Abbiamo chiesto al vescovo Zosima di Azov, vicario della diocesi di Omsk (Siberia) della Chiesa ortodossa russa, alcune valutazioni sulle questioni pastorali, sociali e spirituali attuali per la fede cristiana – a partire dalla singolare esperienza che vive il suo convento unendo monachesimo a pratica quotidiana della carità verso i poveri e gli emarginati.
Il reverendo Zosima, vescovo di Azov, vicario della diocesi di Omsk e del monastero di San Nicola nel villaggio di Bolshekulachye, è nato il 3 dicembre 1975. Dopo essersi diplomato, ha studiato alla scuola teologica diocesana di Omsk e poi al Seminario teologico di Mosca. Tra il 1996 e il 2001 ha studiato all’Università pedagogica statale di Omsk, tra il 2001 e il 2004 presso il Seminario Teologico di Tomsk. Il 26 marzo 2003, nella chiesa di Kazan della Madre di Dio-Monastero Alekseevsky Tomsk, è stato “tonsurato” monaco con il nome di Zosima in onore di San Zosima di Solovetsky.
Con la decisione del Santo Sinodo del 2 ottobre 2013 è stato nominato alla carica di rettore del monastero maschile Nikolsky nel villaggio di Bolsheklachye, nella regione di Omsk. Dal 2017 è insegnante di omiletica presso il seminario teologico di Omsk. Dal 2018 è membro del Consiglio pubblico, sotto l’ufficio del servizio federale, della regione di Omsk. Ha ricevuto la “Chirotonia” (ordinazione episcopale) l’8 gennaio 2019 nella Cattedrale dell’Assunzione del Cremlino di Mosca.
Traduzione italiana dal russo a cura di Marina Kushpileva, reggente del coro della cattedrale di Omsk; a cui va il nostro ringraziamento anche per aver raccolto l’originale russo dell’intervista.
Quali sono le maggiori sfide pastorali della sua diocesi?
Come problema principale vorrei sottolineare il fatto che la Chiesa cristiana esiste e opera oggi in una condizione, in qualche modo, di “ostruzionismo pubblico”, che nasce come risultato di un serio attacco alla informazione. Questo attacco è diretto nel suo complesso contro il cristianesimo nel mondo, e localmente, in Russia, contro la Chiesa ortodossa quale rappresentanza del cristianesimo, praticamente l’unica.
È molto difficile per la Chiesa entrare nel territorio delle moderne tecnologie politiche e, per di più, non vale la pena entrare in piattaforme in cui si usano metodi che speculano e che manipolano la coscienza di massa.
Dal lato del “principe di questo mondo”, per così dire, queste manipolazioni sono ora finalizzate a profanare il cristianesimo e a focalizzare l’attenzione pubblica su alcuni aspetti compromettenti del cristianesimo.
A motivo del fatto che la società oggi non è molto incline ad analizzare ed approfondire e prende tutto alla lettera nel modo delle reazioni superficiali, io noto come si sta formando un atteggiamento negativo nei confronti della Chiesa nel suo insieme.
Memorie del passato comunista
Potrebbe raccontare la rinascita del suo monastero dopo le persecuzioni comuniste?
La persecuzione comunista non ha influenzato la rinascita del monastero, perché prima della rivoluzione questo luogo, Bolshakulachye con la chiesa di San Nicola, esisteva nello stato di parrocchia. Questa chiesa parrocchiale ha ricevuto lo status di monastero solo nel 1995 con la benedizione del Patriarca Alessio II.
Questo accadde in un momento in cui attorno alla parrocchia, grazie agli sforzi del suo fondatore l’abate Vitali Klyritsky, una certa comunità si era già formata fatta da persone indigenti, povere, spesso solo alla ricerca di qualche tipo di consolazione spirituale. Questa era la situazione quando questa parrocchia ha ottenuto lo status di monastero.
