– Prof. Andrea Grillo, il tuo blog “Come se non” raccoglie molta attenzione fin dal suo apparire. Puoi raccontare i momenti di maggiore interesse fra i lettori, le polemiche più creative?
Forse la sfida più importante che, fin dall’inizio, ho voluto assumere, è una presa di parola teologica senza paura del confronto con la cultura pubblica. Il confronto è stato aperto e franco, con una scelta di parresia che è originaria e poco comune in teologia. I temi liturgici sono stati quelli portanti e sui quali ci sono state polarizzazioni forti. In verità, il cuore del blog è la ripresa del Vaticano II, con nuovi linguaggi. Ma questo non significa, invece, che il “mezzo” non possa essere usato in senso opposto: per barricare i teologi in una cittadella virtuale del tutto immune dal mondo. Così, allo stesso tempo, un blog può essere oggi la traccia più chiara della “fine dell’antimodernismo teologico”, ma anche un “ritorno di fiamma” delle forme peggiori di antimodernismo ecclesiale.
– Nel passato, un teologo alimentava l’insegnamento con la ricerca. A cui affiancava la pubblicazione di libri e qualche incursione nei media su giornali di nicchia. Poter scrivere in tempo reale per una vasta platea di utenti come ha modificato la comunicazione del teologo? Con quali vantaggi e svantaggi?
Uno dei pregiudizi, che sopravvivono anche oggi, è che il teologo non debba mai parlare in tempo reale: il mezzo qui ha modificato il messaggio e crea molto più facilmente conflitto. E trovi sempre qualcuno che vuole insegnarti una dottrina della Chiesa che tu – a suo avviso – non rappresenti e anzi contesti. Questo crea lo spazio per un dialogo che, di fatto, ottiene un risultato che considero molto importante: isola la “teologia di corte”, che anche oggi rimane molto forte. La teologia di corte non serve: né quella della corte di Giovanni Paolo II, né quella della corte di Benedetto XVI e nemmeno quella della corte di Francesco. Il teologo, quando fa teologia di corte, abdica dal proprio mestiere e diventa un pr o un capoclack.
Le trappole dei social
– I social sono spesso abitati da insulti e da risposte presuntuose quanto banali. Ti è successo?
Mi è successo, molte volte. Ho imparato molto, soprattutto dai miei errori di gestione: talvolta bisogna rispondere, talvolta no. Discernere non è facile. Ho superato tante incertezze e ho appreso a non cadere nelle trappole di cui è pieno il mondo virtuale. Ma questo non mi impedisce di averne un’esperienza largamente positiva: se ben gestita, la presenza su blog e social media arricchisce e rende più esperti. Ho imparato molte cose da essi.
– Poter intervenire su temi ecclesiali discussi e di attualità senza nessun tipo di filtro cambia anche l’insegnamento? I temi classici della ricerca vengono rimossi?
Cambia il modo di leggere la tradizione. Ovviamente non è che, con questo, lo stile classico del teologo venga semplicemente messo da parte. Ma viene ripensato, ristrutturato, meglio articolato. Crescono anche le responsabilità: se intervieni subito, su un tema di dibattito pubblico, ecclesiale o politico, sfuggi ad ogni controllo. Questo lascia un margine di arbitrio che deve essere gestito con cura. Ma è falsa la soluzione che colloca il teologo in un luogo “altro”, sottratto al dibattito.
– C’è un cambiamento nel linguaggio? In che senso?
Le “differenze” di cui vivono i social media sono delicatissime, proprio sul piano linguistico. E se il tecnicismo teologico resta sempre un ottimo nascondiglio, la traduzione in linguaggi comuni è assai rischiosa e richiede, insieme, audacia e prudenza. Usare nuovi linguaggi è però un’avventura decisiva per la teologia di oggi e di domani. Qui siamo tutti troppo timidi e impauriti. Uno dei più coraggiosi è il papa. I teologi dovrebbero imitare il suo coraggio nel dire le cose in modo nuovo e non meno, ma più fedele.
Opportunità di dialogo
– Quali opportunità e quali pericoli intravvedi?
L’opportunità è quella di poter parlare proprio a chi mai avrebbe potuto entrare in contatto con i “discorsi teologici”. Il rischio è di essere fraintesi, di banalizzare la tradizione, di nascondere la complessità oggettiva delle questioni. Credo però che i pericoli siano inferiori alle opportunità.
– Funzionano meglio i blog personali o quelli delle Associazioni e dei gruppi?
La mia esperienza dice che i blog personali possono essere gestiti in modo assai incisivo. Il mio blog, però, da quando è diventato “parte” del portale della rivista Munera ha goduto di un “traino” non piccolo.
– Gli altri social come facebook (FB) o twitter sono ugualmente frequentabili?
Con FB ho un rapporto molto intenso e lo trovo un ambiente di discussione di informazione di grande importanza. Con twitter, finora, non ho ancora imparato a prendere le misure. Pur in un uso limitato e settoriale, trovo che FB permetta un’esperienza di confronto che può essere realmente formativa.
Studenti, colleghi e controllori
– Che ne pensano i tuoi studenti?
Gli studenti, per quello che posso percepire, hanno un certo rapporto di curiosità con il blog, quando non vengono direttamente rimandati al blog per studiare alcuni temi. Non è raro che, negli ultimi tempi, io indichi testi miei o altrui usciti sul mio blog come punto di inizio di una ricerca teologica.
– I responsabili delle istituzioni accademiche come reagiscono? Si confrontano fra loro?
Credo che vi sia una certa consapevolezza che siti internet, blog, FB sono diventati terreni di incontro e di scontro teologico. Si deve notare come anche il dissenso ecclesiale, di destra come di sinistra, ricorre ai blog per esercitare pressione sulle istituzioni ecclesiali.
– Altro lavoro per la Congregazione della dottrina della fede?
I nuovi media, modificando le forme dell’ascolto, della presa di parola e del consenso, costringono anche gli organi di controllo e di indirizzo ad un grande rinnovamento. Da un lato, la tentazione sarebbe quella di “ricostituire”, al posto dell’indice dei libri proibiti, una sorta di “indice dei siti proibiti”. O di chiedere non più la distruzione di libri o articoli, ma la cancellazione di essi dalla rete. Ma questa sarebbe una soluzione vecchia e inadeguata ad un problema nuovo e urgente. Al cui centro sta il modo nuovo con cui la Chiesa si prende cura del consenso al suo interno. Su questo piano credo che l’esperienza del confronto e del dialogo sia inaggirabile, e non possa essere risolta con posizioni assunte semplicemente ex auctoritate. Né si deve dimenticare che, mentre prima si scrivevano lettere a Roma per screditare teologi o pastori, oggi si aprono blog che funzionano da “macchine del fango”. Le Congregazioni possono restare vittime di una sproporzione virtuale costruita sul nulla.