole che finirà soltanto per danneggerà la reputazione dell’ex pontefice.

Ho raccolto una lunga intervista con il cardinale Francis George, verso la fine della sua vita. Entrambi eravamo a conoscenza della diagnosi sul suo cancro terminale. Mi è diventato subito ovvio che era profondamente depresso, come era naturale lo fosse. I suoi ragionamenti di solito accurati – avevamo già parlato diverse volte prima, e si divertiva a parlarmi dei miei articoli – venivano sostituiti da affermazioni e previsioni estremamente cupe. Dopo pochi minuti, ho posato la penna. Non avrei mai usato le parole che uscivano dalla sua bocca perché erano cose che non avrebbe detto se non si fosse trovato in quella condizione. La lettura di questo documento del papa emerito Benedetto mi ha ricordato quel momento e sollevato questo interrogativo: non c’era proprio nessuno che lo amasse abbastanza da salvarlo dall’imbarazzo che tutto questo gli avrebbe procurato?

l’articolo del papa emerito Benedetto

Michael Sean Winters

On Pope Benedict XVI

When a friend first sent me Pope Emeritus Benedict’s article about the root causes of clergy sex abuse, I thought the text was a hoax. Here, it seemed, was a caricature of both Joseph Ratzinger’s once powerful intellect and of conservative explanations for the sex abuse crisis. Apparently the text is authentic, so we must search for other reasons why it gets so much wrong — and so much that the retired pope would know is wrong. Let us examine the difficulties with this text.

First and foremost, Benedict knows as few others do, that the crisis is a double affliction: There is the fact of the abuse and the fact of that abuse being covered up. Nowhere in this text does he explore the second affliction. Yet he knows that when, as Cardinal Prefect of the Congregation for the Doctrine of the Faith, he completed his investigation into the evil deeds of Fr. Marcial Maciel, no action was taken against this most horrible of perpetrators. He would have known about the allegations levelled against then-Archbishop Theodore McCarrick before his promotion to the Archdiocese of Washington and to the cardinalate, and that those allegations were unanswered or ignored. He knew the circumstances that forced Cardinal Bernard Law to resign his see and spend the rest of his life occupying a sinecure in Rome. Why no mention of any of this?

Second, the former pope is undoubtedly correct that something happened in the 1960s, that there really was a sexual revolution. Pop culture announced the fact incessantly. As Benedict stipulates, of course that sexual revolution had an effect on preparing men for the priesthood and life in seminaries.

If you look at this chart of when perpetrators were ordained, you will see that the decade that produced the largest number of sexual abusers was indeed the 1960s, but that has no correlation to Benedict’s claim that seminary reform created the problem The seminary reforms did not really start until the close of the Second Vatican Council and, in some places, not until the 1970s. What is more, the decade that produced the second highest number of perpetrators was the 1950s, not the 1970s. The former pope would have been more accurate if he had said that pre-Vatican II seminary formation did not prepare men for serving in a post-Vatican II culture. That, I think, we can all agree is the case. And a certain percentage of those men were psycho-sexually immature. It is the post-Vatican II seminary with its emphasis on human formation that began to weed out the immature and to graduate mostly healthy and well-adjusted men.

Third, one of the reasons I have long admired Ratzinger’s theology is that he is so systematic, so thorough and careful, with arguments that go only as far as they can and no further. Yet here we get a series of anecdotes about sex education and naughty movies. He states, “The mental collapse was also linked to a propensity for violence. That is why sex films were no longer allowed on airplanes because violence would break out among the small community of passengers.” I have a hard time believing the “no longer” in that second sentence — was there really ever a time when airlines showed dirty movies?

Fourth, Benedict is always described as a gentle soul, yet he seems to take pleasure in the fact that a German moral theologian, Franz Böckle, who challenged the ideas we all knew would be dominant in the 1993 encyclical Veritatis Splendor, died before the encyclical was published. Is the pope emeritus settling scores? That is not what one would expect of a holy man in advanced years, preparing to meet his maker.

Fifth, Benedict’s examination of the role of church law in confronting sex abuse is off track: The first universal Code of Canon Law was published in 1917. It was revised by Pope John Paul II, who issued a new code in 1983. In short, whatever flaws are found in either code, and he admits that the criminal provisions were “deliberately loosely constructed,” cannot be attributed to bad post-Vatican II theology. Yet, Benedict insists:

In addition, however, there was a fundamental problem in the perception of criminal law. Only so-called guarantorism, [a kind of procedural protectionism], was still regarded as “conciliar.” This means that above all the rights of the accused had to be guaranteed, to an extent that factually excluded any conviction at all. As a counterweight against the often-inadequate defense options available to accused theologians, their right to defense by way of guarantorism was extended to such an extent that convictions were hardly possible.