Come monastero, questo luogo è dunque piuttosto giovane: sarebbe più corretto, chiamarlo una dimora cristiana della misericordia. A volte mi piacerebbe trovare una descrizione più accurata in relazione a questo posto – Bolshoklachye -, perché la parola monastero potrebbe apparire fuorviante, non sempre giustificata dalla realtà: descrizioni quali “casa della carità” e “chiostro della misericordia”, appunto, mi sembrerebbero più veritiere.
In questo senso, gli ordini cattolici differiscono per formulazioni più precise, in cui ogni ordine ha alcune caratteristiche specifiche: qualche ordine è più concentrato sui lavori accademici, qualcuno si concentra sulla carità, altri su specie di attività missionaria. Ma nell’Ortodossia, tutto questo è chiamato con una sola parola, “monastero”, senza particolare enfasi sul ministero che questo particolare monastero svolge.
L’unica cosa che si può dire della persecuzione comunista è che la costruzione stessa del santuario in epoca pre-rivoluzionaria (1905) fu fermata, e in epoca sovietica l’edificio fu adibito a granaio e quindi a riparo per il bestiame: furono portate le mucche ove non c’erano!
La rinascita di questo edificio è iniziata nel 1989, quando il “corpo di pietra” è stato trasferito alla giurisdizione della Chiesa ortodossa della diocesi di Omsk.
Vita monastica e questioni sociali del territorio
Qual è per lei l’idea di monastero? È possibile un monastero circondato da problemi mondani?
È molto difficile, quasi impossibile; ma non impossibile. In questo caso deve sussistere un leader spirituale carismatico come profilo monastico, in grado di riunire persone che la pensano nello stesso senso. A volte ciò avviene anche nelle condizioni di una parrocchia cittadina, in particolare a Tomsk, dove ho vissuto per tre anni e dove “ho preso il velo” nel monastero Bogorodize-Alekseevskij che si trova nel centro della città.
La maggior parte del monachesimo ortodosso è tuttavia accademico, candidato allo studio e alla scienza. La specificità del monastero in genere è diversa da quella del mio monastero di Bolskelachye.
Non voglio però che tutto questo si trasformi in una sorta di gioco di termini: questo è un monastero, questo non è un monastero. Penso che ci siano persone che vengono nel monastero non perché non hanno nessun altro posto dove andare, non perché sono socialmente provate e hanno raggiunto una sorta di fondo sociale, bensì perché hanno fatto una scelta e trovato un’alternativa: una scelta libera per vivere una specie di “altra” vita.
Dopo tutto, nel monaco slavo, c’è sempre “un altro”. È la scelta di vivere in modo diverso, per il proprio sviluppo spirituale e per la salvezza della propria anima.
Questo è il momento in cui prevale il numero di queste persone nel nostro monastero: quindi è, e sarà, di fatto un monastero. Noi forniamo un qualche tipo di assistenza sociale alle persone e nello stesso tempo un posto dove tutti possono vivere insieme.
Potremmo usare contemporaneamente la parola “comune”. Il “comune” in latino è lo stesso di kenovia in greco, cioè un “ostello”. Dove sta dunque l’accento in un simile ostello, nella preghiera o nel desiderio delle persone di aiutare e di unirsi tra loro attraverso la preghiera?
La misura che può ancora essere accolta da coloro che vivono in una “comune” per diverse ragioni, è evidentemente diversa dalla misura che una persona può accogliere nel seguire Cristo in virtù della sua scelta consapevole.
Qual è il legame fra monastero e territorio circostante?
Il nostro quartiere è estremamente modesto. Alcune strade si caratterizzano per una popolazione molto diversificata: da proprietari di case di recente costruzione a proprietari di vecchi locali.
Al momento la chiesa del monastero è una chiesa parrocchiale ed è dunque aperta a tutti i residenti del villaggio di Bolshekulachye. Tutti possono pregare nella chiesa e ricevere aiuto spirituale di edificazione.
Se necessario, il monastero fornisce assistenza agli anziani. Le nonne sole che vivono nelle vicinanze del monastero forniscono anche un aiuto materiale: cibo e lavoro (tagliare la legna, falciare l’erba, applicare l’acqua, cambiare il gas nei cilindri).
