Questa è la Libia. Questo è il porto sicuro che Salvini promuove ogni volta che una nave di migranti chiede un approdo nel Mediterraneo. La bomba che ha fatto oltre quaranta morti a Tajura è solo l’ultimo e più eclatante caso di una guerra che non è scoppiata ora, ma si combatte da diversi anni. E, oggi come qualche anno fa, i migranti sono la variabile di questa guerra, una moltitudine di ostaggi, una sorta di arma usata sia dalle milizie di Sarraj sia da quelle di Haftar.
La teoria del “porto sicuro” non è una creazione del leader leghista. Fu inventata da Minniti quando l’Europa fermò la rotta balcanica facendo un accordo con la Turchia: sei miliardi a Erdogan in cambio del blocco dei migranti. L’Italia di Gentiloni aveva bisogno di “una Turchia” alla propria frontiera sud. La trovò nella Libia, sebbene fosse già in guerra, infestata da trafficanti e milizie e piena di armi degli arsenali di Gheddafi. Puntò su un uomo, Sarraj, e lo fece diventare “presidente”. Non era la “Turchia” ma poteva funzionare.
Salvini ha ripreso “paro paro” quell’impostazione: denaro alle milizie, armi e motovedette alla guardia costiera. Con in più il blocco dei porti alle navi delle ong. E i migranti? E i centri di detenzione? E la strage di Tajura? Chissenefrega.
Raffaele Masto
Almeno 40 persone sono state uccise in un attacco aereo che ha colpito un centro di detenzione per migranti in Libia. Altre 80 sono state ferite nell’esplosione, avvenuta in una struttura in un sobborgo orientale della capitale, Tripoli (questi i primi dati della mattinata; l’aggiornamento alle 21 del 3 luglio parla di oltre 100 morti).
La maggior parte dei morti erano migranti africani. Negli ultimi anni, la Libia è diventata un trampolino di lancio per i migranti che cercano di raggiungere l’Europa. I centri di detenzione gestiti dal governo – come quello colpito – sono in condizioni pessime e spesso si trovano vicino alle prime linee del conflitto. Il paese è stato lacerato da violenze e divisioni da quando il dittatore Muammar Gheddafi è stato deposto e ucciso nel 2011.
Osama Ali, portavoce dei servizi di emergenza, ha dichiarato all’Afp (France Presse) che 120 migranti si trovavano in un hangar che è stato colpito direttamente nell’attacco aereo. Ha aggiunto che il numero di persone uccise potrebbe essere più elevato perché il bilancio delle vittime finora è provvisorio.
Il Governo di Accordo Nazionale (GNA), sostenuto dall’Onu e guidato dal primo ministro Fayez al-Serraj, ha accusato l’Esercito Nazionale Libico (LNA) di essere responsabile dell’attacco. In una dichiarazione, un portavoce ha dichiarato che l’attacco era «premeditato» e «preciso» e lo ha definito «un crimine efferato».
L’Esercito Nazionale Libico – guidato dal generale Khalifa Haftar – da mesi sta combattendo le forze fedeli al governo di Tripoli. Lunedì aveva annunciato che avrebbe iniziato attacchi aerei su obiettivi a Tripoli dopo che «i mezzi della guerra tradizionale» si erano dimostrati poco efficaci.
Ma un portavoce dell’LNA ha riferito all’agenzia di stampa Reuters che le sue forze non hanno colpito il centro di detenzione.
L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati si è detta «estremamente preoccupata» per gli attacchi ai centri dei migranti. Khalid Bin Attia ha assistito alla scena dell’attacco. «Le persone erano ovunque – ha detto alla Bbc -. Il campo è stato distrutto, la gente piangeva e ha subito un fortissimo trauma psicologico. È stato orribile».
Informazione ripresa dalla rivista missionaria dei padri bianchi Africa.