Come al solito, ci chiediamo: chi parla in questo Salmo che leggiamo ancora nell’ultima versione della CEI?
Un ebreo prima di Cristo, dell’antica Giudea, cosciente di essere in peccato e quindi tremante all’idea del giudizio di Dio che, in qualche modo, potrebbe avere il suo “avvento”, ha nemici odiosi che l’accusano ai sacerdoti del tempio e ai magistrati, anzi l’hanno già anche condannato alle tenebre di un carcere con il rischio di finire nella fossa dei morti da gran tempo e senza speranza in una vita oltre la morte. Ovviamente lui è costernato, atterrato, angosciato, senza respiro, col cuore al gelo, si sente come terra assetata senz’acqua (pensiamo alle terre assetate dell’Asia o dell’Africa).
In questa situazione egli pensa alle proprie opere di povero peccatore e disperato per la prospettiva dell’imminente sentenza giudiziaria che, il mattino dopo l’apertura del tempio e del tribunale, sacerdoti e magistrati avrebbero sanzionato contro di lui; ma quel giudizio umano gli richiama quello di Dio stesso. E ne trema.
Ma un’ispirazione gli squarcia le tenebre: Dio è diverso dagli uomini, le sue opere – nella creazione nella storia – infondono speranza: ricordo i giorni passati, ripenso a tutte le tue azioni, medito sulle opere delle tue mani e quindi a te protendo le mie mani come terra assetata ma che scopre una sorgente vitale, quasi come Israele quando trovava acqua nel deserto.
Giudizio o giustizia di Dio?
Ecco allora la sorprendente supplica di un peccatore: Signore ascolta la mia preghiera! Per la tua fedeltà, per la tua giustizia rispondimi. Non entrare in giudizio con il tuo servo: davanti a te come giudice nessun vivente è giusto: nessuno uscirebbe giusto-assolto-giustificato-salvato! Ma la tua giustizia e fedeltà, una giustizia quindi diversa da quella del giudice e dei giudici umani, può riaprire le porte alla speranza: perché tu sei fedele alle promesse di salvare un peccatore pentito e che confida in te. Il tuo volto e il tuo Spirito (ossia la tua forza) parlano di bontà e di misericordia, benché quest’ultima parola qui non ci sia. Buona novella, Evangelo sorprendente e gioioso per tutti.
Oltre all’esclusione del giudizio, quel povero e angosciato peccatore chiede anche che il Signore ispiri una sentenza benevola ai giudici subito al mattino e quindi la liberazione dal carcere e dalla morte, la possibilità di un nuovo cammino in una terra piana sulla quale fare la tua volontà di giustizia, fedeltà, bontà. Tutto perché, pur peccatore di fronte alla tua legge e al tuo giudizio, io sono tuo servo: riconosco quello che sono io, povero peccatore, e chi sei tu, quindi in te mi rifugio. Riconosco me e riconosco te: ma quale dei due riconoscimenti è il più difficile oggi?…
E i nemici? Quelli non godano della tua giustizia, anzi sterminali! In Salmi come il 22 (Dio mio, perché mi hai abbandonato?) e il 51 (Miserere) mancano invocazioni dure contro i nemici; in questo invece, come in altri, la si trova, sia pure assai ridotta. La giustizia di Dio e la sua gloria sembravano esigere anche la condanna inesorabile dei nemici: è un limite della preghiera e della mentalità del tempo prima di Cristo (ma non del tutto morta anche dopo…).
L’avvento di Cristo e san Paolo
Con Gesù invece? Evidentemente la Buona novella già presente nel Salmo 143 viene portata a compimento straordinario da lui: la misericordia anche con peccatori, lebbrosi, paralitici, ebrei e stranieri, uomini e donne, bambini e odiosi pubblicani, pecore smarrite e figli prodighi lo testimoniano. Particolarmente interessante la parabola del fariseo e del pubblicano in Lc 18: il pubblicano prega umile e pentito e ne esce «giustificato», a differenza dell’orgoglioso e sprezzante fariseo ricco di meriti per le sue opere.
Anche l’evangelista Matteo commenta l’opera di Gesù citando un testo del profeta Isaia circa il misterioso Servo di JHWH: «Porrò – dice Dio – il mio Spirito su di lui e annuncerà anche alle nazioni straniere la giustizia… finché non abbia fatto trionfare la giustizia (di Dio) e nel suo nome tutte le genti spereranno» (Mt 12,18-21).
Sulla scia di Gesù e della fede in lui si colloca san Paolo, con una decisione e coerenza superiori a quelle di altri apostoli, Pietro compreso. Egli cita e allude più volte al Salmo 143, in particolare in Gal 2,16: «Anche noi giudei abbiamo creduto in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della legge, poiché per le opere della legge non verrà mai giustificato nessuno»; e nella lettera ai Romani: «Nel Vangelo si rivela la giustizia di Dio… per la salvezza di chiunque abbia fede… In base alle opere della legge nessun vivente sarà giustificato davanti a Dio, perché per mezzo della legge si ha (solo) la conoscenza del peccato. Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio… Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente, per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù» (Rom 1,16-17; 3,21-24); cf. anche lo stupendo annuncio in Rom 5,1-11 sull’amore di Dio anche per empi e nemici.
Pur riconoscendo valori anche nella legge (comandamenti e precetti vari), Paolo però vede – forse anche un po’ sbrigativamente – tutta l’umanità, da Adamo in poi, nella signoria della forza del peccato e della morte e non salvabile veramente dalla legge, ma solo per la fede nelle opere di Dio, in primis in quell’Opera di Dio Padre che è Gesù Cristo e il suo amore. Quindi, speranza per tutto il mondo peccatore! E con questa speranza le strade del vero amore per ognuno nel suo contesto vitale.
Con Paolo nel nostro oggi
Alla luce di tutto ciò, come possiamo vivere oggi il nostro mondo? Che esso sia solcato da tanti mali, cattiverie indicibili, soprusi, egoismi, tradimenti, imbrogli, guerre e violenze sui più deboli… è innegabile. Insieme ci sono anche cuori animati dallo Spirito di Dio, in particolare tra i credenti in Cristo; a costoro compete il prezioso compito di annunciare con forza, pur nei sentieri del reale, la speranza della «giustizia di Dio», quella già intravista dal Salmo 143 e più ancora presente nel Cristo dei Vangeli, nel suo avvento dentro la nostra povera storia umana – continua a dirlo anche papa Francesco –. Ma a partire, appunto, da quella fede; scarsa questa in noi, il mondo rimane più povero.
Ricordiamo che anche per il cristiano restano nemici ostili da combattere: Satana, i nostri istinti egoistici, le nostre passioni a volte travolgenti. Perciò anche noi preghiamo che Dio Padre non ci lasci soli e disarmati nelle tentazioni, anzi ci liberi dal Male (e dal Maligno) per poter camminare nella carità come il buon samaritano.
A questo punto, converrà rifugiarci nella rilettura completa e serena del Salmo 143, con il cuore dell’antico salmista arricchito dalla luce del Vangelo. E se volessimo aggiungere un’invocazione a Maria come «rifugio dei peccatori»? Liberi di farlo, con il rispetto dell’analogia tra soggetti diversi (Dio Padre, Gesù e Maria) e senza devozionismi fuorvianti e antiecumenici.