Inoltre, le risorse monastiche, in particolare il grande refettorio, vengono spesso utilizzate dall’assemblea del villaggio per tenere riunioni. Siamo in collaborazione con le autorità locali.
Gli eventi dedicati alle festività pubbliche – che si tratti di un “giorno della vittoria” o di altra festa di memoria pubblica – spesso li viviamo insieme all’amministrazione del villaggio, sia con preghiere di ringraziamento, sia con servizi di suffragio (“requiem”), con una litania o un servizio funebre.
Come riuscite a mantenere economicamente i monaci e l’edificio?
Ci sono due fonti di reddito e sono abbastanza trasparenti: il negozio di icone che vende prodotti religiosi: icone, utensili, letteratura spirituale; in aggiunta, su richiesta, si fanno commemorazioni per certe, anche se piccole, donazioni che aiutano il monastero; il monastero le accetta e i fratelli accompagnano queste donazioni con la preghiera; e poi la cerchia di persone che si trova attorno a ciascun santuario, che sostiene anche il bilancio del monastero stesso con donazioni private di individui e di organizzazioni; in particolare, recentemente, il monastero ha ottenuto una donazione da parte dell’organizzazione caritatevole cattolica “Caritas di Mantova”, che in tal modo ha sostenuto significativamente il monastero nella sua vita.
Temi di vita spirituale
Come descriverebbe oggi la figura dello starets?
Nella Russia di oggi, come in passato, in effetti, l’anziano è in ogni momento quello che viene chiamato un prodotto, un “pezzo”, un evento raro. “I buoni anziani”, dice sant’Ignazio Branchaninov, “sono ottenuti dai buoni novizi”.
Nel piano ordinario, l’anziano è la persona che è stata novizio, ha passato la scuola di obbedienza dell’anziano ed è la persona che cerca di leggere il Vangelo e gli scritti patristici, non solo con i suoi propri occhi, ma anche con la sua vita.
È lui che può, come Cristo, versare il suo sangue sulla croce per coloro che Dio gli ha affidato. Questo è davvero un anziano.
Tutto il resto è una sorta di spiritualismo, che molto spesso, secondo sant’Ignazio Branchaninov, si trasforma in una commedia indegna, quando sia il pastore che il gregge si rappresentano in una sorta di gioco di ruolo fatto di relazioni pseudo-spirituali.
C’è un’altra opinione su questa domanda: di nuovo viene dalla patristica. Se un buon novizio affida completamente la sua volontà a Dio e prega il Signore attraverso una certa persona, sia questa il suo confessore o l’egumeno del monastero o il parroco, rivelando la sua volontà a lui, accade allora che il Signore vede la fede del novizio e la sua speranza incrollabile e quindi accade che il Signore parli le Sue parole con la bocca del padre spirituale a cui il novizio è vicino.
Il Signore rende dunque una qualsiasi persona un “anziano” e non delude la speranza e la fede del novizio (non è quindi solo una questione di età).
Cioè, secondo la sua opinione, non ci sono praticamente più anziani (starets) adesso?
È mai stato forse un fenomeno di massa? I grandi compositori sono forse un fenomeno di massa? Come disse uno dei padri “Il vero monaco è la creazione dello Spirito Santo” quindi come può essere un fenomeno tanto diffuso?
Relativamente parlando, il più anziano appartiene alla categoria più alta della gerarchia spirituale, anche se non sono sicuro che valga la pena trasferire la gerarchia spirituale, semplicemente, in gerarchia.
Qual è il ruolo della liturgia e del canto nelle celebrazioni monastiche?
Il ruolo della liturgia è grande nella vita di ogni cristiano, perché è la base e il nucleo della vita cristiana: la liturgia è come un atto di unione diretta con il Signore attraverso l’accettazione del suo corpo e del suo sangue. Quindi il mondo cristiano dovrebbe avere la liturgia al centro, con il desiderio di una costante comunione ai santi misteri di Cristo. Pertanto, la liturgia ha il primo posto per il cristiano.
