Francesco chiede per la parrocchia spirito creativo. Papa Francesco vede la parrocchia della “Chiesa in uscita” come una comunità dotata di dinamicità pastorale e missionaria: «La parrocchia – si legge nel “manifesto” del suo pontificato – non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità».
La creatività di cui parla il papa non ha niente a che vedere con l’eccentricità e con l’allontanamento dai grandi tracciati della Tradizione, ma è la capacità profetica di aprire orizzonti nuovi, di saper adattare alle croci dell’ora presente la parola consolatrice del Vangelo; è soprattutto la genialità di creare nuovi modelli e forme di pastorale e di rinnovare il linguaggio con cui annunciare agli uomini del proprio tempo la Parola che non passa mai (cf. Mc 13,31).
Una parrocchia capace di “creatività missionaria”
Tutto questo non è altro che il continuare a realizzare l’idea progettuale dell’«aggiornamento», l’intuizione profetica di Giovanni XXIII, il papa di cui Francesco, senza mai esplicitarlo, rievoca e riattualizza l’evangelico ottimismo, ossia il costante sguardo di misericordia e di speranza sul mondo e sul tempo d’oggi.
Si discetta talora se papa Bergoglio ispiri il suo pontificato a papa Roncalli. Paolo Rodari l’ha chiesto a uno che lo conosce assai bene, un vescovo teologo, il rettore della Pontificia Università Cattolica di Buenos Aires, che così ha risposto: «Francesco è molto diverso rispetto ai papi che l’hanno preceduto, sebbene sia vero che possa avere i tratti di uno o dell’altro. La cosa più importante è che egli segue sempre la strada che il Concilio ha aperto. Senza dubbio preferisce restare fuori dalle discussioni teoriche sul Concilio, perché ciò che a lui interessa è proseguire nello stesso spirito di rinnovamento e di riforma. […] Piuttosto applica il Concilio in tutta la sua interezza, senza pause e senza passi indietro, con l’intento di traghettare la Chiesa fuori da sé stessa, affinché arrivi a tutti».
È chiaro, perciò, che Francesco è il papa che, di fatto (senza molto parlarne), ha rilanciato davvero l’evento del Concilio e i propositi riformatori dei suoi due papi, Giovanni XXIII e Paolo VI.
È dalla matrice conciliare, fra l’altro, che emerge, con parole diverse, il tema della “Chiesa in uscita”, che evidentemente genera l’idea implicita di “parrocchia in uscita”.
Una parrocchia può essere così se è viva nella sua esistenza feriale, se non è missionariamente pigra, se educa i cristiani ad avere una fede premurosa per gli altri: «Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra». La conversione della parrocchia passa, perciò, per quella dei suoi figli: ognuno di essi, per diventare “custode” dell’altro, deve liberarsi «dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali».
La creatività porta il cuore in cielo e i piedi sui vicoli
La pastorale creativa della parrocchia, fra le molte condizioni che richiede, ne comprende una imprescindibile, quella della sua prossimità o vicinanza alla gente, che papa Francesco così esprime: «Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi». Ciò spiega, nel modo più sorprendente, che lo slancio creativo non allontana la parrocchia dalla propria storia e dalla propria geografia, ma, al contrario, l’avvicina ad esse. Si diceva che tale slancio creativo è sorprendente, ma, se non ci fossimo molto allontanati dalla bellezza e verità delle cose (la creatività è fra queste), esso apparirebbe solo normale.
Infatti: quand’è che una persona la si avverte estranea, una proposta la si giudica desueta e impraticabile, un linguaggio lo si percepisce disavvezzo, un’istituzione la si trova lontana, un metodo lo si soffre come out e inattuale, un linguaggio lo si sente in bocca mùcido e muffito? Sempre e solo quando ci passano lontano, si pongono di là dei nostri bisogni, delle situazioni di vita e dei desideri del cuore…
La buona novità, che non è mai frivola, evita tutto questo perché s’industria di trovare i modi di avvicinamento, le forme di prossimizzazione per risolvere distanze e lontananze, soprattutto impegna la volontà di rinnovare sempre patti di vicinanza personale con tutti, occhio ad occhio, senza sostituire lo sguardo con i mezzi tecnologici (fax e lettere, computer, cellulari et similia…), ma ricordando sempre che, come annotava Joseph Ratzinger parlando di Maria: «Dio non si è legato alle pietre, ma si lega a delle persone viventi».
