Tante polemiche sono sorte dopo la trasmissione delle immagini del santo padre Francesco mentre a fatica s’inginocchia e bacia i piedi al presidente del Sud Sudan Salva Kiir e ai vicepresidenti designati, Rebecca Nyandeng De Mabior (una donna!) e Riek Machar.
Molte di queste polemiche, tuttavia, evidenziano una certa ignoranza della logica e dell’agire sacramentale, che Francesco costantemente mette in atto. Vorrei in tale sede offrire alcune riflessioni in merito.
Negli ultimi decenni abbiamo imparato ad accettare, non senza difficoltà a dire il vero, che i vescovi della Chiesa cattolica compiano gesti simbolici, cioè portatori di un significato sempre maggiore delle molteplici interpretazioni e significazioni custodite nell’intenzione di partenza.
Molti sono gli esempi possibili, dalla stola posta da Paolo VI sulla spalla del suo successore, allora «solo» patriarca di Venezia Albino Luciani, fino all’abitudine di Giovanni Paolo II che, scendendo dall’aereo che lo portava in visita in paesi vicini e lontani, si chinava a baciare la terra.
L’agire sacramentale, invece, ci sfugge ancora, nonostante sia «qualcosa» che tutti noi cattolici, in forza del battesimo e della frequentazione eucaristica, dovremmo non solo saper riconoscere, ma addirittura praticare; in tal modo, pur avendo occhi non vediamo e pur avendo mani non agiamo.
Aprire spazi, avviare processi
«Sacramentali» sono quei gesti e/o segni e/o oggetti per mezzo dei quali, «per l’intercessione della Chiesa, sono ottenuti effetti soprattutto spirituali» (Catechismo della Chiesa cattolica 1667; cfr. anche Sacrosanctum concilium 60-61). Un sacramentale, ad esempio, è ogni benedizione. I sacramentali, pur utilizzando il registro simbolico, hanno un orizzonte ancora più ampio: non solo significano e rimandano sempre ad un ulteriore, un alius o un aliud, ma aprono spazi e processi, avviano un dinamismo, sono istituiti per mettere in moto e alimentare il processo di santificazione (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica 1668).
Tornando all’episodio in questione, non può essere taciuto il contesto e le sue caratteristiche. In primo luogo, il papa ha agito al termine di un ritiro spirituale, che – mi si perdoni la banalità – non è una convention politica o un incontro tra capi di stato: ha altre logiche.
In secondo luogo, questo ritiro spirituale era stato voluto dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, presente accanto a Francesco quando va per inginocchiarsi, come offerta di accompagnamento della Chiesa all’enorme responsabilità di quegli uomini e di quella donna, e di medicamento alle ferite profonde di un intero paese in cui la cultura cristiana, nelle varie dimensioni confessionali, gioca ancora un ruolo importante.
In terzo luogo, Francesco si china a baciare i piedi di quegli uomini e di quella donna perché diventino i piedi dei messaggeri di pace (cf. Is 52,7) e accompagna questo gesto con parole che si rimandano e illuminano a vicenda: è un gesto sacramentale che vuole conferire effetti spirituali su quegli uomini e su quella donna!
Francesco sa, infatti, che la pace è un dono divino e senza la forza dei sacramenti e dei sacramentali questo dono resterebbe ancora più precario e instabile di quanto già sia su questa terra (cf. Gaudium et spes 76). Questi capi di stato hanno accettato di prodigarsi per la pace scegliendo di rafforzare questa decisione con un ritiro spirituale che il santo padre ha sigillato ponendo un gesto sacramentale che non solo permetta loro di non dimenticare i buoni propositi e le buone disposizioni d’animo raggiunte durante il ritiro, ma che offra anche una «dynamis» che vada oltre le loro stesse intenzioni e capacità.
Lo sguardo di cui non siamo capaci
Appare così chiaro e in tutto il suo splendore come Francesco sia romano pontefice, «vicario di Cristo» perché «servo dei servi di Dio», capace di ogni umiliazione umana e del più grande amore per i fratelli, elementi ancora una volta che si rimandano a vicenda.
Se fossimo capaci di uno sguardo e di un agire sacramentale, saremmo capaci di riconoscere il sacramento che ogni essere umano – ogni fratello e ogni sorella – è per noi.
Ogni volto ci mostrerebbe Cristo e ci ricorderemmo dell’unico comando, tra quelli presenti chiaramente nel testo evangelico, mai istituito sacramento nella Chiesa. Forse, proprio perché sia paradigma di ogni agire sacramentale: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica» (Gv 13,12a-17).
Finalmente un Papa “secondo il Vangelo”, che lo annuncia ogni giorno con passione, e soprattutto pratica con invidiabile spontaneità ciò che annuncia! Le opposizioni (a volte intrise non solo di cattiveria ma di vero e proprio odio, che – probabilmente nell’incoscienza dei loro autori – rivela perciò in maniera indubitabile la loro maligna provenienza!) non hanno di mira comportamenti immorali, corrotti o addebitabili a interessi personali, ma unicamente la fedeltà al Vangelo, soprattutto a quel suo nucleo essenziale che la misericordia… Quello che Papa Francesco predica e pratica è un Vangelo finalmente liberato da certi polverosi paludamenti con i quali una recente tradizione l’aveva ricoperto e messo a tacere: il Vangelo povero e potente con tutta la freschezza con cui risuona nei Paesi “alla fine del mondo”. “Segno di contraddizione – pertanto – perché siano svelati i pensieri di molti cuori!” (Lc 2,34-35). Ben vengano quindi le opposizioni: sigillo d’autenticità!
Complimenti all’articolo di Emanuela Ersoch che riconduce a orizzonti evangelici i gesti profetici di Papa Francesco. Tanto più utile in mezzo a scomposte voci di autonominati esperti e sedicenti teologi.
Quante parole vuote e pretestuose per un atto vile, vigliacco, da parte di uno che neppure si fa chiamare papa ma “vescovo di Roma”. Tanto è impostore e inadeguato che anche la “corrente” dei cardinali che lo ebbe a eleggere, alla faccia dello Spirito Santo, lo ha redarguito dicendogli: ” ti abbiamo eletto per riformare la Chiesa non per distruggerla”. Si chini davanti al Santissimo, si chini davanti alle migliaia di cristiani massacrati nel mondo, si chini a chiedere scusa ai miliardi di cattolici che tradisce ogni giorno: non c’e mai stato un papa nella storia cosi divisorio come bergoglio l’unico ad osare di intaccare e depauperare anche la dottrina.
Atto vile e vigliacco Alessandro? A me sembra invece l’atto di un uomo che con grande coraggio legge l’evangelo
e lo mette in pratica. Grande esempio per tutti noi cristiani.
Dio ci ha mandato un Profeta… I suoi gesti semplici e Grandi innescano processi di trasform-azione e creazione del bene… Sta a noi avere al coraggio di seguirne l’esempio nella vita quotidiana…