La Chiesa cattolica deve celebrare l’anniversario dell’inizio simbolico della Riforma, e cioè l’affissione alla porta della chiesa di Wittemberg delle tesi sulle indulgenze da parte di Lutero?
Celebrazione sì, ma penitenziale
Molti pensieri mi sono venuti riflettendo su questa questione. Il primo è che, se una celebrazione avesse luogo, sarebbe cosa buona e giusta che essa fosse innanzitutto penitenziale. La storia mostra che le responsabilità relative alla progressiva e poi definitiva separazione tra le comunità che protestavano e la Chiesa cattolica che non ascoltava, sono largamente condivise: «Non vi è distinzione: tutti hanno peccato» (Rm 3,23).
Dato che la riforma protestante è stata, in primo luogo, un fenomeno tedesco, si potrebbe immaginare che una celebrazione di questo tipo avvenga in Germania, a Colonia per esempio, dove nel XVI secolo l’arcivescovo Alberto di Brandeburgo è certamente stato uno dei colpevoli della rottura.
Aperti al futuro
In questa celebrazione penitenziale, potremmo così inserire anche alcune azioni di grazia: non vi furono forse degli attori, come per esempio Carlo V da una parte, e Melantone dall’altra, che hanno realmente cercato di trovare un percorso d’intesa?
Una seconda osservazione è che una celebrazione di questo genere non può che essere orientata al futuro. Se si commemora un anniversario, è proprio per orientare l’avvenire. Dopo il concilio Vaticano II con il decreto Unitatis redintegratio, dopo i numerosi scambi al Consiglio ecumenico delle chiese (Fede e costituzione), dopo il recente accordo sulla Giustificazione, non si può oggi non auspicare dei progressi in vista di un mutuo riconoscimento sempre maggiore. Se una partecipazione, qualunque essa sia, della Chiesa cattolica alle celebrazioni protestanti, può aiutare a progredire su questa cammino, non bisogna rifiutarla, ma determinarne con discernimento (parola cara a papa Francesco) la maniera e le forme.
Messaggi dal passato
Una terza osservazione è che si potrebbe tentare di allargare la riflessione. Il 2017 segna un mezzo millennio a partire dalla Riforma (un quarto dell’era cristiana!). Nel 1954, facevamo memoria del quasi millennio della rottura tra Costantino e Roma, e due importanti volumi venivamo pubblicati da parte cattolica, dal titolo Novecento anni dopo. Questo prima del Concilio. Penso che oggi un tale volume avrebbe integrato anche studi provenienti dall’Ortodossia.
Il 2022, segnerà il XIV centenario dell’Egira, inizio dell’espansione musulmana. Potremmo tentare di pensare, forse di pregare, questi fenomeni di rottura, al fine di discernere la «maniera di Dio».
In un passato ancora recente, da ogni parte, queste rotture non erano considerate che in maniera negativa, con anatemi e rimandi all’inferno. Oggi, percepiamo meglio che Dio, nel suo silenzio («le acque di Siloe scorrono nel silenzio» Is 8,6), promuove il positivo, vede nel fondo dei cuori, unisce alla passione di suo Figlio il male e la sofferenza, attende conversioni che egli suggerisce e sostiene: detto diversamente, Dio si conforma al suo essere profondo che è «misericordia».
L’islam ha diffuso sul globo la riconoscenza dell’unicità di Dio unita a elementi essenziali dell’esistenza umana: la preghiera costante, l’elemosina, il digiuno.
L’Oriente cristiano, soggiogato dalla passione guerriera dell’islam, ha mantenuto, in solitudine all’interno del suo spazio, il vangelo e la liturgia della risurrezione.
I tre pilastri della Riforma – la Scrittura, la fede, la grazia – hanno rafforzato molti cristiani occidentali nel loro cammino verso Dio. La Chiesa cattolica si è finalmente mostrata solida nelle sue strutture e preoccupata di mistica, capace, al tempo stesso, di resistere alle forze dannose della modernità e poi di assumerne le culture, sospinta da una forma missionaria ripensata incessantemente nella sua globalità. È probabilmente questo che Dio vede, forse ciò che fa. Il negativo è troppo visibile («il rumore non produce bene, il bene non fa rumore»), doloroso, a volte disperante, ma gli occhi della fede sono invitati a raggiungere il Vangelo e a seguire i suoi cammini, che sono di perseveranza e di riconciliazione nell’orizzonte del Regno che viene.
Per questo, mentre spero che le correnti rigide dell’Ortodossia non trionfino al Concilio pan-ortodosso che si profila, allo stesso modo mi auguro che, a livello locale e a livello universale, possiamo trovare insieme, Riformati e Cattolici, le forme discrete e giuste di una o più celebrazioni comuni, umili e piene di speranza, dell’anniversario del 1517.