La Fraternità sacerdotale San Pio X, separata da Roma dal 1988, ha celebrato nei giorni scorsi i 50 anni della sua esistenza. Lo ha fatto tornando a Friburgo (Svizzera) dove, il 13 ottobre 1969, aveva avuto il suo inizio. Da qui mons. Marcel Lefebvre, con una decina di suoi seminaristi, era partito in pellegrinaggio verso il santuario di Notre-Dame de Bourguillon per affidare alla Vergine la comunità nascente.
Mezzo secolo dopo, il 5 ottobre scorso, si è mossa proprio da qui la processione formata da un centinaio di preti e seminaristi, da una cinquantina di suore e da circa 400 fedeli, che alternando le Ave Maria con canti in latino, hanno deposto una «preghiera indulgenziata» ai piedi della Vergine, invocandola, come san Pietro Canisio, per ottenere «il trionfo della Chiesa, la conversione degli eretici e dei peccatori» e implorando la sua potente intercessione sulla Fraternità San Pio X.
Nell’atto di consacrazione vengono affidate alla Vergine le intenzioni e le idee che hanno guidato mons. Lefebvre a compiere questo incipiente gesto di rottura. Si dice infatti: «Mentre fuori il comunismo diffonde dovunque i suoi errori fino a infettare la Chiesa, è anche in seno ad essa che il veleno del falso ecumenismo contagia innumerevoli anime». Ma «è piaciuto a Dio di suscitare la nostra Fraternità sacerdotale come piccolo esercito di ricostruttori». La supplica aggiunge: «Conserva alla Chiesa il Sacrificio della Messa nel suo rito romano antico e venerabile» e «concedi a noi la grazia di concorrere alla restaurazione del sacerdozio cattolico».
L’omelia di monsignor Tissier
La processione ha avuto il suo culmine nella celebrazione della messa, officiata da mons. Tissier de Mallarais, compagno della prima ora e biografo di mons. Lefebvre. Nell’omelia – che è stata più che altro una chiacchierata durata circa mezz’ora –, alternando il francese col tedesco, ha raccontato «come la Divina Provvidenza ha suscitato l’ex arcivescovo di Dakar per salvare il sacerdozio cattolico».
All’epoca del Vaticano II – ha sottolineato Tissier –, mons. Lefebvre aveva duramente criticato l’evoluzione del sacerdozio che conduceva i preti a «non essere più ministri di Cristo che offrono il santo sacrifico della messa, ma degli assistenti sociali che difendono i diritti dell’uomo e lottano contro le ingiustizie sociali». Ma, molto attento alla formazione dei preti, già come vescovo di Dakar Lefebvre volle trovare un mezzo per salvare la pietà tradizionale, la messa e la filosofia di s. Tommaso d’Aquino.
Dopo tre tentativi abortiti, attraverso i contatti con l’università e diverse personalità a Friburgo, nel 1969, ebbe un incontro con mons. Charrière, vescovo di Losanna Ginevra e Friburgo che lo conosceva per aver sostenuto finanziariamente la creazione della missione in Senegal. Fu ricevuto calorosamente, ma lo sconsigliò di mandare i suoi seminaristi nel seminario diocesano. Gli disse: «Trovi una casa e apra un suo seminario».
Cosa fatta: in ottobre, mons. Lefebvre vi entra con una decina di seminaristi, tra cui lo stesso Tissier. «All’inizio, Lefebvre non voleva prendere la direzione, ma fu costretto perché il prete sollecitato a diventare rettore si prese paura e non volle venire».
A Friburgo spunterà il primo germoglio di quella che diventerà poi, nel 1970, la Fraternità sacerdotale San Pio X.
Mons. Lefebvre – ha proseguito Tissier – «seguì l’impulso irresistibile di fare qualcosa per salvare il sacerdozio e custodire la santa Tradizione della Chiesa, e gli insegnamenti dei Papi».
Tessier non è andato oltre, si è fermato qui. Non ha descritto cioè l’evoluzione successiva della Fraternità.
Iniziano i contrasti con Roma
Sappiamo tuttavia che ben presto iniziarono i contrasti tra la Fraternità e la Chiesa di Roma. Punti di frizione, soprattutto la liturgia, la libertà religiosa e l’ecumenismo. Secondo Lefebvre, il Vaticano II avrebbe distrutto la Tradizione della Chiesa.
Nel 1975, mons. Pierre Mamie, succeduto a mons. Charrière, ritira l’approvazione ecclesiastica alla Fraternità. Mons. Lefebvre, che nel frattempo si era spostato a Ecône , nel Vallese, continua a ordinare preti. Nel 1976 viene sospeso a divinis da Paolo VI. La rottura definitiva si consuma nel 1988 quando Lefebvre ordina quattro vescovi, nonostante l’interdizione di Roma. Questo atto gli comporterà la scomunica. Da quel momento la Fraternità sacerdotale San Pio X è considerata scismatica.
Ma il dialogo con Roma continua
Tuttavia il dialogo con Roma non si interruppe mai del tutto.
