Il clamoroso risultato elettorale in Ucraina a vantaggio della formazione politica del neo-presidente Volodymyr Zelensky (21 luglio) e l’assemblea straordinaria dell’eparchia della Chiesa ortodossa di tradizione russa in programma a Parigi il 7 settembre prossimo sono eventi non comparabili.
Eppure, i cambiamenti ecclesiali nell’ortodossia ucraina facilitati dal risultato elettorale condizionano i rapporti fra il patriarcato di Mosca e di Costantinopoli fino alle loro periferie, come è appunto il caso della Chiesa di tradizione russa a Parigi. Il racconto richiede tre passaggi: la questione politica ucraina, lo sviluppo dello scontro fra i due patriarcati e la specificità propria dell’arcidiocesi di tradizione russa, obbligata a decidersi per l’obbedienza costantinopolitana o moscovita.
Una maggioranza meno sinfonica
Il clamoroso risultato delle elezioni presidenziali del 21 aprile scorso che ha visto l’elezione di Volodymyr Zelensky (73%) di contro all’ex-presidente Petro Poroshenko si è rinnovato nelle elezioni politiche del 21 luglio. Per la prima volta nella storia post-sovietica del paese un partito politico (Servitori del popolo) nato per sostenere la candidatura del’attore comico Zelensky arriva alla soglia del 42,4% e si assicura una maggioranza nel parlamento (Rada), garantita dall’alleanza con una formazione similare, Holos (La voce), fondato da un cantante rock, Sviatoslav Vakartchouk, che ha raccolto il 6,5% dei votanti.
Nel terremoto politico escono da sconfitti sia l’ex-presidente Poroshenko (8,8 %) sia l’ex-primo ministro Julia Timochenko (7,4%). Secondo partito risulta essere il gruppo filo-russo (12,8%), ma anche la parabola dei suoi consensi è in discesa. A 15 anni dalla «rivoluzione arancione» (2004) e a 5 anni dalla «rivoluzione di piazza Maidan» (2014) la volontà popolare di uscire dalle formazioni politiche tradizionali e dai vincoli alle molte sfide non affrontate (la corruzione, l’occupazione russa della Crimea, la guerra del Donbass, il peso condizionante degli oligarchi, la crisi economica ecc.) ha prodotto un cambiamento dagli esiti ancora tutti da decifrare. Zelensky ha finora addebitato alle resistenze della Rada l’avvio faticoso delle riforme promesse.
Ora è chiamato a dare consistenze agli indirizzi indicati: fine dell’immunità degli eletti, riforma elettorale, amnistia fiscale, riforma giudiziaria, liberalizzazione economica, fine della guerra nel Donbass, restituzione della Crimea, ecc. Guardato con favore dall’Unione Europea e, ma in misura minore, dall’amministrazione americana, Zelensky ha contattato telefonicamente Putin dopo anni di totale incomunicabilità fra le due capitali.
Il presidente e la nuova maggioranza si sottraggono al vistoso patrocinio dei loro predecessori rispetto al confronto tra le chiese ortodosse operanti nel paese. L’aperto sostegno di Poroshenko per un’unica Chiesa (rispetto alle tre operanti) riconosciuta autocefala (autonoma) dal patriarcato di Costantinopoli con il conseguente scontro diretto fra Mosca, legatissima ai territori ucraini e alla locale chiesa filo-russa, è stata raccontato più volte (cf. su Settimananews: Scisma ortodosso: uno spiraglio; Ucraina e Ortodossia: indomabile Filarete; La crisi ucraina, apice di una crisi ecclesiale; Ucraina: teologia e unità dell’Ortodossia; Ucraina, all’indomani del Tomos; Costantinopoli, l’Ucraina e la nuova geografia ortodossa).
Il venir meno della spinta politica in funzione anti-russa, una pratica politica meno ispirata alla «sinfonia» della tradizione ortodossa, ha indebolito la nuova chiesa autocefala, travagliata da fratture interne, dall’aperto dissenso di uno dei suoi «fondatori», Filarete, il «patriarca» di Kiev, e dalle disposizioni della magistratura che ha cancellato l’obbligo delle chiesa filo-russa di cambiare il proprio nome e statuto. È indicativo il commento del metropolita Hilarion, presidente del dipartimento degli affari esteri del patriarcato di Mosca, che così commenta: «Al patriarca Bartolomeo era stato promesso che Poroshenko sarebbe rimasto al potere e avrebbe spinto (la nuova chiesa) attraverso l’inclusione forzata dell’episcopato e del clero nell’autocefalia di nuova creazione. Tuttavia, Poroshenko non è riuscito a rimanere al potere mentre il nuovo presidente dell’Ucraina non interferisce nella affari delle chiese, dando loro credito.
