La sedia vuota del papa in alcuni concerti di musica classica, come il 22 giugno 2013 con l’orchestra RAI in Aula Nervi, e, sul versante opposto, il tango ballato da alcune migliaia di persone nello spazio antistante Piazza San Pietro il 17 dicembre 2014 in occasione del suo compleanno, hanno alimentato l’immagine di papa Francesco come estraneo alla musica classica, permeato di musica popolare e disattento al tema della musica sacra.
In realtà, l’attenzione alla musica liturgica è stata rilanciata dal 50° anniversario dell’istruzione vaticana sulla musica sacra del marzo 1967 (Musicam sacram, EV 2/967-1035).
Nell’ambito del 3° convegno internazionale sulla musica sacra (“Chiesa, musica, interpreti: un dialogo necessario”, Roma, 7-9 novembre 2019), papa Francesco ha parlato dell’interprete musicale come di colui «che traduce con un proprio spirito ciò che il compositore ha scritto, perché risuoni bello e perfetto artisticamente. Del resto, l’opera musicale esiste fintanto che venga interpretata». «Il buon interprete è animato da grande umiltà dinanzi all’opera d’arte, che non gli appartiene. Sapendo di essere, nel suo campo, un servitore della comunità, cerca sempre di formarsi e di trasformarsi interiormente e tecnicamente, per potere offrire la bellezza della musica e, nell’ambito liturgico, compiere il suo dovere nell’esecuzione musicale» a servizio della comunità. Fra autore, opera, interprete e ascoltatore si sviluppa un circolo positivo, nello sforzo «di capire ciò che la bellezza, la musica, l’arte ci permettere di conoscere della realtà di Dio».
Sull’interprete aveva detto alcune cose anche Benedetto XVI a partire dalla sua collocazione all’interno dell’orchestra: «Suonare da solista richiede alla persona non solo l’esercizio di tutte le sue capacità tecniche e musicali nell’esecuzione della propria parte, ma anche sapere sempre mettersi nell’ascolto attento degli altri. Solo se si arriva a questo, se ciascuno non si mette al centro e piuttosto, in uno spirito di servizio, dentro l’insieme, mettendosi a disposizione, per così dire, come “strumento” affinché il pensiero del compositore possa diventare suono e giungere al cuore degli ascoltatori, solo allora si giunge a un’interpretazione davvero magistrale» (Benedetto XVI, L’esprit de la musique, Perpignan 2011; 18 novembre 2006, in occasione di un concerto offerto dal presidente della Repubblica federale tedesca).
Musicam sacram e il documento non pubblicato
Il 3° convegno internazionale continua due altre iniziative similari, sempre in capo al Pontificio consiglio delle cultura.
Il primo convegno fu celebrato nel 2017 in occasione dei 50 anni di Musicam sacram (cf. in proposito il n. 290 de La maison-Dieu: “Le cinquantenaire de Musicam sacram”), nello sforzo di riflettere sul fenomeno musicale ecclesiale, di valutare i mutamenti di concezione a cinquant’anni dall’istruzione del 1967, di rivisitare il ruolo del musicista di Chiesa e il patrimonio musicale nell’insieme della cultura contemporanea.
Il secondo, con il titolo “Chiesa e compositori. Parole e suoni”, ha messo in evidenza il posto del compositore nella vita musicale della Chiesa, con il suo contributo pastorale e culturale per le comunità cristiane.
Fa il 1967 e il 2017 ci fu il tentativo di un documento sulla musica che non ebbe esito. Fra il 1983 e il 1985 («anno europeo» della musica in occasione dei 300 anni della nascita di G.F. Haendel, J.S. Bach. D. Scarlatti) fu preparato da un gruppo di esperti un testo in successive bozze.
Il documento, finora sconosciuto, è stato pubblicato e commentato da don Riccardo Santagostino Baldi nel n. 3/2019 di Rivista liturgica.