Benedetto XVI, nel 2007, consentì la celebrazione secondo l’antico rito latino, ponendo così la condizione per la ripresa del dialogo con la Fraternità. Nel 2009, il papa compì un ulteriore gesto di riconciliazione togliendo la scomunica ai vescovi della Fraternità. Da quel momento, essi riacquistano nella Chiesa i diritto come laici cattolici, ma resta loro interdetto l’esercizio ecclesiale dei ministeri.
Successivamente avvengono a Roma diversi incontri sui problemi dottrinali contesi. Nel 2011, il Vaticano sottopone per la firma alla direzione della Fraternità una Dichiarazione dottrinale. Cosa che non avviene. Il 13 giugno 2012, mons. Bernard Fellay, allora superiore generale della Fraternità, accompagnato dal primo assistente generale, don Niklaus Pfluger, viene ricevuto dal card. William Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che gli consegna la valutazione del suo dicastero sulla Dichiarazione dottrinale.
Nel corso di questo incontro, mons. Fellay ascolta le spiegazioni e le precisazioni del card. Levada, al quale presenta la situazione della Fraternità San Pio X e gli espone le difficoltà dottrinali che pongono alla Fraternità il concilio Vaticano II e il Novus Ordo Missae. Occorrevano perciò dei chiarimenti supplementari che avrebbero comportato una nuova fase di discussioni.
Alla fine di questo lungo colloquio, durato più di due ore, mons. Fellay ricevette il progetto del documento che gli proponeva una Prelatura personale, nel caso di un eventuale riconoscimento canonico della Fraternità San Pio X. Nel corso dell’incontro non si parlò della situazione degli altri tre vescovi della Fraternità. A conclusione di questa riunione, ci si limitò ad auspicare il proseguimento del dialogo, «per giungere possibilmente a una soluzione per il bene della Chiesa e delle anime».
Nella Chiesa cattolica intanto arrivano le dimissioni di Benedetto XVI seguite dall’elezione di Francesco. Il papa riprese in mano la questione e, in una nota, auspicava «un incontro privato e informale senza il carattere di un’udienza». Mons. Fellay fu ricevuto a Casa Santa Marta, accompagnato dall’abate Alain-Marc Nely, secondo assistente generale della Fraternità. L’incontro «è durato 40 minuti e si è svolto in un clima cordiale. Alla conclusione del colloquio, è stato deciso che gli scambi in corso continuassero. Non è stata direttamente trattata – sottolinea la nota – la questione dello statuto canonico della fraternità: papa Francesco e mons. Fellay ritengono che si debbano proseguire questi scambi senza precipitazione».
Elezione del nuovo superiore generale
Nel frattempo, nel 2018, il Capitolo generale della Fraternità elegge come successore di Bernard Falley – che aveva retto la Comunità per 25 anni – il nuovo superiore generale nella persona di don Davide Pagliarani (49 anni) per un periodo di dodici anni. Il colloquio con Roma apparve ben presto bloccato. Da quanto si può ricavare dall’intervista rilasciata al giornale Salzburger Nachrichten (15 dicembre 2018), ad essere messo ora in questione non è solo il Vaticano II, ma anche il modo con cui papa Francesco sta guidando la Chiesa.
Secondo Davide Pagliarani, una cosa è chiara: papa Francesco nei problemi fondamentali riguardanti la fede e la morale va nella falsa direzione già imboccata dal concilio Vaticano II. «Questo papa – afferma – ci sconvolge profondamente». Nei problemi riguardanti la libertà religiosa, l’ecumenismo e la costituzione divina della Chiesa dovrebbe tornare a ciò che i pontefici hanno insegnato prima del concilio. Basta riprendere i loro insegnamenti».
Pagliarani si è detto sconcertato anche per quanto riguarda l’applicazione del tutto nuova del «concetto di misericordia» ridotta, a suo parere, «a uno strumento magico per tutti i peccati, senza che induca alla vera conversione e al cambiamento interiore dell’anima per mezzo della grazia, la mortificazione e la preghiera».
Anche la morale matrimoniale, come è espressa nell’esortazione post-sinodale Amoris laetitia¸ «è del tutto in contrasto con il necessario e chiaro orientamento della legge di Dio».
E non è tutto. Pagliarani rimprovera alla Chiesa di Roma di avere abbracciato il soggettivismo secondo cui ciascuno può trovare Dio nella propria religione. «È una premessa – afferma – che riduce la fede a un’esperienza personale, interiore, anziché attenersi al pensiero della rivelazione divina».
«La Fraternità San Pio X – ha aggiunto ancora Pagliarani – rifiuta ciò che, nel Vaticano II, non si accorda con la Tradizione cattolica». Soltanto quando ciò avverrà, sarà possibile una piena unità tra i membri della Fraternità e la Chiesa di Roma. E ha aggiunto testualmente che «il papa dovrebbe dichiarare erroneo il decreto sulla libertà religiosa e correggerlo di conseguenza». Si è detto convinto che «un papa un giorno lo farà e tornerà alla retta dottrina che era normativa prima del Concilio».
Dopo queste dichiarazioni, mentre oggi la Fraternità S. Pio X celebra il mezzo secolo della sua fondazione, il fossato del dissenso con Roma si è talmente allargato da far apparire una riconciliazione praticamente impossibile.