Ci sono dei personaggi che hanno attraversato la nostra storia anche recente lasciando ciascuno, a modo suo, una traccia profonda. Potremmo chiamarli “profeti” del tempo moderno, anche se la loro memoria col passare del tempo tende a sbiadirsi. Tra questi è da annoverare senza dubbio Miguel de Unamuno (1864 – 1936). Originario dei Paesi Baschi (Bilbao), fu poeta, filosofo, scrittore, drammaturgo e politico.
Un piccolo prezioso libretto, atto a ravvivarne la memoria e a mostrare l’attualità del suo messaggio, a 83 anni dalla sua morte, è quello appena pubblicato, per i caratteri dell’editore Pazzini, a firma di Miguel Ángel Malavia, intitolato La fede di Miguel de Unamuno, e curato da Francesco Strazzari.
Non è facile mettere bene a fuoco la sua figura, data la molteplicità degli aspetti che lo caratterizzano. Del resto, egli stesso rifuggì sempre da ogni etichetta. Studiò i filosofi tedeschi, aderì al socialismo che poi abbandonò. Fu rettore della celebre università di Salamanca e decano della Facoltà di filosofia. Entrò anche in politica. Fu deputato alle Cortes. Nel 1935 fu nominato cittadino onorario della Repubblica. Trascorse gli ultimi giorni di vita, dall’ottobre al dicembre 1936, agli arresti domiciliari, quando la Spagna era già in piena guerra civile. Morì di infarto nella piccola casa di Salamanca il 31 dicembre 1936.
La sua appassionata ricerca di Dio
L’aspetto che maggiormente emerge nella figura di Unamuno è la sua ricerca appassionata e sofferta di Dio. La paura che l’ha sempre accompagnato era che la vita eterna non esistesse e aveva il terrore della morte, come scomparsa nel nulla. Si aggrappò con tutte le forze alla necessità della fede. Non cessò mai di lottare contro se stesso alla ricerca della strada che lo portasse alla fede felice di Gesù di Nazaret. E lo fece – scrive Ángel Malavia – prostrandosi con tutta umiltà davanti al mistero, incapace di decifrarlo. Fu cristiano, ma non andava alla messa la domenica, non si comunicava (benché portasse sempre un crocifisso nella tasca della giacca), si tuffò nell’acqua agitata della fede. E lo fece aggrappandosi al vangelo, (che leggeva in lingua greca cercando sempre nuove sfumature da gustare) e alla persona che più lo colpì e della quale si dichiarò discepolo: Gesù di Nazaret.
Ancor giovane, disse addio alla religione dell’infanzia. Fu in quell’epoca che le innumerevoli letture di stampo razionalista produssero in lui un raffreddamento della fede che aveva ereditato in famiglia e nell’ambiente dov’era nato. Passò per differenti esperienze, vivendo momenti culturalmente diversi. C’era in lui un agnosticismo da cui cercava di potersi sentire o dirsi credente, affascinato da Gesù di Nazaret con l’anelito (sempre per la sua disperazione e l’intuizione minacciosa del Nulla), della vita eterna, ossia il passaggio da uno stato permanente di esistenza ad uno stato in cui non cessare mai di essere.
Questa situazione lo portò a vivere una lotta tra due «io»: l’io intimo autentico e l’io esteriore, cioè il personaggio che interagisce con il mondo, alla maniera del ballo in maschera dove è tutto spettacolo. Guardandosi per così dire allo specchio, sentiva continuamente emergere dal suo profondo le domande: «chi sono io? da dove vengo? «Come tale – scrive Ángel Malavia – sperimentava un profondo malessere, quando, incapace di mentire a se stesso, di ritorno a casa, dopo uno dei suoi discorsi di massa, malgrado il trionfo apparente, si rendeva conto di avere trascinato i presenti, dando una versione di se stesso distinta da quella che realmente incarnava con tutto il suo essere».