Tutti dovrebbero occuparsi dei propri affari; i politici della politica, i leader ecclesiali della chiesa». Il confronto fra la Chiesa filo-russa e quella autocefala si misura anche dal confronto tra le processioni. Vasta risonanza hanno avuto le tradizionali processioni al monastero di san Giovanni teologo (5 luglio) e quella in memoria del miracolo di Kalinovka (6 luglio). Ambedue a carico della Chiesa filo russa. Che ha vinto la sfida anche in occasione delle manifestazioni per il 1041 anniversario della conversione della Rus (27-28 luglio): 30.000 hanno partecipato alla celebrazione filo-russa, 15.000 a quella autocefala. Poche centinaia per quella voluta da Filarete. Con i politici filo-russi schierati in prima fila nella processione di Onufrio e quelli antirussi ai primi posti in quella di Epifanio. Per tutti le congratulazioni del presidente Zelensky che ha ricordato come la celebrazione nata per incentivare l’unità del popolo non debba piegarsi a mostrarne le divisioni.
L’Ortodossia trattiene il respiro
Dopo il riconoscimento dell’autocefalia a Kiev da parte di Costantinopoli le Chiese ortodosse vivono come sospese. Il pericolo di una deflagrazione è stato finora contenuto dalla duplice distanza delle Chiese rispetto sia a Mosca che a Costantinopoli.
Il pericolo di una deflagrazione è stato finora contenuto dalla duplice distanza delle Chiese rispetto sia a Mosca che a Costntinopoli. Pur riconoscendo che i sacri canoni prevedono la canonicità di una Chiesa all’interno dei confini nazionali, il riconoscimento costantinopolitano verso Kiev non è stato finora apertamente condiviso da nessuna delle Chiese storiche (sono 14, comprendenti anche Mosca e Costantinopoli). Nello stesso tempo, la decisione di Mosca di rompere unilateralmente la comunione eucaristica con Bartolomeo non ha avuto imitatori. Una doppia prudenza che impedisce ai molti conflitti locali una temuta valenza distruttiva dell’unità del’Ortodossia. L’azione e i viaggio dell’arcivescovo Crisostomo di Cipro, d’intesa con il patriarca di Albania, Anastasio, è uno dei segnali della volontà di uscire da una impasse pericolosa.
Nonostante i divergenti interessi e le opinioni contrapposte delle singole chiese né la Georgia, né la Serbia, come anche la Grecia, Cipro, Romania, Bulgaria e la comunità monastica dell’Athos non hanno finora preso una posizione definitiva. Cresce la domanda di un dialogo diretto fra Mosca e Costantinopoli e di una convocazione pan ortodossa. Ma né l’uno né l’altra sono prevedibili a tempi brevi. Va registrata l’accorata difesa di Bartolomeo, in evidente difficoltà: «Le dichiarazioni e le informazioni provenienti da qualsiasi parte secondo cui il patriarca ecumenico per concedere il tomo dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa d’Ucraina avrebbe chiesto, ricevuto o preteso, una qualche forma di compensazione, economica o d’altro tipo, da parte di personalità politiche o ecclesiastiche, sono prive di fondamento e calunniose.
Tali affermazioni feriscono profondamente la Chiesa madre di Costantinopoli da cui nove altre Chiese locali, compresa quella di Mosca, hanno ricevuto l’autocefalia secondo procedimenti analoghi e similari». «La situazione dell’Ortodossia è in sofferenza, in particolare nelle relazioni fra la Chiesa-madre di Costantinopoli e la Chiesa-figlia di Russia. Tale Chiesa ha purtroppo voluto interrompere la comunione con noi, patriarcato ecumenico, per mostrare il suo dissenso nei confronti della Chiesa ucraina. Non abbiamo voluto seguirla su questa strada, noi l’amiamo come sempre».
Parigi: i fuoriusciti russi e la traversata del moderno
Il caso della Chiesa ortodossa di tradizione russa con sede a Parigi e operante in nove stati dell’Europa occidentale (un centinaio di parrocchie e diversi monasteri ed eremi, con un legame particolare con l’Istituto teologico San Sergio a Parigi) entra nel complicato intreccio delle relazioni intra-ortodosse come parte delle comunità di obbedienza costantinopolitana.
Bartolomeo ha esercitato il suo «primato fra pari» concedendo l’autocefalia alle Chiese del centro-Europa (Polonia, Cechia) e del Nord (Finlandia), riconoscendo l’autocefalia dell’Ucraina e rivendicando il riferimento a Costantinopoli delle aree mondiali che non appartengono ai tradizionali territori canonici. In tale contesto ha «messo ordine» anche in Europa occidentale sopprimendo l’esarcato (arcidiocesi) della Chiesa ortodossa di tradizione russa, nata dai fuoriusciti al tempo della rivoluzione d’ottobre (1917) e riconosciuta come diocesi nel 1999.
Fedeli, parrocchie e istituzioni devono rientrare nell’obbedienza diretta dei gerarchi di nomina costantinopolitana. In base al principio che in uno stesso territorio non devono esserci Chiese, vescovi e ordinamenti diversi.
La decisione, imprevista e non concordata (27 novembre 2018), ha ferito profondamente l’esarcato, guidato dal vescovo Giovanni. Il 23 febbraio 2019 una assemblea generale straordinaria ha respinto la richiesta di Bartolomeo col 93% dei voti.
