Vincent Lambert è morto nella mattina dell’11 luglio, dopo un’estenuante battaglia legale.
E adesso? Sulla vicenda si sono confrontati due schieramenti: da un lato, gli oltranzisti la cui posizione si riassume in una semplice quanto fumosa espressione: «basta che respirano». Finché c’è respiro c’è vita e non è lecito interromperla: mai, in nessun caso, per nessuna ragione. Pazienza se la realtà sia sempre più complessa rispetto all’ideologia. Un esempio di questa confusione oltranzista è qui.
L’altra posizione è quella di effettuare valutazioni e distinzioni cercando di entrare nel merito delle situazioni. Pur nella difficoltà del “caos” mediatico che è stato fatto e per il “caos” giudiziario (una ricostruzione per SettimanaNews è recente ed è qui).
Da segnalare il commento di don Thierry Magnin, segretario generale e portavoce della Conferenza episcopale francese. «È difficile – ha notato su La Croix del 12 luglio –, nella società francese, comprendere davvero quale sia la posizione della Chiesa su questi temi. La si taccia di avere posizioni “bioconservatrici”, perché sostiene la dignità inalienabile di ogni persona. È una reazione che squalifica il messaggio cristiano e non ne fa comprendere la profondità».
Una posizione pacata e interessante è quella espressa dallo scrittore Michel Houllebecq e riportata in Italia dal Corriere della Sera del 12 luglio.
«Vincent Lambert non aveva lasciato nessuna disposizione scritta. Circostanza aggravante, era infermiere. Avrebbe dovuto sapere, meglio di chiunque altro, che l’ospedale pubblico ha ben altro di cui occuparsi che non mantenere in vita gli handicappati (gentilmente riqualificati come “vegetali”). La sanità pubblica è allo stremo e, se ci sono troppi Vincent Lambert, si rischia di rimetterci un mucchio di soldi (a proposito, vorrei sapere perché: un sondino per l’acqua, un altro per l’alimentazione, non mi sembra che ciò richieda un intervento di alta tecnologia, si potrebbe fare a domicilio, e lo si fa nella maggioranza dei casi, ed è quanto hanno sempre reclamato, a gran voce e con grande insistenza, i suoi genitori). (…) Non era nemmeno in fin di vita. Viveva in uno stato mentale particolare, sul quale sarebbe molto più onesto ammettere che non si hanno finora cognizioni precise. (…) In questa circostanza, era necessario uccidere Vincent Lambert? E perché proprio lui, anziché le altre migliaia di pazienti che in questo momento, in Francia, versano nelle medesime condizioni? Trovo difficile scrollarmi di dosso il sospetto sconcertante che Vincent Lambert sia morto per un’eccessiva mediatizzazione, per essere diventato, suo malgrado, un simbolo. Si trattava, per la ministra della Salute e “della Solidarietà”, di dare un esempio. Di “aprire una breccia” nella mentalità, per farla “evolvere”. Detto fatto. La breccia è stata aperta, non c’è dubbio».
Temi su cui riflettere. E la Chiesa?
Oltre alla posizione equilibrata dei vescovi francesi, da segnalare l’opera svolta dalla Santa Sede. «Monsignor Paglia e tutta la Pontificia Accademia per la Vita pregano per la famiglia di Vincent Lambert, per i medici, per tutte le persone coinvolte in questa vicenda. La morte di Vincent Lambert e la sua storia sono una sconfitta per la nostra umanità». Sono passati pochi minuti dal decesso e il primo messaggio è del presidente della PAV.
Poco dopo, la dichiarazione della Sala stampa vaticana: «Abbiamo accolto con dolore la notizia della morte di Vincent Lambert. Preghiamo affinché il Signore lo accolga nella sua Casa ed esprimiamo vicinanza ai suoi cari e a quanti, fino all’ultimo, si sono impegnati ad assisterlo con amore e dedizione. Ricordiamo e ribadiamo quanto detto dal Santo Padre, intervenendo su questa dolorosa vicenda: Dio è l’unico padrone della vita dall’inizio alla fine naturale ed è nostro dovere custodirla sempre e non cedere alla cultura dello scarto».
Che altro aggiungere?
Un dettaglio (apparente): la Cassazione francese il 28 giugno non ha autorizzato la sospensione dei trattamenti a Vincent Lambert. Ha piuttosto dichiarato illegittima la decisione del tribunale di Reims di proseguire i trattamenti. Tanto per chiarire che, in punta di diritto, la vicenda ha preso la strada di una complessità estrema in cui si inseriscono appunto, gli opposti estremismi.
Per questo spicca, una volta tanto, il tentativo di rendere edotta l’opinione pubblica cattolica (e non solo). Come ha cercato di argomentare su Famiglia Cristiana il 10 luglio mons. Vincenzo Paglia. «Davanti a queste drammatiche lacerazioni, si tratta di assumere anzitutto un atteggiamento di raccoglimento e di preghiera vicendevole, perché si possano trovare vie di comunicazione che favoriscano la riconciliazione più che la controversia, sul piano familiare e sociale. Dovremmo inoltre evitare di affidare la soluzione solo a un gesto tecnico o giuridico per cercare insieme un accordo più ampio possibile. È un cammino che richiede impegno non solo personale, ma anche collettivo, per elaborare quel senso della vita che la sofferenza mette in questione e per far fronte al limite radicale che la morte rappresenta. Si tratta di risvegliare le forze che la cultura ha sempre mobilitato nella storia dell’umanità, in tutte le sue espressioni simboliche, da quelle artistiche a quelle religiose, offrendo ragioni per vivere. Solo una più diffusa e profonda formazione delle coscienze potrà prepararci a decisioni così drammatiche e complesse. Nella consapevolezza che mai nessuno deve essere abbandonato. Sempre, invece, deve essere accompagnato dall’amore. Che sconfigge anche la morte».
Certo, di fronte alle posizioni oltranziste del “basta che respirano” evidenziate in apertura, si capisce come sarà davvero lunga e faticosa la strada per far crescere cultura e consapevolezza nel mondo cattolico, a sua volta inserito in un mondo davvero complesso (e iperconnesso).