Who held this perception about guarantorism? Why were convictions “hardly possible?” Was it the Prefect of the Congregation for the Clergy? If so, why did not John Paul II remove him? And, more important, was it not John Paul II, with his ideas about the indelible mark of presbyteral ordination, who did not want priest-perpetrators to be defrocked lest people question the ontological character of the Sacrament of Holy Orders? Benedict knows that was the case. Again, I cannot bring myself to believe that a holy man preparing for his death would utter such a falsehood.

Throughout the text there are glimmers of the old Ratzinger, hints of genius and beauty. “If we really wanted to summarize very briefly the content of the Faith as laid down in the Bible, we might do so by saying that the Lord has initiated a narrative of love with us and wants to subsume all creation in it,” the pope emeritus writes. “Faith is a journey and a way of life,” he writes, phrasing that seems very much in line with Vatican II.

But, on the whole, this is a regrettable text that will only harm the reputation of the former pontiff.

Towards the end of his life, I had a long interview with Cardinal Francis George. The diagnosis that his cancer was terminal was known to us both. It became quickly obvious to me that he was deeply depressed, as well he might be. His usually careful reasonings — we had spoken a number of times before, and he enjoyed talking to me about my columns — were replaced by extremely gloomy assertions and predictions. After a few minutes, I put down my pen. I was never going to use the words that were coming from his mouth because they were things he would not have said were he not in that condition. Reading this document from Pope Emeritus Benedict reminded me of that moment and raised this question: Was there no one who loves him enough to save him from the embarrassment that this will cause?

Un testo da meditare

Ho letto con piacere il testo, particolarmente perché parla della fede, dell’eucaristia e della Chiesa. La prima parte lascia perplessi, perché sembra difendere troppo i sacerdoti che hanno commesso reati, spiegando il fatto, e scusandoli dal punto di vista del contesto sociale ed ecclesiale di un tempo, di una morale impostata diversamente di quanto lo facciamo adesso. Capisco il suo ragionamento storico, ma con questo non ci si può più mantenere in un contesto che è proprio cambiato fondamentalmente. Manca perciò l’attenzione alla vittima, pur facendovi qualche volta cenno.

Ma lo seguo con piacere quando inizia a spiegare che l’assenza di Dio ha un grande effetto sulla verità e sulla coscienza delle persone. Non si tratta più di clericalismo come potere, ma di mancanza di Dio. I fatterelli nella seconda parte spiegano solo che la perdita della coscienza che Dio è il criterio morale fondamentale. Si difende  parlando dei piccoli come parla Gesù dicendo che sono persone con poca fede, «credenti semplici». Sarà vera quella osservazione alla luce dell’esegesi odierna? Lo seguo quando dice che «ultimamente viene danneggiata la fede: solo dove la fede non determina più l’agire degli uomini sono possibili tali delitti» (II, ultimo §). Fede sta per fedeltà e la legge morale è offerta da Dio come creatore. «La forza del male nasce dal nostro rifiuto dell’amore di Dio». (ibidem). E ancora: «un mondo senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso» (III, §3). Il potere diviene allora l’unico principio.

Parla dell’eucaristia, del perdono, della Chiesa: «la Chiesa muore nelle anime», e ci avverte che non conviene parlare della Chiesa come di una specie di apparato politico, …non deve diventare una Chiesa fatta da noi… «il campo resta comunque campo di Dio e la rete rimane rete da pesca di Dio» (III, § 13-14).

Il discorso che fa papa Benedetto non si applica solo al tema della pedofilia. È partito da questo, ma parla di tutte le forme di peccato, e della necessità di dare uno spazio essenziale a Dio nella vita del cristiano. Di fatto reagisce contro il secolarismo e contro l’assenza di Dio dalle persone, dalle strutture della Chiesa e dalla società. È un testo da “meditare”  e pregare chiedendo allo Spirito Santo di illuminarci per il bene su tutta la linea del creato.

Papa Benedetto vive pienamente la sua unione con Dio, e soffre quando nel mondo di oggi è diventato così difficile per i cristiani vivere immerso in Dio.

l’articolo del papa emerito Benedetto

+ Luc Van Looy,  vescovo di Gent

Proteggere la vecchiaia e la malattia di Benedetto XVI con amore sconfinato

Sul saggio breve di Benedetto XVI sugli abusi sessuali nella Chiesa, pubblicato ieri in diverse lingue, a meno di due mesi dal Vertice mondiale episcopale con Papa Francesco dedicato alla “protezione dei minori” (dove sarebbe stato un contributo di altissimo rilievo per contenuti e opportunità), si possono porre moltissime domande, fare decine di ipotesi, indagare sui dintorni dell’iniziativa e altro ancora. Tra l’altro, in buona misura la stampa internazionale – osservatori, analisti ed esperti – su queste questioni ha già scritto moltissimo.

