Don Sergio Colombo e la comunità parrocchiale di Redona rappresentano uno degli itinerari più singolari nella diocesi di Bergamo del post-concilio. La feconda alleanza che si è venuta a creare tra una forma del ministero ordinato e la pratica della fede nella quotidianità delle cose ha permesso un lento e lungo cammino di ideativa fedeltà al Vaticano II in un piccolo pezzo di terra del nostro mondo.
Vaticano II: come un Concilio diventa un Concilio?
Si sarebbe tentati di dire, a prima vista, che questa alleanza è stata una sapiente «traduzione» delle indicazioni conciliari sul e nel territorio di una Chiesa locale. Eppure, mi sembra che il concetto di «traduzione» sia ancora troppo limitato per indicare adeguatamente la feconda singolarità di questo legame fra una comunità e il ministro. Traduzione ci piace (tanto) perché ci dà la sicurezza che ci sia, comunque, un testo uguale per tutti, che rimane identico a se stesso, anche se poi viene trasposto in linguaggi e pratiche che possono anche non comprendersi immediatamente fra di loro.
La domanda, che se non sbaglio completamente ha innervato anche il vissuto di questa alleanza, mi sembra invece più profonda, radicale, e meno meccanica.
Intorno a questi temi, facendo perno sulla questione della teologia morale, si muove il libro, edito per i tipi EDB, di Maurizio Chiodi, docente presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e il Seminario di Bergamo, dedicato alla figura e opera di don Sergio: Sergio Colombo uomo della Parola. Antropologia, teologia morale e pratica pastorale.
Ritorniamo alla questione fontale, quella del rapporto fra il Concilio e una comunità cristiana radicata su un territorio e inserita nel quotidiano della vita civile e politica: l’autore, non solo per riferimento al Vaticano II, privilegia la parola «traduzione» come grande principio organizzativo dei tanti binomi che scorrono nel volume – articolati, da ultimo, su quello fondamentale dell’antropologico e del cristologico.
Ma, da quello che si evince dalla sua stessa scrittura sulla struttura dell’alleanza fra la comunità di Redona e don Sergio, per quanto riguarda il Concilio sarei tentato di osare qualcosa di più che una semplice «traduzione». E forse questo potrebbe valere per tante altre alleanze nella Chiesa globale che rimangono anonime o a noi ignote.
Non è forse che il Concilio «funziona» non quando è semplice tradotto in codici e pratiche aderenti a una determinata realtà locale, ma quando a partire da questa realtà esso viene letteralmente «inventato»? Ossia, non è forse che il Vaticano II concede lo spazio a una forza ideativa, che non può predeterminare, che lo fa ogni volta di nuovo?
Questo ci permetterebbe di guardare sotto una luce diversa allo stesso cammino post-conciliare del singolare rapporto fra il ministero di don Sergio e il vissuto della comunità che lo ha ospitato per così lunghi anni, e proprio per questo è stata anche da lui plasmata.
La pastorale luogo della teologia
La lettura del libro di Maurizio Chiodi è da suggerire anche per questa ragione: si tratta, cioè di un testo profondamente segnato da un «caso singolare» che, però, istruisce con intelligenza la parabola del vissuto della Chiesa cattolica nei decenni seguiti al Vaticano II.
Certo per competenze, ma anche perché aiuta sempre trovare un punto di condensazione intorno a cui poter raccogliere la complessità del vissuto quotidiano, altrimenti fuggente nella sua disseminazione, l’autore riconduce le vicende di un uomo, della sua comunità, della Chiesa particolare di Bergamo e della Chiesa tutta, al tema della teologia morale – disciplina che lo accomuna, tra altre cose, a don Sergio. Che la insegnò in età più giovane e non smise mai di pensarla come zona del sapere della fede da coltivare con incessante passione e competenza. Anche quando si fa il parroco.
La struttura del volume non è solo determinata dalla contingenza; dietro di essa, infatti, vi sta un doppia strategia: di don Sergio prima, e dell’autore del testo poi. L’inizio con la morale fondamentale permette di chiarificare la struttura stessa della morale, individuando i temi cardine e seguendone il percorso nel passaggio da una vita a maggiore impronta accademica a un vissuto pastorale quotidiano. Soggetto e coscienza sono i due poli principali del primo capitolo.
Vivere-soffrire-morire: insieme
Ma appunto, il soggetto non è mai solo e la coscienza non è destinata a consumarsi in se stessa: ecco allora il capitolo sulla sessualità, colta nella sua drammaticità, ossia l’essere in un legame fondamentale con l’altro in vista dell’amorevole edificazione dell’umano nel tessuto delle relazioni familiari. Quello di cui c’è bisogno è «un’interpretazione più profonda della sessualità come “mistero” che si “manifesta nella cultura e nella storia come fatto integralmente umano, come realtà in cui l’uomo fa passare la sua intera esistenza”» (p. 72).
E poi quello sulla politica: ossia, la consapevolezza che i legami che ci tengono in vita non sono mai «privati» (neanche quello dell’amore di coppia lo è, a dire il vero), o meglio limitati alla configurazione di una serie di rapporti tutti dicibili per nome proprio. Vi è un dovere anche di prendersi cura dei molti legami anonimi che scorrono nella città degli uomini. Senza questa cura non vi è possibilità che un ethos condiviso possa prendere forma. La dimensione politica non è giustapposta a quella credente, ma coerentemente legata a essa nel fatto stesso della fede: «Per il cristiano è impossibile separare l’opera mediante la quale egli “fa” la Chiesa e quella con cui “fa” la società umana. Tutto questo implica per la comunità cristiana, e per il singolo, la ricerca continua di un’attenzione e uno stile per poter camminare dentro la grande comunità degli uomini, con la propria specificità, ma impegnata in un’opera comune» (p. 103).
Seguono due brevi, ma importanti, capitoli sul morire cristiano e sul soffrire – dove la cosa più interessante è, appunto, il modo in cui l’autore di questo volume coglie le implicazioni morali di questi passaggi fondamentali del vivere umano così come essi sono stati compresi e praticati pastoralmente da don Sergio e la sua comunità.
Fare memoria delle esperienze buone della Chiesa
Un capitolo conclusivo mira a tratteggiare alcuni percorsi a venire per la teologia morale, indicando il contributo di don Sergio Colombo a essi. Occasione, questa, anche per una ripresa sintetica delle tappe affrontate nel volume.
Il libro del prof. Chiodi non è importante solo per la rilettura scientifica e accademica delle molte intuizioni e pratiche disseminate nel vissuto di don Sergio Colombo, ma anche, e forse soprattutto, perché si fa carico di raccogliere la memoria di una esperienza buona della Chiesa locale negli anni del post-concilio. La forma della pubblicazione la rende accessibile oltre i confini di coloro che ne furono i protagonisti diretti.
Così le rende onore, ma mostra anche che la dimensione parrocchiale e comunitaria della fede sono essenziali nell’edificazione istituzionale della Chiesa stessa. Cosa che la Chiesa come istituzione non dovrebbe mai dimenticare.
Maurizio Chiodi, Don Sergio Colombo uomo della Parola. Antropologia, teologia morale e pratica pastorale (Fede e Storia), Bologna, EDB 2019.