Intervista a p. Corrado Dalmonego, missionario della Consolata in Amazzonia. Nato nel 1975 e cresciuto a Sant’Antonio di Porto Mantovano, dopo essersi impegnato come animatore in parrocchia ha frequentato il Centro Missionario Diocesano e ha collaborato con l´Associazione Mappamondo che si occupa di commercio equo e solidale. Inizia la formazione nei missionari della Consolata nel 1999, prende i voti nel 2004 e viene ordinato nel 2010. In Amazzonia è giunto per la prima volta nel 2002, da seminarista. Dopo avere concluso la teologia, è ritornato nella stessa missione, presso il popolo Yanomami. P. Corrado Dalmonego è autore insieme a Paolo Moiola del volume Nohimayu – L’incontro. Amazzonia: gli Yanomami e il mondo degli altri. Storia della Missione Catrimani, EMI, Bologna 2019, pp. 368 – XL foto.
Caro padre Corrado puoi dire qual è la tua missione nella foresta?
Da circa 12 anni sono membro dell´equipe missionaria che è impegnata, in nome della diocesi di Roraima, accanto al popolo Yanomami, un popolo indigeno che abita un ampio territorio sulla frontiera del Brasile col Venezuela. A partire dalla nostra presenza alla missione di Catrimani, conviviamo con le comunità e lavoriamo in accordo con i leader indigeni. Le azioni che noi, missionari e missionarie della Chiesa Cattolica, svolgiamo, possono essere riassunte come segue.
C’è una azione culturale di valorizzazione delle lingue, delle tradizioni e delle conoscenze del popolo, di promozione del dialogo; comprende la produzione di materiali didattici, la partecipazione a incontri di discussione sulle politiche e le pratiche educative, la formazione degli insegnanti Yanomami, la realizzazione di attività di ricerca condotte dai giovani in dialogo con gli anziani.
C’è poi un’azione per la salute del popolo, per la vita buona e la sovranità alimentare; comprende l’accompagnamento del lavoro del personale addetto all´assistenza sanitaria e la formazione degli stessi Yanomami. C’è quindi un’azione sul territorio per una relazione costruttiva con la società circostante; comprende la realizzazione di incontri che consentono lo sviluppo della autonomia decisionale del popolo col sostegno delle associazioni indigene.
Azione fondamentale è il dialogo interculturale e interreligoso, con la valorizzazione del senso religioso proprio del popolo e nella promozione della convivenza tra le diversità. Un’attenzione particolare è dedicata al ruolo della donna Yanomami, con la creazione di spazi loro propri. Curiamo l’azione di comunicazione e di informazione fra popolo indigeno e società non indigena, con la produzione di notiziari e documentari.
Religiosità dei popoli amazzonici e annuncio del Vangelo
Puoi dire in qualche riga qual è la religiosità Yanomami, se esistono comunità cristiane Yanomami e come avviene, se avviene, il passaggio? Il missionario come interviene?
Gli Yanomami vivono fortemente la propria spiritualità. I riferimenti a ciò che noi saremmo portati a considerare «soprannaturale» sono molto frequenti, quotidiani e immanenti. Narrano e trasmettono cosmogonie, storie delle origini e degli ancestrali, narrative che dicono come «il mondo è» e che indicano il comportamento da adottare. Riconoscono di essere stati «messi al mondo» da colui che ancora invocano quando ne hanno bisogno.
La vita degli Yanomami ha un momento alto nella celebrazione di un rituale chiamato reahu: è una festa, un’occasione di coltivare relazioni sociali, di rinvigorire i riferimenti spirituali e di «porre in oblio» le ceneri dei morti, concludendo il lutto e riconducendo la comunità all’armonia.
In diverse regioni, anche gli Yanomami, come tanti popoli indigeni, sono stati raggiunti da missionari di diverse denominazioni cristiane: evangelici pentecostali o cattolici. Nei diversi luoghi, a seconda delle condizioni del contatto, dell´epoca, e delle teorie e pratiche missionarie dei diversi gruppi religiosi, sono stati portati avanti processi diversi di evangelizzazione. In alcune zone, i missionari ritengono di avere dato origine a comunità cristiane e gli Yanomami si auto-definiscono cristiani.
Ogni situazione è differente dalle altre: alle volte i missionari hanno condannato tradizioni ed espressioni religiose indigene; alcuni hanno provocato una rottura e dato origine a ferite acora aperte; altre volte hanno cercato di stabilire un dialogo con la cultura e la spiritualità nativa, iniziando un lungo processo per dare vita ad una «Chiesa autoctona».
Qual è dunque il tuo modo di sentirti missionario di Cristo per il popolo della foresta con cui condividi buona parte del tuo tempo?