In quest’ottica si capisce che papa Francesco chiami a un rinnovamento deciso anche la parrocchia: «La parrocchia – avverte – è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione». Si tratta, tuttavia, non della realizzazione automatica d’una formula di cambiamento, ma di uno sforzo pastorale mai appieno realizzato che bisogna sostenere con costanza e accrescere con generosità, coinvolgendo, al suo interno, tutti i soggetti e tutte le intraprese pastorali della comunità parrocchiale: «Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione».
Di più: l’unità di misura per fare comunione nella parrocchia non è data più dai singoli, né dalle sole famiglie, ma da soggetti almeno potenzialmente più grandi. Per Bergoglio la parrocchia «è comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario».
La creatività evocata da papa Francesco
La valenza pedagogica della “creatività missionaria” chiesta da papa Francesco.
Risulta subito facile capire che la creatività – nella sua proposizione, nella sua motivazione, nella sua pratica – potrebbe apparire complessa o difficile da poter utilizzare sempre e in tutte le situazioni parrocchiali, per diverse ragioni.
Eppure, alla creatività la parrocchia (anche la più piccola e modesta) non deve mai rinunciare nonostante i limiti e le insufficienze.
Particolarmente urgente, in questi casi, sarà raggiungere gli operatori pastorali con aiuti e impulsi opportuni da parte della diocesi, delle zone pastorali e delle foranie, creando utili integrazioni possibili e procurando concreti aiuti pastorali.
La creatività non è un talismano, ma è assai utile e perfino necessaria alla pastorale. Evidentemente la capacità d’interpretare creativamente gli atti pastorali nelle parrocchie è differente, ma è importante saper aderire, umilmente e con buonsenso, alla legge del possibile, della gradualità e perfino della parzialità.
Non bisogna dimenticare che l’opera cristiana ha bisogno delle forme creative a tanti livelli:
* nella scelta dei tempi giusti;
* nello scegliere codici linguistici più adatti a trasmettere messaggi di pre-evangelizzazione e di evangelizzazione;
* nel porre i segni più significativi di testimonianza, di missione e di pastorale;
* nell’esemplificare nel modo più significativo;
* nell’usare senza equivoci il grande registro del silenzio.
A un livello alto, la creatività aiuta perfino a vedere al di là dei confini dell’esistenza, scombinando e ricombinando, oltre i modi consueti e standardizzati, schemi pastorali, strutture organizzative, modelli torpidi di stare al mondo e nella Chiesa, e soprattutto cercando d’imparare a usare lo sguardo adatto (come papa Francesco insegna nella sua raffinata “pastorale dello sguardo”) verso gli uomini del proprio tempo e d’imparare soprattutto a cogliere – con trepida fede – il mistero che essi portano con sé e l’anelito che li anima e li strazia nel cercare Dio, il suo nome e il suo volto.
Evidentemente, i cammini missionari e sinodali di una “Chiesa in uscita” non possono non prevedere l’incontro con i “cercatori di Dio”, ai quali la Chiesa in Italia, in questo primo brano di secolo, ci ha sorprendentemente richiamati, con uno speciale “catechismo” che mancava fra i suoi testi di servizio della Parola.
Una pastorale che sa gestire creatività
Papa Francesco stimola convintamente a che ci sia dialogo tra fede, teologia, pastorale da una parte e scienze dall’altra, come pure egli chiede che i pastori accolgano «gli apporti delle diverse scienze». Quello che manca alla ricezione di questi impulsi magisteriali è il non cercare e meditare, oltre la parola, spesso lapidaria e pastoralmente accesa, il substrato teologico e culturale che li regge e li ispira.
Inoltre, ci sono opportunità e difficoltà che, per così dire, si aggiornano e richiedono la capacità d’interrogarsi criticamente e costruttivamente dinanzi ad essi. Godendo del buono che un pensiero più agile porta con sé, bisognerà anche stare attenti a concepire e a dire la fede in un contesto di pensiero debole, occorrendo perciò distinguere il credere dal credere di credere, il credere dal sentire di credere.
Non basta preoccuparsi, ad esempio, del fatto che oggi si smetta di credere solo perché non si sente o non si sente più: si dovrà prendere coscienza del motivo di questa forma d’abbandono della fede cristiana: essa trova facile accondiscendenza nel nostro tempo post-moderno, così avido e goloso di sensazioni e di esperienze cangianti e inconsistenti, effimere e transeunti, “liquide” appunto, come diceva il sociologo anglo-polacco Zygmunt Bauman.