Papa Francesco ha accolto le dimissioni di Karl Lehmann, vescovo di Mainz. Nato a Sigmaringen, arcidiocesi di Friburgo in Brisgovia il 16 maggio 1936, fu ordinato il 10 ottobre 1963, eletto a Mainz il 21 giugno 1983, creato cardinale da Giovanni Poalo II al concistoro del 21 febbraio 2001. Personalità di spicco sia come uomo, sia come teologo, vescovo e cardinale. Il 22 settembre 1987 la Conferenza episcopale tedesca lo eleggeva presidente al terzo scrutinio. Il favorito era il card. Wetter, arcivescovo di Monaco. Lehmann aveva cinquantun anni. Era considerato uno dei classici esponenti della teologia contemporanea. Assistente di Karl Rahner, a 32 anni era professore di teologia sistematica a Mainz; a 25 docente di dogmatica e teologia ecumenica a Friburgo. Consigliere teologico molto ascoltato dal card. Dopfner, arcivescovo di Monaco. Partecipò al sinodo tedesco di Wurzburg (1971-75), dove sostenne l’opportunità della predicazione affidata ai laici nella liturgia e la possibilità di conferire l’ordinazione presbiterale agli uomini sposati (viri probati). Critico molto duro nei confronti della prima “teologia politica” di un altro dei grandi teologi tedeschi, J.B. Metz, e anche della “teologia della liberazione”, come pure sempre più distante dalla teologia di J. Ratzinger. Fece parte del comitato di consultazione della sezione “dogma” della prestigiosa rivista Concilium. Per conto di K. Rahner difese E. Schillebeekx davanti all’ex Sant’Uffizio nel primo processo.
Era nella terna che il capitolo di Colonia aveva inviato a Giovanni Paolo II per la nomina ad arcivescovo di Colonia. Della terna facevano parte anche il vescovo ausiliare di Colonia, Luthe, e il rettore del seminario locale, Trippen. La Santa Sede non la gradì e propose al capitolo mons. Dyba, vescovo di Fulda, spregiudicato conservatore; mons. von Donnersmark, responsabile del Katholiken Buros a Dusseldorf e, infine, mons. Meisner di Berlino. Il capitolo della cattedrale vi si oppose e iniziò un braccio di ferro con Roma. Il confronto fu duro e si arrivò persino alla minaccia di una possibile denuncia del concordato con la Prussia del 1929, ancora in vigore. Lehmann, in veste di presidente della Conferenza episcopale, si recò a Roma. Al ritorno dichiarò: «Ho avuto la netta impressione che il papa rimanga sulla sua idea», cioè che a Colonia ci vada Meisner, suo grande amico. Il capitolo della cattedrale non intendeva cedere. Scesero in campo i politici tedeschi. Lehmann ritornò a Roma e si trovò di fronte a un rescritto papale, che modificava la norma di elezione da parte del capitolo: non più elezione per maggioranza assoluta, ma per maggioranza relativa. La votazione capitolare del 16 dicembre diede 6 voti a favore e 10 astenuti. Era la vittoria di Giovanni Paolo II. Il 20 dicembre 1988 Meisner divenne arcivescovo di Colonia.
Ma il 6 gennaio 1989 scoppiava un’autentica tempesta con la famosa “dichiarazione” di Colonia dal titolo significativo: Per una cattolicità aperta contro una cattolicità messa sotto tutela, sottoscritta, tra gli altri, da moralisti di fama internazionale come Böckle e Häring, l’esegeta Haag, il canonista Huizing, i teologi Kung, Metz e Schillebeekx. Tre argomenti venivano presi in considerazione: la potenza e l’onnipresenza della curia romana a scapito delle Conferenze episcopali; l’autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento vista come un attentato alla libertà di ricerca e l’onnipresenza papale in ambito giurisdizionale.
Lehmann non si disse d’accordo con la “dichiarazione”, non tanto per il contenuto, ma per la modalità dell’intervento su temi scottanti.
Il 18 ottobre 1989 incontrai a Roma mons. Lehmann. I cardinali Meisner e Wetter avevano chiesto a Giovanni Paolo II la convocazione dei vescovi tedeschi. La sera prima era stato a cena dal papa, con il quale aveva affrontato i punti più caldi della situazione tedesca. Si stabilì che i vescovi avrebbero incontrato Giovanni Poalo II lunedì e martedì 13 e 14 novembre. I temi in discussione: la formazione dei futuri preti; le esperienze nell’insegnamento della religione nelle scuole statali e nella catechesi parrocchiale; lo sviluppo dei nuovi servizi pastorali, specialmente da parte dei laici. Mi disse: «Non dobbiamo avere paura di venire a Roma, come alcuni vogliono far credere. Veniamo per parlare con il papa, come a un vero padre, dei successi come anche delle fatiche. Mi creda: non ho la minima paura». Si discusse anche del rapporto tra Chiesa universale e Chiesa locale; dell’etica e del rapporto tra teologia e magistero. Parlammo anche del famoso e coraggioso sinodo della Chiesa tedesca di Wurzburg, le cui proposte furono mandate a Roma. «Alcuni “voti” – mi disse – non hanno ricevuto risposta». Tra questi la possibilità di conferire il presbiterato agli uomini sposati.
Il 13-14 novembre 1989 si tenne l’incontro dei vescovi tedeschi con il papa. Soddisfazione d’ambo le parti: «Le mie attese – mi confidò Lehmann – sono state esaudite. I vescovi sono tornati a casa conservando un buon ricordo dell’incontro».
In questi giorni si mette in risalto la poliedrica figura di Lehmann: chi l’acutezza del teologo, chi l’afflato ecumenico, chi l’abilità “politica”, chi la sollecitudine pastorale. Nelle diverse conversazioni avute con lui, batteva sempre il suo chiodo fisso sulla Chiesa del presente e del futuro, che sintetizzo così: «Un dovere principale sarà quello di testimoniare i valori base, nonostante l’esistenza delle difficoltà di fronte ad altre religioni o culture. Pensando alle radici comuni, ci renderemo conto del valore del cristianesimo in Europa. Spesso si parla di ricristianizzare l’Europa. Questo non deve significare un ritorno alla storia, non vogliamo tornare al passato, ma vivere nel tempo attuale, in una società come quella di oggi, pluralista e segnata dall’illuminismo: qui occorre dimostrare i valori cristiani». È la grande sfida alla quale ci richiama una delle personalità più eloquenti del nostro tempo, insieme con Martini e Hume, come ha giustamente ricordato Marcello Neri.