Mi sento missionario di Cristo in una missione che si fa incontro, presenza, solidarietà, servizio e dialogo. È una grazia poter vivere qualcosa simile a ciò che hanno vissuto Gesù e gli apostoli nella Chiesa delle origini. La nascita del Figlio di Dio, l´incarnazione, è il paradigma della missione. Gesù ha incontrato molte persone: quest´incontro non lasciava mai indifferenti, sia quando il Maestro invitava a far parte del gruppo («vieni e seguimi»), sia quando restituiva la persona alla sua vita precendente («vai e non dirlo a nessuno»).
Incontrando persone e popoli diversi, gli apostoli hanno imparato e insegnato ad ampliare le vedute, a riconoscere la presenza di Dio misericordioso, a rinunciare loro stessi ad alcuni costumi, a seminare senza pretendere di raccogliere frutti, senza considerarsi i protagonisti principali della missione. Al contempo, Gesù e gli apostoli sapevano raccogliere i frutti che le comunità e le persone già offrivano, poiché il Creatore aveva evidentemente già seminato da tempo!
Il cammino della missione è un percorso di grande sforzo, ma non è l’imposizione di un programma predefinito. I missionari entrano, quando sono accolti, in un mondo differente, con atteggiamenti di dialogo e di condivisione. Attraverso gesti di apertura, condivisione e incontro, si costruisce la missione che cambia reciprocamente le persone. Si comunicano speranze, sogni e aspettative, con un messaggio che i missionari scoprono insieme agli Yanomami: un messaggio di vita contro progetti di morte.
Amazzonia minacciata
La foresta, in ragione di una accresciuta sensibilità ambientale, è oggetto di tante, interessate, attenzioni: cosa sta effettivamente accadendo nella parte di foresta che tu conosci?
Sì, tante interessate attenzioni e tanti interessi in gioco e conflitti di interesse e progetti con interessi propri. È vero che oggi i riflettori sono puntati sull´Amazzonia. Ci sono molte tendenze e molti interessi: c´è chi considera l´Amazzonia una riserva di risorse da sfruttare a qualunque costo; chi si interessa all’Amazzonia per la conservazione dell´ambiente, senza rispettare le persone che vi abitano; e chi cerca di rispettare la foresta, le persone e tutte le forme di vita che popolano il bioma amazzonico.
Veramente ci troviamo in un contesto di grandi conflitti. Dove vivo siamo angustiati e cerchiamo di reagire alla distruzione ambientale, al disboscamento e agli incendi, alla violenza contro i popoli indigeni a cui viene proposta la revisione delle demarcazioni delle terre. I grandi progetti del capitale stanno producendo effetti devastanti per l’ambiente e per le popolazioni: costruzione di strade, agro-business, sfruttamento minerario, centrali idroelettriche…
L’interesse di avere una tua testimonianza in questo periodo è evidentemente collegato alla imminenza del Sinodo sulla Amazzonia. Come valuti il Sinodo? Come ne sei partecipe? Cosa ti aspetti?
Il processo sinodale è un momento di grazia! Qui è stato preparato sin da quando papa Francesco il 15 ottobre 2017 ne annunciò la realizzazione: un’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per la pan-Amazzonia, al fine di riflettere sul tema dei nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale. Molte riflessioni sono state condotte tra i gruppi e le Chiese locali per raccogliere contributi e quale occasione di maturazione delle comunità.
È importante e bello cercare di costruire una «Chiesa con volto amazzonico» o con «volti amazzonici». Non si tratta di una rivoluzione, ma di continuare ciò che Gesù ha iniziato: ascoltare i sogni, le speranze e le angustie di chi vive, lotta e prega in Amazzonia, al fine di contribuire alla costruzione del regno di Dio in questa porzione del Creato.
Verso il Sinodo
L´assemblea sinodale che verrà celebrata in Vaticano sarà un momento chiave di un processo che la precede e che seguirà, secondo le direzioni indicate da papa Francesco e dai padri sinodali per «conoscere», «convivere» e «difendere» la vita in questo territorio.
Il Sinodo, oltre a essere una grazia e un dono, è anche un impegno e una responsabilità. Veramente le sfide sono tante: sfide per la conservazione della vita minacciata dei popoli e degli ecosistemi; sfida per la Chiesa che è chiamata a annunciare e testimoniare la persona di Gesù e il regno di Dio. La Chiesa non è indifferente a nulla che abbia a che vedere con la vita, perciò deve assumere la sua veste profetica e samaritana.
Deve annunciare, denunciare e servire. Per questo il suo linguaggio, la sua presenza e la sua organizzazione devono essere sempre più evangelici e comprensibili. L´aspettativa è che tutto ciò che sta maturando aiuti la Chiesa a essere più prossima, presente e significativa in questo contesto. Con questo, anche la società civile sarà stimolata a fare propri valori e attenzioni che i cristiani difendono.
