È comune ascoltare, negli ecclesiastici del Medio Oriente, un giudizio positivo sull’intervento militare russo in Siria e sul ruolo che Putin si è assunto in ordine alla difesa del cristianesimo in quell’area. La protezione dello zar di Mosca sulla Chiesa ortodossa è scontata, molto meno il consenso che sta crescendo anche nelle altre Chiese.
È indicativo che, in una recente visita in Ungheria (30 ottobre), il primo ministro Viktor Orban, abbia presentato Vladimir Putin ai capi delle Chiese cristiane del Medio Oriente. Erano presenti Giovanni X primate della Chiesa di Antiochia, il patriarca Mor Ignatius Aphrem II della Chiesa ortodossa siriaca, Yossef Absi I patriarca greco-melchita di Antiochia, Ignazio Youssef patriarca siro-cattolico di Alessandria e Gerusalemme, Youseff III Yunan patriarca siro-cattolico di Antiochia.
«La Russia – ha detto Putin – fa sforzi persistenti e costanti per assicurare la pace e la stabilità nel Medio Oriente. È noto quanto il mio paese ha fatto per combattere il male contagioso del terrorismo, sia nel Medio Oriente, sia, in particolare, in Siria, così come il Daesh». Ha sottolineato come, in quell’area, vi siano problemi seri per il cristianesimo che ha lì le sue radici. «Si registrano omicidi, rapine e violenze. Assistiamo ad un esodo dei cristiani dal Medio Oriente. Ancora più, ad un esodo massiccio. Tutto questo non può non allarmarci». Ai vescovi presenti ha chiesto: «Come possiamo aiutarvi e sostenervi?».
Orban, l’alleato
Orban ha trainato il riconoscimento a Putin, in coerenza con la sua politica sovranista, anti-europea e ispirata all’identità cristiana del continente. Ha chiuso le frontiere agli immigrati, ma ha sviluppato progetti di aiuto alle Chiese cristiane dei paesi di provenienza. Sono abituali gli incontri con gli ecclesiastici stranieri. Il 18 giugno 2019, ad esempio, ha incontrato i vescovi e i rappresentanti delle Chiese cristiane dell’Etiopia.
È probabile che l’attività si intensifichi molto in occasione del prossimo congresso eucaristico internazionale che si svolgerà a Budapest nel 2020.
Ma l’attività umanitaria di Orban non ha certo l’impatto della politica militare della Russia. Un autorevole esperto mi ha detto: «Il rilievo di Putin non è del tutto illegittimo, anche se il suo interesse va collocato nella politica, più che sulla fede personale. I cristiani siriani sono anzitutto un’opportunità politica per lui, una buona ragione per chiedere e ottenere la presenza di basi militari russe. Del resto, il suo gioco è facilitato dagli enormi errori degli altri protagonisti: Unione Europea e USA (Trump)».
Anche il patto russo-turco del 22 ottobre che, dopo il tradimento di Trump, espelle i curdi dalle aree di confine e li condanna a subire il potere di Assad, risponde alla volontà russa di sostenere il potere di Damasco impedendo il formarsi di una regione autonoma.
L’azione di sostegno russo verso le Chiese siriane e medio-orientali è finalizzato solo alla ricostruzione delle chiese e delle chiese ortodosse e, fra queste, in particolare della Chiesa di Antiochia, la più fedele al patriarcato moscovita come si è visto nella vicenda dell’autocefalia ucraina.
Gli ortodossi russi hanno chiesto un sostegno anche alle altre Chiese cristiane che hanno aderito, ma non sono entusiaste della finalizzazione. Tanto più che tutto il materiale arriva attraverso le truppe militari col rischio che, una volta superata l’emergenza, la Siria scompaia dall’interesse.
Il versante cattolico è impegnato sugli “ospedali aperti”, come li ha chiamati il nunzio apostolico in Siria, card. M. Zenari. Sono iniziative umanitarie aperte a tutta la popolazione e assai più complesse da istallare e mantenere.
Fede e sacralità dello zar
Putin come defensor christianorum è credibile? Un certo consenso popolare lo raccoglie in Russia, ma anche in Serbia dove la sua visita trionfale del 17 gennaio scorso è culminata nell’accoglienza alla cattedrale di San Sava, davanti al patriarca Ireneo, all’intero sinodo e a una folla di 120.000 persone.
