Birgit Weiler è una suora tedesca che vive e lavora in Perù da oltre 30 anni.
È dottore in teologia e insegna presso l’università dei gesuiti di Lima.
Al Sinodo per l’Amazzonia prende parte in qualità di esperta. In questa intervista, rilasciata a Roland Juchem per l’agenzia KNA, descrive alcune sue impressioni.
– Suor Birgit, la gamma di temi di questo Sinodo è ricca come nessun altro. Ha definito ormai le sue linee?
Attualmente stiamo ancora ascoltando i numerosi interventi, ma i problemi si stanno chiaramente delineando. Di questi fa parte l’ecologia globale: cosa significa ciò per una Chiesa che vuole applicare all’Amazzonia le richieste contenute nell’enciclica Laudato si’ e che desidera vivere laggiù? Collegato con essa è il tema di una Chiesa sinodale in cui non solo si cammina insieme ma anche insieme si decide. Ciò, a sua volta, richiede un cambiamento profondo delle strutture nella Chiesa.
Un altro tema è un pressante appello in particolare dei popoli indigeni: la Chiesa stia accanto a noi, per difendere la nostra terra, il nostro spazio vitale e i nostri diritti contro i megaprogetti come l’industria mineraria e l’energia idroelettrica. Papa Francesco disse nel gennaio 2018 in Perù: “Mai come oggi i popoli indigeni dell’Amazzonia sono stati così minacciati”. Questo vale ancora.
– Come vive lo stile di comunicazione nell’aula sinodale e nei piccoli gruppi?
L’atmosfera è buona e aperta. Per quanto riguarda l’incontro e gli scambi, molto avviene durante le pause e nei piccoli gruppi. In aula a ispirarci sono spesso gli indigeni, uomini e donne. Non dobbiamo deludere le loro aspettative. Alcuni hanno affermato di sentirsi ben compresi dal papa e si augurano che anche lui si senta ben sostenuto dai vescovi e dai cardinali. Per quanto riguarda lo stile, siamo in cammino. Se si vuole che i vescovi e i cardinali a Roma, da un contesto ecclesiale e culturale del tutto diverso, comprendano la realtà dell’Amazzonia, è necessario che qualcuno se ne faccia interprete. Un cardinale della curia lo ha ammesso.
– Questa è più una differenza tra uomini e donne o tra curiali e latino-americani?
Ambedue. I vescovi dell’Amazzonia sono vicini alla gente e sono abituati ad ascoltare. La realtà della vita in Amazzonia è tale che ognuno ha bisogno dell’altro. Spesso ci troviamo letteralmente insieme su una barca, per andare da qualche parte. Il fatto che il peso debba essere adeguatamente distribuito e che ci sia bisogno di un barcaiolo indigeno esperto per non finire su un banco di sabbia o in una corrente pericolosa, produce anche qualcosa che trasforma interiormente.
– Tutti i partecipanti al Sinodo sembrano concordare sul fatto che il ruolo delle donne debba essere rafforzato. Il disaccordo riguarda le misure concrete. Quali ritiene siano adeguate?
Ci sono molti compiti che non richiedono l’ordine sacro; qui può e deve essere impegnato un maggior numero di donne. Per esempio, un vescovo in Bolivia ha come vicario generale una donna. Nelle facoltà teologiche dovrebbero insegnare più donne come anche partecipare alle decisioni strategiche nella pastorale e nella formazione dei sacerdoti e degli altri collaboratori.
– Cosa impedisce questo sviluppo: il clericalismo o i fattori sociali?
Spesso entrambi. Naturalmente c’è del maschilismo anche in Amazzonia. Ma qualcosa sta cambiando. Le studentesse nelle università, ad esempio, hanno smesso da tempo di rallegrarsi di ciò che è accaduto cinque anni fa. E questo è solo un indizio.
– Nelle dichiarazioni riguardanti i nuovi servizi e ministeri si coglie, senza volerlo, la mimica del papa o del card. Ladaria della Congregazione per la dottrina della fede?
Talvolta si vede sul volto di qualche cardinale – non si può vedere nelle loro teste – che non è d’accordo con le dichiarazioni sul problema dei ministeri alle donne. Ma accettano che se ne parli apertamente. In effetti, alcuni vescovi – e anche alcune donne – hanno affermato: il problema del diaconato femminile non dev’essere più tolto dal tavolo. Vale a dire, prima era stato come cestinato. Fa bene sentire persone che qui ne parlano con libertà interiore.
– Quanto è realistico pensare che nel prossimo Sinodo sarà accordato il diritto di voto alle donne?
In Vaticano tutto richiede il suo tempo. Mi sembra tuttavia chiaro che l’argomento non possa essere ulteriormente rinviato. Come si giustifica che ai superiori delle comunità di fratelli sia concesso il diritto di voto, ma non alle donne, che hanno lo stesso incarico nelle loro comunità? Non c’è nessuna ragione che impedisca di modificare il regolamento del Sinodo in maniera conseguente.
– Una delle maggiori preoccupazioni del Sinodo è che gli indigeni siano ascoltati e compresi. Avviene questo davvero?
I partecipanti indigeni hanno prima di tutto osservato, poiché molte cose per loro erano nuove e sconosciute, ma poi hanno preso la parola: se volete fare realmente qualcosa in base alla fede per il creato – dicono – allora questo è il momento per la Chiesa di cambiare le carte in tavola e per dire quale modello di economia e quale stile di consumo in Europa e in Nordamerica rovinano la regione amazzonica. Ciò di cui i cristiani in Europa hanno bisogno per il loro benessere viene estratto dal sottosuolo in Amazzonia. Di conseguenza, i loro fratelli di fede soffrono laggiù. Dobbiamo anche noi chiederci: se l’estrazione dell’oro in Amazzonia inquina i fiumi, di quale oro sono fatti i nostri calici?
– In che misura il sinodo dell’Amazzonia è una creatura di papa Francesco, dell’argentino Jorge Maria Bergoglio?
Certamente è desiderato da lui perché vuole che la Laudato si’ venga tradotta in contesti concreti. Il Sinodo è in gran parte nato delle aspirazioni di molti cattolici che desiderano un maggiore collegamento e una propria identità nella regione amazzonica. Alla preparazione ha partecipato un gran numero di persone, 80.000, che affidano al Sinodo grandi speranze. Noi non dobbiamo deludere le loro attese. (KNA, 17.10.2019)