Il documento che pubblichiamo ripete un gesto compiuto da alcuni padri conciliari al termine del Vaticano II. Il 16 novembre 1965 una quarantina di padri conciliari firmarono nella basilica sopra le catacombe di Domitilla a Roma un testo in cui si impegnavano per una Chiesa povera per i poveri (il testo è stato ripubblicato su Settimana, ancora nel 2012; cf. qui). Alcuni dei padri sinodali presenti a Roma per il sinodo sull’Amazzonia hanno ripreso e riproposto quel “segno”, trasformando i dibattiti dell’aula sinodale in un impegno personale. Non è un testo del Sinodo ma è un segnale rilevante della conversione che il confronto ecclesiale richiede.
Patto delle catacombe per la Casa comune
Per una Chiesa dal volto amazzonico, povera e serva, profetica e samaritana
Noi, partecipanti al Sinodo pan-amazzonico, condividiamo la gioia di vivere in mezzo a numerose popolazioni indigene, quilombolas, di abitanti delle rive dei fiumi, di migranti e a comunità delle periferie delle città di questo immenso territorio del pianeta. Con loro abbiamo sperimentato la forza del Vangelo che opera nei più piccoli. L’incontro con questi popoli ci interpella e ci invita ad una vita più semplice di condivisione e gratuità. Segnati dall’ascolto delle loro grida e delle loro lacrime, accogliamo calorosamente le parole di papa Francesco: «Molti fratelli e sorelle in Amazzonia portano pesanti croci e attendono la consolazione liberatrice del Vangelo, la carezza dell’amore della Chiesa. Per loro, con loro, camminiamo insieme»[1].
Ricordiamo con gratitudine quei vescovi che, nelle Catacombe di Santa Domitilla, al termine del Concilio Vaticano II, firmarono il Patto per una Chiesa serva e povera[2]. Ricordiamo con venerazione tutti i martiri membri delle comunità ecclesiali di base, degli organismi pastorali e dei movimenti popolari, i leader indigeni, le missionarie e i missionari, le laiche e i laici, i presbiteri e i vescovi, che hanno versato il loro sangue a motivo di questa opzione per i poveri, della difesa della vita e della lotta per proteggere la nostra Casa comune[3]. Alla gratitudine per il loro eroismo uniamo la nostra decisione di continuare la loro lotta con fermezza e coraggio. È un sentimento di urgenza che si impone di fronte alle aggressioni che oggi devastano il territorio amazzonico, minacciato dalla violenza di un sistema economico predatorio e consumistico.
Davanti alla Santissima Trinità, alle nostre Chiese particolari, alle Chiese dell’America Latina e dei Caraibi e a quelle solidali con noi in Africa, Asia, Oceania, Europa e nel Nord del continente americano, ai piedi degli apostoli Pietro e Paolo e della moltitudine di martiri di Roma, dell’America Latina e soprattutto della nostra Amazzonia, in profonda comunione con il successore di Pietro, invochiamo lo Spirito Santo, e ci impegniamo personalmente e comunitariamente a:
(1) Assumere, di fronte all’estrema minaccia del riscaldamento globale e dell’esaurimento delle risorse naturali, l’impegno di difendere nei nostri territori e con i nostri atteggiamenti la foresta amazzonica. Da essa provengono i doni dell’acqua per gran parte del Sud America, il contributo al ciclo del carbonio e alla regolazione del clima globale, una biodiversità incalcolabile e una ricca diversità sociale per l’umanità e per l’intera terra.
(2) Riconoscere che non siamo i proprietari della madre terra, ma i suoi figli e figlie, formati dalla polvere della terra (Gen 2,7-8)[4], ospiti e pellegrini (1 Pt 1,17b e 1 Pt 2,11)[5], chiamati a essere sue e suoi zelanti custodi (Gen 1, 26)[6]. A tal fine, ci impegniamo a un’ecologia integrale, in cui tutto è interconnesso, il genere umano e l’intera creazione, perché tutti gli esseri sono figlie e figli della terra e su di essa aleggia lo Spirito di Dio (Gen 1, 2).
(3) Accogliere e rinnovare ogni giorno l’alleanza di Dio con tutta la creazione: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca» (Gen 9,9-10 e Gen 9,12-17[7]).
(4) Rinnovare nelle nostre Chiese l’opzione preferenziale per i poveri, specialmente per i popoli originari, e insieme a loro garantire il diritto di essere protagonisti nella società e nella Chiesa. Aiutarli a preservare le loro terre, culture, lingue, storie, identità e spiritualità. Crescere nella consapevolezza che queste devono essere rispettate a livello locale e globale e, di conseguenza, incoraggiare, con tutti i mezzi a nostra disposizione, ad accoglierli su un piano di parità nel concerto mondiale dei popoli e delle culture.
(5) Abbandonare, di conseguenza, nelle nostre parrocchie, diocesi e gruppi ogni tipo di mentalità e di atteggiamento coloniale, accogliendo e valorizzando la diversità culturale, etnica e linguistica in un dialogo rispettoso con tutte le tradizioni spirituali.
(6) Denunciare ogni forma di violenza e aggressione all’autonomia e ai diritti dei popoli originari, alla loro identità, ai loro territori e ai loro modi di vita.