Nel frattempo, si è avviato un frenetico giro di consultazioni per trovare il modo di salvare l’autonomia della diocesi: da Costantinopoli alla Chiesa ortodossa russa d’Oltrefrontiera (operante nell’America del Nord e già rientrata nell’obbedienza moscovita), dal Patriarcato di Romania a quello di Russia.
Una assemblea pastorale formata dai preti, diaconi e laici del consiglio diocesano (11 maggio 2019) ha espresso la sofferenza profonda subita dal corpo ecclesiale e ha messo sul tavolo le possibili ipotesi: obbedire a Costantinopoli dissolvendo l’esarcato, trovare una formula per salvare l’autonomia della diocesi in dialogo con altre Chiese ortodosse, rientrare nell’obbedienza del patriarcato di Mosca, non prendere alcuna decisione per una sorta di auto dissoluzione. Il rischio è la dispersione di uno straordinario patrimonio che si rifà alle istanze riformiste (e democratiche) del concilio di Mosca del 1917, che ha visto lo sviluppo di un pensiero teologico di altissimo livello e che ha fatto i conti dal versante ortodosso con la modernità dell’Occidente.
Tornare con Mosca?
La difficoltà canonica e giuridica di una autonomia che non abbia un legame con una Chiesa-madre rende difficile una presenza solitaria e anti-canonica della comunità. L’incomprensibile rigidità costantinopolitana sembra impedire una soluzione di compromesso.
Rimane il confronto con il patriarcato di Mosca che guarda con molto interesse ad inglobare le parrocchie dell’esarcato e che ha già creato una propria diocesi per l’Europa occidentale. Si racconta di un vivacissimo dialogo-scontro fra rappresentanti dell’arcidiocesi e del patriarcato a Vienna il 21 giugno scorso in cui sono state affrontate le richieste delle comunità di tradizione russa: rispetto dell’indipendenza amministrativa e dei propri statuti; custodia delle pratiche liturgiche e linguistiche; processi elettorali autonomi per vescovi e ruoli secondo i principi del concilio di Mosca del 1917; riconoscimento dello statuto di distretto metropolitano con un proprio metropolita; diritto di partecipazione per vescovi e delegati ai concili della Chiesa-madre.
Alla fine di giugno uno dei rappresentanti russi nella commissione di negoziazione, il vescovo Savva, ha detto che il patriarca Cirillo è disponibile a modificare gli statuti della Chiesa russa per dare ospitalità all’esarcato di tradizione russa nelle proprie fila. A questa ipotesi dovrà rispondere l’assemblea straordinaria convocata per il 7 di settembre.
Greco-cattolici senza patriarcato
A margine della narrazione riguardanti le Chiese ortodosse si può aggiungere un accenno alla riunione del sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina in Vaticano il 5-6 luglio. Nel contesto delle Chiese ucraina (su una popolazione di 35 milioni) i greco-cattolici rappresentano la minoranza (5 milioni) più consistente, più stimata e rispettata.
La limpida testimonianza offerta durante il periodo comunista e la qualità del personale e delle iniziative pastorali introdotte negli ultimi decenni hanno aperto e giustificato l’ipotesi di un unico patriarcato capace di includere anche le Chiese ortodosse e aperto a un duplice obbedienza (Costantinopoli e Roma). Guardata con scetticismo dalla Santa Sede e con grandissimo sospetto da Mosca e dalle altre Chiese ortodosse l’ipotesi di un patriarcato sembra naufragata.
Nei resoconti dell’assemblea a cui hanno partecipato il papa e alcuni dei prefetti dei dicasteri romani interessati di questo non c’è traccia. Nel comunicato finale si dice: «La riflessione si è svolta nel reciproco ascolto ed è stata accompagnata dalla preghiera(…). Particolare attenzione è stata dedicata al lavoro pastorale, all’evangelizzazione, all’ecumenismo, alla vocazione specifica della Chiesa greco-cattolica nel contesto delle sfide odierne della situazione socio-politica, in particolare della guerra e della crisi umanitaria in Ucraina, nonché al suo servizio nei vari paesi del mondo. Si è auspicato che questa metodologia di condivisione possa proseguire, al fine di promuovere lo sviluppo armonioso della Chiesa greco-cattolica ucraina, come anche delle altre Chiese orientali cattoliche nella loro identità e missione».
Nel cordiale e affettuoso discorso il papa Francesco ha messo in guardia «dall’attaccamento a particolarismi di vario tipo: particolarismi ecclesiali, particolarismi nazionalistici, particolarismi politici». Al pieno sostegno davanti ai drammi della guerra e della povertà il papa ha aggiunto l’invito a una maggiore distanza dal dibattito politico: «Sappiano e vedano tutti che nella vostra tradizione siete una Chiesa che sa parlare in termini spirituali e non mondani. Perché di cielo in terra ha bisogno ogni persona che si accosta alla Chiesa, non di altro».
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