«L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra!». Quando, nel tardo pomeriggio del 9 maggio 1950, il ministro francese degli affari esteri Robert Schuman pronuncia queste parole davanti a più di duecento giornalisti convocati improvvisamente nella sala stampa del Quai d’Orsay, sono trascorsi appena cinque anni dal termine della seconda guerra mondiale (qui il testo francese della dichiarazione del 9 maggio 1950).
Il concetto di nazione del periodo romantico, che pur si ispirava in certi casi a un alto concetto di solidarietà tra i popoli, era degenerato nel nazionalismo che idolatra la potenza e la capacità di affermazione di uno Stato in lotta con gli altri.
Il passo breve dal nazionalismo alla guerra
La guerra non era ritenuta una follia, ma una conseguenza necessaria e logica del potere. La guerra era prodotta dall’odio verso i diversi, primi fra tutti gli ebrei, e poi gli zingari, e poi gli invalidi, e poi gli omosessuali, e poi i vicini di casa, pericolosi e possibili invasori. Solo la saggezza di alcuni uomini, inascoltati e per giunta perseguitati, chiedeva che non si facesse la guerra, che si chiudessero le fabbriche di armi, che non si portassero nei campi di battaglia figli, mariti, fratelli, che le donne non dovessero essere più oggetto di violenza, che si ponesse fine alla cultura del nemico.
Nell’Europa ancora coperta di macerie e di morti, Robert Schuman ha l’audacia di trasformare il carbone e l’acciaio, strumenti di guerra e di contesa da più di ottant’anni fra Francia e Germania, in pacifici strumenti di riconciliazione.
Se oggi la pace è un fatto compiuto, che molti ritengono – purtroppo! – una banalità, lo dobbiamo a questo cristiano angosciato per le prove sofferte, ritenuto un utopista inguaribile, un folle visionario.
L’uomo che parla, diritto in piedi con alla sua destra l’amico e fedele collaboratore Jean Monnet, è un politico competente che fin dalla sua giovinezza ha fatto della politica un ideale di servizio, è nutrito da profonde convinzioni cristiane, da una pietà eucaristica e mariana e dai valori appresi nello studio dell’umanesimo.
Nella dichiarazione che rivolge alla stampa, Schuman annuncia che Francia e Germania si sono riconciliate: lui, vincitore, tende la mano al vinto per togliere di mezzo tutte le cause che avevano portato a tre guerre.
Gesto di un autentico profeta
La sua eredità apre un avvenire radioso all’Europa intera in cui i popoli si possano comprendere, rispettarsi per portare a termine una comune opera d’unità fondata non solo sull’economia, ma sui valori spirituali e culturali dell’Europa e soprattutto a favore degli uomini che più hanno bisogno.
Nasce la prima Comunità europea (1951, CECA), germe da cui sarebbe nata l’attuale Unione europea (1992). Lungo la bimillenaria storia dell’Europa, alcuni avevano tentato d’unire il continente con la forza. Molti avevano aspirato all’unità europea, ma nessuno aveva pensato all’unione politica dell’Europa attraverso la cessione di porzioni di sovranità nazionale per condividerla con altri Paesi amici all’interno di istituzioni sovranazionali.
La solidarietà – che significa «tutti assieme» – sarà il cemento che lega popoli e Stati.
Essa esige sì che gli Stati siano rigorosi e responsabili nella gestione delle risorse di ogni Paese membro, ma altresì pretende equità nei confronti dei più deboli e dei più poveri. «Io per primo! Il mio Paese per primo!» è il contrario della solidarietà che ci porta a dire «l’altro in primo luogo».
La solidarietà, se ben attuata, porta alla prosperità. La “messa in comune” della produzione di ferro e acciaio e, successivamente, la realizzazione di una comunità economica (CEE, 1957), di un unico mercato, la libera circolazione delle merci e dei capitali, un’unica moneta sarebbero state messe al servizio dell’uomo: se non lo fossero, lo allontanerebbero da ciò che più conta e lo avvicinerebbero alla discordia se non alla corruzione.
Per unire l’Europa si scelse la strada dell’armonizzazione delle economie. Attraverso “piccole realizzazioni”, passo dopo passo, si sarebbe arrivato all’unità politica.
Questa è l’Europa proclamata da Robert Schuman il 9 maggio 1950. Oggi, mentre gli equilibri geo-politici stanno cambiando sotto i nostri occhi, l’Unione europea ha bisogno di una reinvenzione del suo modello istituzionale ed economico, di un nuovo patto sociale, di una comune politica migratoria. Si notano distacchi prevalenti tra i valori fondanti la prima Comunità e la memoria. Creandosi questo divario, si profilano difficoltà, disagi, disorientamenti, ricerca confusa di qualcosa di diverso.
Robert Schuman, questo umile artigiano di pace, fece irruzione nella storia come un profeta che indica a un popolo la strada della pace con la sua voce che, come recita un aforismo ebraico, «fa sprizzare scintille divine dalle pietre»: dall’odio, dalla discordia, dalla lotta fratricida, Schuman ha fatto spuntare germogli di pace e ha tradotto la speranza di milioni di donne e uomini in un concreto atto di fratellanza.
Questo atto appare oggi scontato, ma potrebbe diventare incerto se gli europei non raccogliessero la lezione del 9 maggio di sessantanove anni fa.
Agenzia SIR, Progetto Europe For Us, 7 maggio 2019.