Nel Benin,– 114.700 kmq di superficie e 11,3 milioni di abitanti geograficamente stretto tra il Togo e il Burkina Faso a occidente, il Niger a nord e la Nigeria ad oriente, – si tengono oggi, 28 aprile, le votazioni politiche per la scelta del nuovo parlamento. Sono circa 5 milioni i cittadini chiamati alle urne. Ma a votare sono ammessi soltanto due partiti, su sette, ambedue filogovernativi e vicini al presidente Patrice Talon (60): il «Bloc Républican» e l’«Union Progressiste».
A deciderlo è stata la Commissione elettorale autonoma nazionale (CENA) che ha escluso gli altri cinque partiti adducendo una presenta mancanza di documenti e delle irregolarità nel pagamento delle tasse. Questa strana decisione, duramente criticata dalle opposizioni, è frutto di una legge approvata lo scorso anno riguardante appunto le condizioni per l’ammissibilità alle votazioni. Eric Houndété, vicepresidente dell’assemblea nazionale e membro dell’opposizione ha affermato: «Ciò che avviene non è una votazione». In effetti, «i partiti dell’opposizione sono stati esclusi». E ha aggiunto: «Il presidente si è creato due partiti privati, che appartengono al suo blocco politico. Si tratta, in definitiva di un partito unico».
Secondo la rivista americana Forbes (2015), il presidente Talon è «il più ricco cittadino del Benin», con il suo patrimonio di 400 milioni di dollari USA. I suoi sostenitori tuttavia sono convinti che egli riformerà profondamente il paese. Difficile sapere come: in Benin si dice che Talon ha scelto come suo modello il presidente del Ruanda, Paul Kagame, il quale, tra l’altro, non gode affatto di buona reputazione nella stampa. L’organizzazione per i diritti umani lamenta infatti che il suo regime è autoritario e che ogni forma di opposizione è repressa con la violenza.
In vista di queste elezioni, durante la scorsa settimana in Benin ci sono state delle dimostrazioni di protesta, soprattutto nella metropoli finanziaria Cotonou. L’organizzazione per i diritti umani Social Rights Watch ha dichiarato «impossibile» una consultazione elettorale in cui a votare sono solo due partiti. E la conferenza episcopale, da parte sua, ha qualificato la situazione «come qualcosa di mai visto».
Maurice Ahouangbé, affiliato al presidente Talon e presidente dell’organizzazione giovanile del partito «Rassemblement des Béninois pour une nouvelle vision», che nel 2016 aveva sostenuto Talon nelle sua elezione, è però convinto che la decisione della commissione di escludere alcuni partiti è stata giusta. «Non è un male», ha affermato, tanto più che questi partiti avranno presto la possibilità di rifarsi. Questa, infatti, non è l’unica consultazione elettorale. Nel 2020 ci saranno le elezioni comunali e locali e nel 2021 quelle presidenziali. Nel frattempo «avranno così l’opportunità di organizzarsi meglio».
Ma secondo Blanche Sonon, presidente dell’organizzazione statale Social Watch, «è assurdo vedere una consultazione elettorale a cui prendono parte solo due partiti che, per di più, sostengono ambedue il presidente».
Il Benin dalla fine dell’era socialista, con il ritorno alla democrazia multipartitica nel 1990, era considerato una «democrazia modello» tra i paesi dell’Africa occidentale. Soltanto nel 2016 c’era stato però un cambiamento pacifico di potere. Secondo le stime della Banca mondiale, nel 2015 il 40% degli abitanti viveva sotto la soglia della povertà, con un aumento rispetto all’anno precedente.
Dal punto di vista religioso, il Benin è considerato un paese tollerante: il 30% della popolazione aderisce agli animisti e alle credenze tradizionali; i cattolici rappresentano il 27%, i musulmani il 24%, i protestanti il 5,4%. I dati segnalano anche un 6,5% di atei e un 6,4% di altri.