Circa il ruolo del canto, nei regolamenti monastici è prescritta la regola secondo la quale i fratelli cantano i salmi; ma in realtà i fratelli non cantano i salmi: li leggono in un tono di canto o melodie.
Questa è la grande risorsa di parrocchie o dei monasteri, anche se il contingente di cantori tra i fratelli non è grosso. La melo-declamazione e la capacità di cantare all’unisono le opere del canto znamenny è davvero la parte più significativa del culto ortodosso. Come mostra la pratica, non tutti sanno cantare e leggere: dobbiamo lavorarci sopra!
Letture per il monachesimo ortodosso
Quali sono i testi di lettura teologica e spirituale che consiglia ai suoi monaci?
La “scala” di San Giovanni della Scala, l’insegnamento edificante del Rev. Avva Dorofey, tutte le opere di Ignatius Branchaninov.
Branchaninov, in particolare, ha adattato la letteratura ascetica dell’antichità al lettore contemporaneo del XIX secolo: sembra già un po’ arcaico per una persona del XXI secolo, ma nessun altro ha ancora fatto questo lavoro; quindi, l’eredità di Ignazio Branchaninov per noi è davvero una perla della letteratura ascetica.
Le opere di S. Silouan l’Athonite, di S. Theophan il Recluso, le lettere degli anziani di Optina sono oggi applicabili a molte situazioni. Tutti questi libri sono stati ristampati molte volte e sono liberamente disponibili. Non sto parlando di leggere il Vangelo, perché questo è ovvio.
Guardando a occidente: la vita religiosa
Come giudica il monachesimo occidentale?
È difficile per me valutarlo, perché per valutare qualcosa, si deve avere un’idea al riguardo; non sono pronto a distribuire valutazioni generali sugli oggetti a me sconosciuti e non lo farò.
Posso solo parlare della mia esperienza di contatto. A Tomsk c’è una delle parrocchie cattoliche russe. Qui, a quanto ho capito, lavorano le suore di Madre Teresa. Ho visto io stesso come vengono al monastero, come sono legate ai santuari ortodossi, come pregano nella chiesa del monastero, nonostante il fatto che non ricevano sempre un’accoglienza ospitale persino da parte del clero.
Ho dovuto, come novizio, vedere alcune azioni senza tatto di uno dei sacerdoti in relazione a queste sorelle venute per l’unzione: ha rifiutato di ungerle, anche se questo non è un rito sacro e quindi non ha alcun senso fare un tale clamore.
Ho visto come le suore si prendevano cura degli ammalati, a cui i preti del monastero di Tomsk erano spesso invitati per adempiere l’ultima volontà in questo rifugio sociale (dei cattolici) rimanendo allo stesso tempo ortodossi.
In virtù di questi pochi, personali contatti, ho avuto l’impressione – almeno sull’esempio della diocesi di Tomsk – di suore e di persone che rispondono in coscienza alla chiamata del cuore nell’amore cristiano, assolvendo il loro dovere.
La struttura della divisione cattolica degli ordini nella sua specificità è molto interessante: da qualche parte c’è un dotto monachesimo, da qualche altra parte ci sono missionari, da qualche altra parte ancora ci sono persone che svolgono servizi sociali. L’esperienza secolare della Chiesa cattolica e occidentale in generale in questa direzione merita attenzione.
Cosa significa per lei l’ecumenismo fra le Chiese cristiane?
Per me l’ecumenismo tra le chiese cristiane significa, soprattutto, relazioni di buon vicinato, semplici relazioni umane, costruite sulla base dell’amore cristiano, dell’armonia, della filantropia: dove non c’è posto per ambizioni e scontri, e dove c’è posto solo per la vera pace di Cristo.
Questa è inoltre la base su cui è possible sviluppare progetti utili e reciprocamente arricchenti per lo stesso servizio sociale, come la Caritas di Mantova dimostra con successo, nel nostro caso.