Con ogni probabilità le domande fondamentali rimarranno senza riposta sostanzialmente a causa dell’ormai noto ferreo cerchio che circonda ermeticamente il papa emerito, tanto ermetico che non si riesce a distinguere fra ciò che interessa ai membri del cerchio e ciò che riguarda veramente il Papa emerito. In questo senso va detto che il cerchio non poche volte si è sostituto al pontefice emerito. E sembra che sia così anche in quest’occasione.

Non abbiamo nessuno interesse ad entrare in questa vicenda anche perché è chiaro che il clamore di questi giorni perderà gradualmente rilevanza nella misura in cui si sveleranno molti passaggi oggi occulti, in particolare quelli organizzativi della diffusione del testo, indizi che evidenziano un’operazione che ha poco a che vedere con la materia sulla quale si vuole, o si voleva, discutere veramente.
Ci preme porre, con semplicità e senza argomentazioni faraoniche o erudite, una sola domanda pensando alle vittime della pedofilia. Nel saggio ratzingeriano di 18 cartelle curiosamente appare una sola volta la parola “vittima”, concetto esistenziale molto caro a Benedetto XVI, anche perché è stato il primo papa a usare questa espressione associandola a “peccato e crimine” ma anche il primo papa a ricevere numerose vittime. Non è credibile che il papa emerito abbia lasciato da parte questa parola in un testo così lungo e approfondito che, come è ben  noto, per lui è stata sempre fondamentale ed ineludibile proprio perché è più che una parola o un concetto. Per Benedetto XVI le vittime sono il centro della questione. Basta leggere il paragrafo della lettera che J. Ratzinger scrisse ai Cattolici dell’Irlanda nove anni fa indirizzato «alle vittime di abusi e alle loro famiglie».[1]
Ma ciò che vorrei sottolineare è un’altra cosa altrettanto rilevante: è proprio il caso, in un’ora così drammatica come quella che vive la Chiesa tutta di fronte alla tragedia degli abusi sessuali al suo interno, dividersi in gruppi o scuole di pensiero analitico, sociologico, antropologico, teologico, ecclesiologico, sulle cause – molte, complesse e ormai conosciute – di un crimine così orrendo?
A cosa serve? A chi giova?

Il crimine si combatte. Il peccato si combatte. Non si usano i crimini e i peccati per altri scopi come sembra che facciano alcuni analisti e commentatori del saggio di Benedetto XVI. Su questa questione alcune persone vicine al papa emerito devono chiarire non pochi comportamenti messi in essere da diversi anni. Sarebbe anche vera lealtà nei confronti di papa Francesco e della Chiesa tutta.

Usare la tragedia degli abusi per lotte intestine di potere, di influenze e di carriera è un’ulteriore violenza che si scarica sulle vittime che a questo punto scompaiono perché diventano anonime merce di scambio nelle guerre tra bande e cordate.

Va bene quanto avrebbe scritto il papa emerito. Da rispettare anche quando non si è d’accordo con ogni passaggio. Può essere un buon contributo alla lotta contro questa piaga. Si deve però aggiungere, usando il buon senso, che non va bene che alcuni abbiano voluto usare un fenomeno così drammatico come la pedofilia clericale per i loro piccoli giochi, nascondendosi dietro un uomo e un sacerdote come Joseph Ratzinger che merita un rispetto e un affetto sconfinati, soprattutto nelle ore della dura vecchiaia e della severa malattia.

l’articolo del papa emerito Benedetto

Luis Badilla, direttore de Il Sismografo

[1] 6. Alle vittime di abuso e alle loro famiglie
Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata. Molti di voi avete sperimentato che, quando eravate sufficientemente coraggiosi per parlare di quanto vi era accaduto, nessuno vi ascoltava. Quelli di voi che avete subito abusi nei convitti dovete aver percepito che non vi era modo di fuggire dalle vostre sofferenze. È comprensibile che voi troviate difficile perdonare o essere riconciliati con la Chiesa. A suo nome esprimo apertamente la vergogna e il rimorso che tutti proviamo. Allo stesso tempo vi chiedo di non perdere la speranza. È nella comunione della Chiesa che incontriamo la persona di Gesù Cristo, egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato. Come voi, egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire. Egli comprende la profondità della vostra pena e il persistere del suo effetto nelle vostre vite e nei vostri rapporti con altri, compresi i vostri rapporti con la Chiesa. So che alcuni di voi trovano difficile anche entrare in una chiesa dopo quanto è avvenuto. Tuttavia, le stesse ferite di Cristo, trasformate dalle sue sofferenze redentrici, sono gli strumenti grazie ai quali il potere del male è infranto e noi rinasciamo alla vita e alla speranza. Credo fermamente nel potere risanatore del suo amore sacrificale – anche nelle situazioni più buie e senza speranza – che porta la liberazione e la promessa di un nuovo inizio.

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5 Commenti

  1. M. Modesto 17 aprile 2019
  2. Claudio Bargna 14 aprile 2019
    • Chiara 18 aprile 2019
  3. carchia 13 aprile 2019
    • Patrizia Pane 14 aprile 2019

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