In un giardinetto dietro casa a Clapham, nel borgo di Lambeth. Sul tetto di un edificio della Kew Road, a Richmond upon Thames. Su un albero del parcheggio di un supermercato per il giardinaggio sulla Manor Road, ancora a Richmond. Su un marciapiede di Mortlake, stesso quartiere. Che cos’hanno in comune questi luoghi di Londra e dintorni? Di trovarsi sotto la rotta battuta da molti aerei di linea che qui cominciano ad aprire i carrelli prima di atterrare a Heathrow. E dai cui vani, ogni tanto, piomba un cadavere. Dell’ultimo, a luglio, si sa solo che “viaggiava” in provenienza da Nairobi. Dopo l’atterraggio, nel vano carrello hanno trovato ancora una bottiglia d’acqua e un po’ di cibo.
Di altri si conoscono nome e origine. Come Carlito Vale, giugno 2015. Era mozambicano di Beira, un orfano di guerra che aveva provato a farsi una vita dapprima in Uganda e poi in Sudafrica. Poi tenta il grande salto su un volo British Airways che decolla da Johannesburg. L’ultima foto lo ritrae sorridente con la moglie e una t-shirt che reca stampato in grande il sogno: London.
José Matada, settembre 2012. Un altro mozambicano, partito però da Luanda. In tasca gli troveranno solo una sterlina e una moneta del Botswana. Era il giorno del suo 26° compleanno. Non solo Africa: nel luglio 2011 aveva conosciuto la stessa fine Mohammed Ayaz, 21 anni, pachistano. Si era “imbarcato” in Bahrein. E di storie simili ce ne sono altre.
Davanti a casi come questi, estremi, numericamente pochi ma emblematici, si possono fare tante considerazioni, anche di segno diverso. A ciascuno di fare la propria riflessione. Personalmente mi domando in quali percentuali siano presenti – nel mix di motivazioni di questi novelli Icaro – la sottovalutazione del rischio, la disperazione, la determinazione. Certo questi “passeggeri” sono in ogni caso l’immagine più plastica, e tragica, di un sogno irrinunciabile. Uno di loro, “Youssoup” Matada, era stato al servizio di una donna svizzera quando questa abitava in Sudafrica. A lei, nel frattempo rientrata nel suo Paese, aveva confidato via sms l’intenzione di «viaggiare verso l’Europa in cerca di una vita migliore». Ma senza rivelare tempi e modalità della sua emigrazione. È stata poi la signora a riconoscere Youssoup: dal tatuaggio su un braccio.
Qui vogliamo solo aggiungere un altro episodio, il primo noto della serie, che molti avranno ancora in mente e che accadde esattamente vent’anni fa. Allora commosse il mondo, oggi chissà. Ai due adolescenti guineani che furono trovati assiderati a Bruxelles, sempre in un vano carrello, è stato dedicato un film (Il sole dentro di Paolo Bianchini) e, ultimamente, il bel libro di Marco Sonseri Yaguine e Fodé (ed. Buk Buk). Portavano con sé una struggente lettera a «Loro eccellenze i signori membri e responsabili dell’Europa» nella quale, scusandosi «moltissimo» per «aver osato scrivervi questa lettera in quanto voi siete degli adulti a cui noi dobbiamo molto rispetto», non dimenticavano di dire che «se vedete che ci sacrifichiamo e rischiamo la vita, è perché soffriamo troppo in Africa e abbiamo bisogno di voi per lottare contro la povertà e mettere fine alla guerra in Africa. Ciò nonostante noi vogliamo studiare, e noi vi chiediamo di aiutarci a studiare per essere come voi in Africa». Con ingenua captatio benevelontiae, si appellavano «alla vostra solidarietà e alla vostra gentilezza». Avrebbero usato le stesse parole, vent’anni dopo?
Rivista Africa, 2 settembre 2019.