La nuova puntata della “vicenda” del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia si arricchisce di un tentativo di mediazione.
Il 27 agosto arriva ai vertici dell’Istituto (mons. Sequeri e mons. Paglia), e poi immancabilmente qualche giorno dopo ai giornali (Il Foglio, uno per tutti in Italia, in altre lingue i vari siti di stampo conservatore), una lettera firmata da quattro docenti (A. Diriart, J. Granados, S. Kampowski, J.J. Pérez Soba).
Una proposta di compromesso?
Gli stessi che, nelle settimane precedenti, si sono distinti per le critiche; ora la proposta è semplice: reintegrare la cattedra di Teologia morale fondamentale (cioè mons. Livio Melina come docente, e anche padre Noriega). E aggiungerne una nuova: «Una soluzione più in consonanza con la natura della teologia cattolica implicherebbe – ed è la nostra proposta – che, invece di eliminare la cattedra, se ne crei un’altra nuova, in modo che ci siano due cattedre di morale generale, il cui dialogo esprima il rapporto tra l’antico e il nuovo, proprio di ogni vera continuità della dottrina. Secondo questa nostra proposta ci sarebbe una cattedra di Morale fondamentale, quella che finora ha funzionato all’interno dell’Istituto, e poi un’altra cattedra di Teologia morale dell’accompagnamento, che potrebbe riflettere sulla proposta pastorale di Amoris laetitia per poter condurre il soggetto odierno ad una vita secondo il Vangelo».
La “proposta” ha ricevuto una netta stroncatura dal blog di Andrea Grillo che ha notato, tra l’altro, come si tratti di una «curiosa rappresentazione della continuità della dottrina. Si dice il nuovo, ma si continua a dire il vecchio, che impedisce al nuovo di avere una vera legittimità. Questo in AL è detto “apertis verbis” e i professori dovrebbe saperlo. Se tu lasci in piedi la impalcatura della “legge oggettiva” come unico criterio di giudizio sui soggetti, sei “pusilli animi”, sei “meschino” (AL 304). Quella proposta dai professori non è continuità dottrinale, ma è paralisi della tradizione. Essa garantisce forse la sopravvivenza di una cattedra, ma lo fa a discapito del cammino ecclesiale e della maturazione degli studenti. L’ideale di studenti schizofrenici, che non possono fare sintesi perché bersagliati da messaggi contraddittori, non può essere il destino pericoloso che discende dal mancato aggiornamento di tre professori ostinati».
Da notare che, negli stessi giorni in cui la “proposta” usciva sui media (prima di ricevere una risposta ufficiale, perché qui si va di pari passo con metodi studiati per fare pressione), il Gran Cancelliere, cioè mons. Paglia, era negli Stati Uniti. E il 3 settembre, parlando a studenti e docenti della Loyola Marymount University (dei gesuiti), ha risposto alle critiche.
La linea di mons. Paglia
Parlando dell’Accademia e dell’impostazione voluta da papa Francesco e ribadita da Humana communitas (la lettera per i 25 anni dell’Accademia per la vita), che coinvolge anche l’Istituto Giovanni Paolo II, mons. Paglia ha notato che, «nella sua lettera (Humana communitas, ndr), il santo padre ha cercato di darci una base teologica così solida e amorevole per il lavoro dell’Accademia che saremo in grado di affrontare e superare le preoccupazioni e le esitazioni che hanno accolto la rinnovata struttura dell’Accademia (e si potrebbe aggiungere la sua entità gemella, l’Istituto Giovanni Paolo II). Pertanto (…) ora dobbiamo lavorare in modo più ampio, verso una comprensione, un apprezzamento della vita stessa, che è la grande espressione dell’amore che è Dio. Come primo passo molto pratico, dobbiamo rassicurare i nostri amici e i nostri nemici, che non allenteremo mai la nostra determinazione a proteggere e promuovere la vita umana dall’inizio alla fine dei suoi giorni terreni; e li vogliamo rassicurare: il nostro dialogo con chi non condivide la nostra comprensione dell’amore fecondo di Dio e della natura della famiglia umana e delle sue sfide, non significa che stiamo abbandonando l’ortodossia cattolica. Con ciò, tuttavia, dobbiamo anche chiarire che il papa vuole che l’Accademia e l’Istituto allarghino il loro raggio di riflessione, non limitandosi ad affrontare situazioni specifiche di conflitto etico, sociale o giuridico. Il papa ci chiede di articolare un’antropologia che ponga le premesse pratiche e teoriche per una condotta coerente con la dignità della persona umana. Il papa ci chiede un’antropologia che disponga degli strumenti per esaminare criticamente la teoria e la pratica della scienza e della tecnologia mentre interagiscono con la vita, il suo significato e il suo valore. Inoltre, l’Accademia in particolare deve diventare sempre più un luogo di incontro e di dialogo competenti e rispettosi tra gli esperti, compresi quelli di altre tradizioni religiose, nonché i sostenitori delle visioni del mondo che l’Accademia deve conoscere meglio per ampliare i suoi orizzonti».
Chiarissimo, a quanto pare. In altri termini: l’impostazione dell’Istituto Giovanni Paolo II è non solo in linea con il magistero ma è approvata e fortemente voluta da papa Francesco.
Un comportamento scorretto
Stupisce che, nella loro accanita resistenza, i firmatari dei vari appelli, i vari studenti, i docenti che si fanno fotografare con il papa emerito, non abbiano adeguatamente compreso la portata della questione.
Stupisce un altro elemento, non teologico ma “psicologico”. Che valore può avere una proposta di mediazione che arriva sempre e comunque sui mass media, e dopo aver rovesciato critiche ingiuste su Preside e Gran Cancelliere (che mai hanno risposto per non scadere allo stesso livello…)? Ed è pensabile che, dopo aver polarizzato ed estremizzato così tanto il dibattito, arrivi una proposta – spacciata per buona volontà – che nella sostanza chiede alle Autorità accademiche di retrocedere del tutto?
Qui, a quanto pare, siamo davvero fuori da ogni logica, correttezza ed evangelicità (per non parlare dell’educazione…).