(7) Annunciare la novità liberatrice del Vangelo di Gesù Cristo, nell’accogliere l’altro e il diverso, come avvenne a Pietro nella casa di Cornelio: «Voi sapete come non sia lecito a un giudeo avere relazioni con uno straniero o entrare in casa sua. Ma Dio mi ha mostrato che nessun uomo deve essere ritenuto impuro e contaminato» (At 10,28)[8].
(8) Camminare ecumenicamente con altre comunità cristiane nell’annuncio inculturato e liberatore del Vangelo, e con le altre religioni e persone di buona volontà, nella solidarietà con i popoli originari, con i poveri e i piccoli, nella difesa dei loro diritti e nella conservazione della Casa comune.
(9) Instaurare nelle nostre Chiese particolari uno stile di vita sinodale, in cui rappresentanti dei popoli originari, missionarie e missionari, laiche e laici, in virtù del loro battesimo e in comunione con i loro pastori, abbiano voce e voto nelle assemblee diocesane, nei consigli pastorali e parrocchiali, insomma in tutto ciò che li riguarda nel governo delle comunità.
(10) Impegnarci a riconoscere con urgenza i ministeri ecclesiali già esistenti nelle comunità, esercitati da agenti pastorali, catechisti indigeni, ministre e ministri della Parola, valorizzando in particolare la loro attenzione ai più vulnerabili ed esclusi.
(11) Rendere effettiva nelle comunità a noi affidate il passaggio da una pastorale della visita a una pastorale della presenza, assicurando che il diritto alla mensa della Parola e alla mensa dell’eucaristia diventi effettivo in tutte le comunità.
(12) Riconoscere i servizi e la vera e propria diaconia del gran numero di donne che oggi guidano comunità in Amazzonia e cercare di consolidarli con un adeguato ministero di leader femminili di comunità.
(13) Cercare nuovi percorsi di azione pastorale nelle città in cui operiamo, con protagonismo dei laici e dei giovani, con attenzione alle loro periferie e ai migranti, ai lavoratori e ai disoccupati, agli studenti, agli educatori, ai ricercatori e al mondo della cultura e della comunicazione[9].
(14) Assumere davanti all’ondata del consumismo uno stile di vita gioiosamente sobrio, semplice e solidale con chi ha poco o nulla; ridurre la produzione di rifiuti e l’uso della plastica, favorire la produzione e la commercializzazione di prodotti agro-ecologici, utilizzare il trasporto pubblico quando possibile.
(15) Metterci al fianco di coloro che sono perseguitati a causa del loro servizio profetico di denunciare e riparare le ingiustizie, di difendere la terra e i diritti dei più piccoli, di accogliere e sostenere migranti e rifugiati. Coltivare vere amicizie con i poveri, visitare le persone più semplici e gli ammalati, esercitando il ministero dell’ascolto, della consolazione e del sostegno che danno sollievo e rinnovano la speranza.
Consapevoli delle nostre fragilità, della nostra povertà e piccolezza di fronte a sfide così grandi e gravi, ci affidiamo alla preghiera della Chiesa. Che soprattutto le nostre comunità ecclesiali ci aiutino con la loro intercessione, l’affetto nel Signore e, quando necessario, con la carità della correzione fraterna.
Accogliamo con cuore aperto l’invito del cardinale Hummes a lasciarci guidare dallo Spirito Santo in questi giorni del Sinodo e nel ritorno nelle nostre Chiese: «Lasciatevi avvolgere dal mantello della Madre di Dio, Regina dell’Amazzonia. Non lasciamoci sopraffare dall’autoreferenzialità, ma dalla misericordia davanti al grido dei poveri e della terra. Sarà necessario pregare molto, meditare e discernere una pratica concreta di comunione ecclesiale e di spirito sinodale. Questo Sinodo è come una mensa che Dio ha imbandito per i suoi poveri e ci chiede di servire a quella mensa»[10].
Celebriamo questa eucaristia del Patto come «un atto di amore cosmico»: «Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo». L’eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico «la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso». Perciò l’eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato»[11].
[1] Omelia di papa Francesco nella Messa di apertura del Sinodo, Roma 6 ottobre 2019.
[2] Patto per una Chiesa serva e povera. Catacombe di Santa Domitilla, Roma, 16 novembre 1965. Al Patto, sottoscritto da 42 concelebranti, in seguito aderirono circa 500 padri conciliari.
[3] DAp 98, 140, 275, 383, 396.
[4] «Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato».
[5] «… comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio” (1 Pt 1, 17b); e “carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini…» (1 Pt 2, 11).
[6] «E Dio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra’. Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò».
[7] «Dio disse: ‘Ecco il segno dell’alleanza che io pongo tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi per le generazioni eterne. Il mio arco pongo sulle nubi es esso sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e tra ogni essere che vive in ogni carne e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne. L’arco sarà sulle nubi e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra’. Dio disse a Noè: ‘Questo è il segno dell’alleanza che io ho stabilito tra me e ogni carne che è sulla terra».
[8] «Allora Pietro, cominciando a parlare, disse: In verità comprendo che Dio non ha riguardi personali, ma che in qualunque nazioni chi lo teme e opera giustamente gli è gradito» (At 10, 34-35).
[9] Cf. DSD 302, 1.3
[10] Claudio Hummes, Prima Congregazione generale del Sinodo amazzonico. Relazione introduttiva del Relatore generale, Roma, 7 ottobre 2019 (BO 792).
[11] Laudato si’, n. 236.
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