Una ulteriore impegno per la Chiesa risulta dal fatto che questo Sinodo si propone di trattare questioni che sorgono in un contesto particolare, ma che possono avere una risonanza e una rilevanza universale.
Immagino che tu conosca molto bene il documento preparatorio. Quali sono le tue valutazioni generali sul testo? Manca qualcosa?
Un gruppo di esperti ha prodotto il Documento preparatorio (giugno 2018), che è servito come strumento di studio usato in molti incontri, le cui riflessioni sono state raccolte e hanno contribuito all´elaborazione dell’Instrumentum laboris (giugno 2019) per il Sinodo.
Questo non è un documento concluso: è il risultato di molto sforzo, di un lavoro di sintesi e di revisioni; ed è il tentativo di raccogliere voci molto diverse. Questo testo potrà farsi da parte quando si manifesteranno le riflessioni. sinodali. L´Instrumentum è ricco. Lo schema del documento riflette le tre conversioni a cui ci invita papa Francesco: la conversione pastorale, quella ecologica e alla sinodalità ecclesiale.
Alcune voci accusano il testo di contenere poca teologia. Non penso che questa si misuri su quante volte appaiono il nome di Gesù o la parola Chiesa. Così mi sembra di cadere in un avvertimento che il Signore ci ha dato: «Non chi dice Signore, Signore, ma…».
Bisogna leggere con cuore e mente aperta. Un testo come questo non pretendeva certamente di essere esaustivo, sia perchè le tematiche affrontate spaziano in molte direzioni, sia perché non vuole sostituirsi alla assemblea sinodale!
Io sono contento di trovare nel testo molti riferimenti alla ricchezza del territorio e dei popoli amazzonici, ma anche alle reali situazioni di violenza che si soffrono in Amazzonia. Viviamo molti conflitti che alcune persone ignorano e che altre si compiacciono di alimentare. Sono contento anche che il testo ponga la Chiesa in una disposizione di umile ascolto tanto cara a papa Francesco e appropriata.
Siamo invitati ad ascoltare, ad apprezzare la saggezza degli altri, a metterci in dialogo, ad aprirci a relazioni interculturali, a scoprire la presenza di Dio in tutto il creato, a essere misericordiosi e a collaborare fra noi per costruire pace, comunione e convivenza.
In ottobre sarai in Italia. Avremo modo di parlarne ancora. Ti faccio ora una domanda conclusiva sui ministeri: nel documento si dice di una Chiesa dal volto indigeno, si accenna alla proposta di nuovi ministeri e di un ministero ufficiale che possa essere conferito alla donna. In altri testi, ho letto che si sta parlando di viri probati. Cosa pensi e auspichi in proposito?
L´Instrumentum laboris parla del cammino verso una Chiesa «dal volto amazzonico e indigeno», nella scia del lungo percorso intrapreso dalla Chiesa per portare il Vangelo presso popoli e culture. È il lungo cammino dell´incarnazione! Se desideriamo che la parola del Signore sia importante per ciascuna comunità, dobbiamo accettare che innanzitutto sia comprensibile.
Il problema non è solo linguistico, la Parola può risultare significativa calandosi nella vita delle persone. Non dobbiamo temere di portare avanti gli aggiornamenti che il concilio Vaticano II suggeriva e che caratterizzano una Chiesa creativa. Questo significa anche pensare alla organizzazione delle comunità cristiane.
Fra i suggerimenti offerti ai padri sinodali, risultanti dall´analisi fatta allo specchio dalle stesse comunità ecclesiali amazzoniche, c’è l’impegno a superare il clericalismo, a evitare l´omogeneizzazione culturale, a promuovere vocazioni autoctone, a valorizzare il protagonismo dei laici, a “«tudiare la possibilità di ordinazione sacerdotale degli anziani» indigeni, persone mature e responsabili, stimate dalle comunità, a identificare un tipo di ministero che possa essere conferito alle donne, perché sono le donne che oggi portano avanti le comunità. Insomma ci sono molte questioni in gioco.
Molte comunità si ritrovano per pregare e per studiare la Parola e il sacerdote può visitarle forse una volta all´anno. Questa è la realtà. È necessario dunque aprirsi alla possibilità di forme ministeriali a cui non siamo abituati.
La legittimità di una Chiesa autoctona si fonda nell´ecclesiologia pluriforme che il concilio Vativano II ha riscattato, con il ritorno alle fonti bibliche e patristiche. Forse si tratta di riconoscere quali sono i ministeri ufficiali e i servizi ecclesiali che molte persone delle nostre comunità già svolgono. Sono ipotesi da prendere sul serio perchè possono contribuire alla costruzione di una Chiesa dal volto più umano e prossimo alla realtà della gente.
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