Dei 25 punti che lo compongono accenno solo a due. «L’eccellenza della musica sacra si attua sulla stretta e inscindibile connessione con la parola. La musica ha il compito di interpretare e di esaltare con i suoni sia la parola che viene da Dio, sia la parola che, come preghiera, si innalza dalla comunità dei fedeli a Dio. Per questo motivo anche i testi destinati al canto devono possedere, come la musica stessa, particolari qualità di coerenza con la liturgia in cui essi sono usati».
Fra i modelli musicali proposti si ricorda anzitutto il canto gregoriano, proprio della liturgia romana e universalmente riconosciuto, il patrimonio della tradizione delle Chiese orientali e di altri riti come quello ambrosiano, la polifonia sacra antica e moderna.
A questi si aggiunge il canto popolare: «già ricco di opere valide, (esso) è ancora aperto all’opera concorde di poeti e di musicisti, che, traendo ispirazione dalle proprie culture e dalle tradizioni native, diano voce e suono a nuove forme autenticamente liturgiche che coinvolgano nella partecipazione tutto il popolo».
Il documento non è venuto alla luce per una serie di intoppi: dalle scelte di vita di uno dei suoi maggiori estensori (Giacomo Baroffio) alla irrisolta disputa sul ruolo del canto gregoriano, dalla diversità di vedute fra Congregazione dei riti e Congregazione per la dottrina della fede (allora presieduta da J. Ratzinger) al problema dei diritti d’autore, indigesto per la CEI). Alcune indicazioni del documento sono poi rientrate nei principi e norme per i concerti nelle chiese pubblicato dalla CEI nel 1989.
Diversità di accenti
La diversità di accenti dei pontificati di Benedetto XVI e Francesco è visibile nel raffinato orizzonte europeo del primo e nell’apertura alle altre culture del secondo.
In occasione di un concerto offerto dal patriarca di Mosca, Cirillo, papa Benedetto così commenta la creatività musicale europea nutrita dalle sue radici cristiane: «Come ho detto più volte, la cultura contemporanea e in particolare quella dell’Europa, corre il rischio dell’amnesia, della dimenticanza e quindi dell’abbandono dello straordinario patrimonio suscitato dalla fede cristiana che costituisce l’ossatura essenziale della cultura europea, e non solo di essa. Le radici cristiane d’Europa sono in effetti costituite, oltre che dalla vita religiosa e dalla testimonianza delle generazioni credenti, anche dall’inestimabile patrimonio culturale artistico, orgoglio e risorsa preziosa di popoli e paesi dove la fede cristiana, nelle sue diverse espressioni, ha dialogato con le cultura e le arti, le ha animate e ispirate, favorendo e promuovendo più che mai la creatività e il genio umano» (Roma, 20 maggio 2010).
Nel discorso al 1° convegno internazionale su musica e Chiesa, papa Francesco ricorda la duplice missione verso gli operatori della musica: «Si tratta, per un verso, di salvaguardare e valorizzare il ricco e multiforme patrimonio ereditato dal passato, utilizzandolo con equilibrio nel presente ed evitando il rischio di una visione nostalgica o “archeologica”. D’altra parte, è necessario fare in modo che la musica sacra e il canto liturgico siano pienamente “inculturati” nei linguaggi artistici e musicali dell’attualità; sappiano cioè incarnare e tradurre la Parola di Dio in canti, suoni, armonie che facciano vibrare il cuore dei nostri contemporanei, creando anche un opportuno clima emotivo, che disponga alla fede e susciti l’accoglienza e la piena partecipazione al mistero che si celebra» (4 marzo 2017).
Rimando ad alcuni articoli sul tema della musica di chiesa apparsi su Settimananews: Il canto liturgico nella Chiesa ortodossa russa; Lamento sulla poesia e il canto liturgico; Musica sacra e pratiche pastorali.
Il centro della crescita è la vita in Cristo, nella Chiesa in mezzo agli altri. Per questo le novità spesso vengono dalla base e non dalle istituzioni. E quando vengono dalle istituzioni prima sono passate dalla vita quotidiana. Oggi vi è un grande rischio di uniformità, di formalismo istituzionale e via dicendo.
Ma se ci sono spaccature grandi come una voragine: e poi dopo 6 anni l’istituzione è Bergoglio stesso. Santa Marta centro del mondo e via, più conformismo di così.