Nonostante i suoi precedenti polizieschi e atei, rivestendo il ruolo di “zar” è guardato con qualche simpatia dal popolo minuto russo. «Da apparatcik dei servizi segreti (KGB) comunisti non poteva che proclamarsi ateo. Qualcosa è cambiato una volta che è arrivato al potere. Nel corso degli anni ha lasciato emergere una dimensione di umanesimo spirituale che negli ultimi anni si è connotata di un certo “misticismo russo”. Si sta ponendo domande fondamentali sul senso della vita e, soprattutto, è tormentato dal pensiero della sofferenza e della morte. Interrogativi che non condivide con l’entourage, poiché nessuno sembra interessato alla questione. E neanche ne parlerebbe con i maggiorenti della gerarchia ortodossa, che ritiene troppo mondana e attaccata ai soldi. Ne parla con il suo vescovo di riferimento, Tikhon Sevchkun, rettore del grande monastero Sretenski e dell’annessa università teologica (Mosca). Esternamente è molto discreto e, al di là della partecipazione alle grandi funzioni dell’ortodossia moscovita, non lascia trasparire una fede personale. Se non nel riferimento ai valori tradizionali dell’anima russa. Cemento labile, che trova comunque consensi» (cf. www.settimananews.it/profili/putin-il-mistico).
Per la prima volta, una lettera del clero
La gerarchia ortodossa mostra una sintonia piena con l’azione del governo russo. Non casualmente Putin, in occasione dell’incontro a Budapest, ha ricordato la telefonata di Cirillo che condivideva le finalità della riunione nella capitale ungherese.
Vi è tuttavia un episodio significativo di dissenso che coinvolge un piccolo numero di clero russo. Il 17 settembre 2019 alcuni preti hanno firmato una lettere aperta per una riforma del sistema giudiziario e a favore dei dissidenti politici. È la prima volta da decenni che il clero prende parola in pubblico in forma critica e autonoma rispetto all’autorità patriarcale ed episcopale.
Prima della lettera e senza rapporto con essa aveva fatto rumore il gesto di un pope di origine italiana e di appartenenza focolarina, convertito all’ortodossia. Si chiama Giovanni Guaita ed è attivo come collaboratore pastorale nella parrocchia dei Santi Cosma e Damiano, comunità dove ha operato una figura importante della Chiesa contemporanea russa, p. Alexandr Men’. Padre spirituale del dissenso sovietico negli anni del regime, ucciso nel 1990, è noto per la traduzione di alcuni suoi volumi in italiano. P. Guaita l’ha conosciuto negli anni ’80 e, dopo aver collaborato con il Dipartimento delle relazioni estere del patriarcato, è stato inviato nella parrocchia come cappellano.
Durante le manifestazioni di protesta il 27 luglio scorso, si trovava nella chiesa dove aveva celebrato le esequie di un giovane. Dalla piazza, dove si protestava contro la decisione della Commissione elettorale di non ammettere candidature di esponenti delle opposizioni alle elezioni comunali, sono entrati in chiesa un centinaio di giovani che fuggivano dalla carica delle polizia. Li ha accolti, ha messo a loro disposizione i bagni e li ha invitati alla preghiera. Il gesto di accoglienza si è ripetuto poche ore dopo con i poliziotti.
Si è giustificato così: «Accogliere tutti è nostro dovere, è per questo che siamo una chiesa, non c’è niente di speciale in questo». «Qualcuno è scappato qui dentro per paura. In tanti hanno scavalcato le cancellate laterali e noi abbiamo accolto tutti con amore, a prescindere dalle idee politiche; abbiamo proposto di pregare per la pace e tutti hanno partecipato con soddisfazione e interesse». Il gesto è stato notato e, all’interno della gerarchia e del clero, molto criticato: «Cosa vuole insegnarci quel pope italiano?».
Traino alla società civile
Due mesi dopo viene pubblicata la lettera-appello di un gruppo di sacerdoti ortodossi a favore dei giovani detenuti in seguito a proteste politiche non autorizzate. Come ha scritto Sergei Chapnin, ex collaboratore del patriarca Cirillo, nel suo blog (tradotto da Asia-News; 19 ottobre), l’inattesa lettera «ha avuto un risonanza inaspettatamente profonda nella società russa». In essa si domanda di rivedere le decisioni del tribunale relative alla carcerazione, si richiamano i poliziotti a non prestarsi alla falsa testimonianza e si fa appello all’autorità giudiziaria e alle forze dell’ordine, in riferimento alla tradizione ecclesiale ortodossa, per procedimenti giudiziari non repressivi e contro comportamenti violenti e ingiustificabili.
Le firme, rimaste anonime, sono state dapprima di preti all’estero e poi di quelli locali per un totale di circa 200. «È la prima volta che il clero ortodosso mostra la propria solidarietà agli attivisti civili detenuti e la propria disponibilità a discutere pubblicamente la difesa degli innocenti condannati, in quando compito cristiano». Incerta e imbarazzata la reazione degli uffici curiali e del patriarcato. Le prime voci erano molto critiche e si preannunciavano censure, poi si è fatto notare l’imprudenza dei firmatari.
Una terza dichiarazione, direttamente imputabile al patriarca, invitava i vescovi a non comminare censure. Hilarion si è mostrato possibilista: la lettera non è antipatriottica, ma le cose vanno fatto d’intesa coi superiori.
Nel frattempo, una decina di associazioni professionali (medici, informatici, editori, architetti, uomini di cultura ecc.) hanno pubblicato e firmato lettere simili per chiedere un rinnovamento dei procedimenti giudiziari.