Dopo la lotta contro gli abusi sessuali commessi nella Chiesa su minori e persone vulnerabili, i vescovi di Francia rompono un altro tabù: le derive settarie che si registrano purtroppo nelle comunità cattoliche con conseguenze pesanti sulle vittime. Hanno così istituito nel 2016 una «Cellula» con il compito di prendere in carico le segnalazioni, avvertire le autorità competenti perché agiscano secondo giustizia, accompagnare le vittime e aiutarle a trovare i mezzi per riprendere in mano la vita ma soprattutto per trovare il coraggio di andare presso i tribunali competenti.
I dati
Tra ottobre 2018 e febbraio 2019, la Cellula – istituita presso la Conferenza episcopale francese – ha trattato 1.300 segnalazioni: 245 per chiamata telefonica; 1.000 per mail; una ventina di lettere inviate per posta e una decina di persone ricevute.
Alla luce delle denunce emerge che le «derive settarie» si registrano nelle comunità religiose nuove e antiche, gruppi religiosi integralisti e tradizionalisti, gruppi di «guarigione» e carismatici, movimenti religiosi.
I dati sono contenuti in un Dossier redatto dalla Conferenza episcopale francese e presentato in conferenza stampa nel corso della quale è stato fatto vedere anche un documentario sull’abuso spirituale coprodotto dalla rete televisiva cattolica KTO e realizzato da Jean-Claude et Anne Duret. Un viaggio di 56 minuti nelle congregazioni e nuove comunità religiose. Un reportage per capire un fenomeno di cui solo da poco tempo si parla nella Chiesa, realizzato soprattutto per «informare ed educare un vasto pubblico sui possibili pericoli della ricerca spirituale».
La reazione dei vescovi
«Noi crediamo – dice mons. Alain Planet, vescovo di Carcassone e Narbonne e responsabile della Cellula – che la sola risposta al male è combatterlo e speriamo di poter dare un contributo che possa aiutare a condurre questa lotta in tutta trasparenza».
Nel novembre 2013, quando una quarantina di vittime aveva lanciato un appello ai vescovi riuniti a Lourdes, il presidente della Conferenza episcopale di Francia, mons. Georges Pontier, a nome di tutto l’episcopato francesi, si era rivolto a loro con una Lettera.
«Abbiamo accolto il grido di persone che hanno sofferto nel cuore della Chiesa. Il nostro pensiero va a coloro che sono feriti, talvolta in maniera duratura, a causa del comportamento di alcuni membri della Chiesa. Come presidente della nostra Conferenza episcopale, vorrei a nome di tutti dirvi che le vostre storie e certe pratiche ci hanno scosso e scioccato». E ancora: «Certi comportamenti che voi denunciate, sono soggetti alla giustizia penale. Nessuno è al di sopra della legge».
Il fenomeno
C’è sempre una serie di criteri dietro ad una deriva settaria in una comunità (cf. L. Prezzi, Suore: abusi e criteri). È sulla base di questi criteri che si percepisce chiaramente che non si tratta più di «una disfunzione accidentale e circostanziale» presente in una comunità, ma di «un vero e proprio sistema messo in atto e mantenuto, consciamente o, più spesso, inconsciamente».
È suor Chantal-Marie Sorlin, ex magistrato ed oggi giudice al tribunale ecclesiastico di Digione, ad elencare i criteri «rivelatori».
Il primo ruota attorno alla figura del fondatore. Un intero paragrafo del Dossier è riservato al «culto» che spesso si genera nei gruppi. Accade cioè che il fondatore o il superiore prende in qualche modo il posto di Cristo: i membri lo venerano, lo mettono su un piedistallo e gli assicurano un’obbedienza o piuttosto un’assoluta sottomissione. Agli occhi dei seguaci, «la sua parola è parola del Vangelo. E i suoi scritti e insegnamenti vengono a soppiantare le Scritture». Guai poi a metterlo in discussione: spesso nelle comunità si fa un «voto di unità» e ogni critica viene vista come un pericolo al patto di fraternità.
L’altro criterio è l’assolutizzazione del gruppo. Tutto ciò che «è fuori», è considerato «tiepido, infedele, modernista». Si è di fronte ad una «chiesa parallela» e chi critica lo fa perché «è incapace» di comprendere il carisma del gruppo. In questo modo, la comunità deve necessariamente essere autosufficiente anche nella formazione o nell’accompagnamento dei suoi membri.
Anche in presenza di patologie psichiche che richiedono cure adeguate, gli psicologi esterni sono considerati il diavolo. A volte viene fatto l’obbligo di confessarsi solo con un membro della comunità. E se è vero che la vita consacrata implica una scelta a lasciare tutto, nei gruppi settari questa rottura diventa isolamento: si rompono i legami con la famiglia, gli amici, la rete sociale, anche con gli studi e la professione.
Niente televisione, radio, stampa, è rottura anche di ogni canale di informazione.
Nel dossier si parla anche di uso di un «vocabolario proprio» (con il ricorso a termini nuovi e con significato diverso) e di «culto della sofferenza» («se vivi la croce, vuol dire che sei sul cammino giusto»).
E chi esce?
È forse il paragrafo del Dossier più triste. «Nelle comunità deviate, ogni partenza è nascosta agli altri membri. Quindi, nessuno si rivolgerà al “traditore”. E poiché l’adepto spesso ha rotto ogni rapporto con tutti i suoi vecchi conoscenti, si ritrova da solo». «Nudo come Giobbe». In quale condizione fisica e psichica si ritrova chi esce della comunità? La persona ne esce distrutta.
«Quante depressioni, quanti tentativi di suicidio, quanti suicidi … E questo perché le persone si sentono colpevoli e si ritrovano con un senso di totale fallimento».
«Tutte queste derive che sono state appena segnalate in alcune comunità cattoliche – conclude la suora – sono assolutamente identiche a quelle che si possono trovare in gruppi settari in generale. Ciò dimostra che l’asse del male non passa tra noi e l’esterno, tra le nostre comunità e il mondo, ma dentro di noi». E poi subito aggiunge: «La presenza di queste derive è però più grave quando si trova laddove si dovrebbero incontrare testimoni autentici di Dio e i frutti autentici di santità».
Agenzia SIR, 17 giugno 2017.