La fraternità sacerdotale san Pio X (i lefebvriani) tornerà alla piena comunione grazie al papa più distante dalla loro posizione ecclesiale? È possibile, anche se non prevedibile nei tempi. Nella lunga intervista di Francesco al quotidiano cattolico francese La Croix (9 maggio) vi è un passaggio riguardante la loro situazione. «A Buenos Aires ho sempre parlato con loro. Mi salutavano, mi chiedevano una benedizione in ginocchio. Si dicono cattolici. Amano la Chiesa. Mons. Felley è un uomo con cui si può dialogare. Non è così per altri elementi un po’ strani, come mons. Williamson, o altri che si sono radicalizzati. Penso, come avevo detto in Argentina, che siano cattolici in cammino verso la piena comunione. In questo anno della misericordia mi è parso di dover autorizzare i loro confessori a perdonare il peccato di aborto. Mi hanno ringraziato per questo gesto. Prima, Benedetto XVI, che rispettano molto, aveva liberalizzato la messa secondo il rito tridentino. Si dialoga bene, si sta facendo un buon lavoro». Quanto alla prelatura personale «sarebbe una soluzione possibile, ma prima bisogna stabilire un accordo fondamentale con loro. Il Concilio Vaticano II ha la sua importanza. Si avanza lentamente, con pazienza».
Le notizie sulla continuità dei rapporti e dei dialoghi con la Congregazione per la dottrina della fede e la Commissione Ecclesia Dei, i primi fugaci incontri e l’udienza del 1° aprile scorso a Felley indicano la disponibilità delle parti. Perché ora potrebbe essere possibile quello che non si è realizzato con Benedetto? Anzitutto perché il papa emerito ha aperto con grande vigore un dialogo con loro prendendosi la responsabilità della remissione della scomunica ai quattro vescovi interessati. Anche nei decenni precedenti Ratzinger era stato il riferimento per un dialogo lungo e paziente, anche se improduttivo. La decisione del 2009 ha scatenato una reazione molto seria nelle Chiese locali più interessate, che, congiunta con lo scandalo delle posizioni antisemite di Williamson, ha provocato una delle lettere più sofferte di Benedetto nella quale evocava «discordia» e «contrapposizione interna» fra i credenti, deleterie per la Chiesa. Il pavido rifiuto di sottoscrivere il documento dottrinale da parte dei lefebrviani ha impedito un esito positivo. Ma senza quei precedenti l’attuale cammino sarebbe senza giustificazione.
La seconda ragione è l’apertura di interlocuzione di papa Francesco: non solo ecumenica (verso gli evangelicali, ad esempio) e interreligiosa, ma anche verso il mondo laico e le posizioni teologiche più discusse (come nel caso di Küng). Se si dialoga con tutti, anche il rapporto coi lefebvriani è plausibile.
Inoltre gli attuali colloqui non rappresentano un tentativo di forzare una lettura più limitata e conservatrice del Concilio, ma ne rappresentano la conseguenza. Si dialoga a partire dal Concilio e non per restringerne il significato.
Infine, il loro ritorno alla piena comunione, non cambierebbe gli equilibri ecclesiali. Se l’ala conservatrice avesse potuto esibire durante l’ultimo conclave un risultato di comunione nei loro confronti probabilmente la scelta non sarebbe caduta su Bergoglio. Avrebbe cioè condizionato l’esito del conclave. Ora non è più possibile.
Anche se non mancheranno i mugugni e le riserve, oggi potrebbe avvenire un loro riconoscimento. Sempre condizionato all’accettazione del Vaticano II. Non contro di esso, ma grazie ad esso. Si aprirebbero diversi problemi a livello di Chiese locali, ma si eviterebbe il pericolo di una ripresa delle ordinazioni episcopali illegittime, ma valide. Un segnale antisettario importante.