«Uno degli sforzi più necessari è imparare ad usare immagini nella predicazione, vale a dire a parlare con immagini… Un’immagine attraente fa sì che il messaggio venga sentito come qualcosa di familiare, vicino, possibile, legato alla propria vita. Un’immagine ben riuscita può portare a gustare il messaggio che si desidera trasmettere, risveglia un desiderio e motiva la volontà nella direzione del Vangelo. Una buona omelia, come mi diceva un vecchio maestro, deve contenere “un’idea, un sentimento, un’immagine”» (EG 157).
Questa citazione rende ragione dello stile comunicativo utilizzato da papa Francesco. La citazione riguarda in primo luogo l’omelia, ma vale anche per tutti gli altri modi di comunicare. Papa Francesco, infatti, ne fa uso anche nei discorsi, nei messaggi, nelle udienze, negli incontri, nelle interviste.
Non è stato difficile perciò per Luigi Accattoli, già vaticanista di Repubblica e del Corriere della Sera, saggista, e collaboratore de Il Regno, e per il giornalista Ciro Fusco raccogliere in un gustoso volume le tante immagini (parabole, racconti, esempi) utilizzati in questi anni da papa Francesco. Ce ne presentano 110.
Ma prima si pongono la domanda: perché papa Francesco usa questo genere narrativo?
La risposta che dà Luigi Accattoli è la seguente:
- per esplorare il nuovo,
- per scuotere gli ascoltatori,
- per dire qualcosa dove non può dire tutto.
Ma, prima di tutto, perché nel Vangelo Gesù usa questa modalità di annuncio. E se lui è il Maestro…
Dunque, per esplorare il nuovo. È chiaro che papa Francesco vuole una Chiesa in movimento, una Chiesa che si schiodi dal “si è sempre fatto così”. Ma il nuovo non sempre viene accettato benevolmente, anzi… La parabola, la similitudine, il paragone – che è immagine – lo esonera dal pronunciamento magisteriale e, nello stesso tempo, costringe l’interlocutore a fare i conti con la forza (e l’evidenza) della realtà.
Poi, per scuotere gli ascoltatori. Lo diceva anche il card. Martini nel libro Perché Gesù parlava in parabole: «per scuotere la gente». Papa Francesco lo fa raccontando e affrontando situazioni limite, difficoltà nel credere, gravi ferite interiori. La sincerità e l’immediatezza del racconto non può lasciare indifferente chi ascolta o legge. E lo costringe a pensare.
Da ultimo, l’uso della parabola consente di dire qualcosa dove non si può dire tutto. Il card. Martini, nel libro sopra citato, lamenta che oggi in Europa «non sappiamo creare nuove parabole». Questo papa non europeo, ma venuto «dalla fine del mondo», è capace di una narrazione nuova e inedita. Anzi, a ben leggere questi sei anni di pontificato, si può dire che lui stesso è una parabola, se ripensiamo ai tanti gesti inusuali di cui è stato capace. Il libro ne ripropone una gustosa antologia.
C’è un’accusa ricorrente nei confronti di papa Francesco: di rendere incerto il messaggio del Vangelo, di non fornire dei punti fermi e sicuri. A parte la superficialità di una simile accusa, rimane vero che a tutto non c’è una risposta immediata. Per cui, per papa Francesco dire: «“Signore non capisco” è una bella preghiera». Non tutto si può spiegare, non tutto deve essere giustificato. Ecco che la parabola (narrazione o gesto) lascia aperti spazi di interpretazione, suscita sensazioni, pone interrogativi.
Non abbiamo raccontato in questa recensione nessuna delle 110 parabole contenute nel testo per lasciare al lettore il gusto della sorpresa. I due giornalisti hanno goduto nello scoprirle e nel raccontarle, il lettore ne vivrà il fascino e la freschezza scorrendo queste pagine.
Luigi Accattoli – Ciro Fusco, C’era un vecchio gesuita “furbacchione”, ed. Paoline, Milano 2019, pp. 200, € 14,00. ISBN 978-88-315-5154-0