«La mia religione – diceva – è cercare la verità nella vita e nella vita la verità, anche sapendo che non la troverò finché vivo: la mia religione è lottare incessantemente e instancabilmente con il mistero; la mia religione è lottare con Dio, dall’irrompere dell’alba fino al cadere della notte, come dicono che egli abbia lottato con Giacobbe».
Unamuno, «soprattutto vedeva in Dio l’ansia dell’eternità che gli bruciava il petto». E qui, una volta di più, la contraddizione con la domanda che più gli faceva battere il cuore camminando: è compatibile la salvezza dell’anima con il perdurare del nome nella fama immortale dopo la morte del corpo? «Si rifiutò di lasciarsi portare dalla disperazione – e si aggrappò agonicamente alla fede –, dalla contraddizione, dall’esame continuo, dalla cecità che avrebbe voluto fosse sommersa nell’abbraccio di sua madre».
Il suo amore “deluso” per la Spagna
Oltre alla ricerca di Dio, l’altra sua grande passione fu la Spagna. Percorse il paese per anni con i suoi famosi sermones laicos, discorsi in centri locali, in cui non solo andavano accademici o intellettuali, ma anche operai e contadini, dove sosteneva che la grande questione dell’essere umano, al di là di quella sociale, era quella spirituale. Tutto questo senza sentire la mancanza di dogmi, ortodossie o teologie. La religione di Unamuno, profondamente cristiana, si fondava su questo semplice appello: «siate buoni». Considerava la Spagna come «sua figlia» e si consumò, per così dire, per essere sua coscienza critica.
All’inizio della «incivile guerra civile», come egli la chiamava, appoggiò i ribelli e vide nell’avvento del generale Franco una possibilità di rigenerazione della Spagna alla deriva. Ma la sua euforia durò poco.
Si pentì pubblicamente di questo fatto. Di fronte alle atrocità della guerra civile disse: «Tutto questo succede perché gli spagnoli non credono a nulla. A nulla! Sono senza speranza… Il disperato è colui che ha perso ogni speranza, colui che non crede a nulla e che, privato della fede, è preda della rabbia». Morì confessando amaramente: «Eccola la mia povera Spagna: si sta dissanguando, rovinando, avvelenando e instupidendo».
Unamuno – conclude Ángel Malavia – è stato un meraviglioso ambasciatore di Dio tra gli uomini. «Come cattolico senza macchia, in base a rivoluzioni interiori, saltò nell’ateismo, nell’agnosticismo, nel sì del cuore e nel no della testa, nell’indipendenza da ogni dogma nello stesso tempo che si dichiarava profondo cristiano, nello stesso momento che difendeva Dio, senza avere la certezza della sua esistenza. Miguel esalò il suo respiro finale senza voce, senza risposta».
Fu certamente un uomo profondamente inquieto, ma sempre in ricerca, anche se non è mai riuscito a risolvere tutti i suoi sofferti interrogativi. Tuttavia, con grande «umiltà» e sincerità d’animo, cercò sempre delle risposte, senza mai adagiarsi nella mediocrità o rassegnarsi allo spirito del tempo e alle opinioni dominanti. Certamente un grande uomo. Potremmo vedere in lui un sant’Agostino prima maniera, un “profeta” non solo del suo tempo ma anche dei tempi moderni. Certamente quel Dio «inafferrabile» che aveva tanto cercato, l’avrà accolto tra le sue braccia rivelandogli lo splendore di quella luce che era riuscito solo a intravedere.
«La lezione di vita di Unamuno, così com’è riassunta e riletta nel libro di Malavia, è sicuramente ricca di ispirazione anche per noi oggi. Aiuta a ripensare l’immaginazione, l’utopia e la speranza non fuggendo dalla vita, ma interrogandola fino in fondo. Alla scuola di Miguel de Unamuno, insomma, facciamo nostra una “breve apologia dell’utopia”, utile per i tempi che viviamo».
Miguel Ángel Malavia, La fede di Miguel de Unamuno (a cura di Francesco Strazzari), Pazzini Editore, Villa Verucchio (RN) 2019, pp. 89, € 10,00. ISBN 978-88-6257-329-0