Dal 24 al 26 giugno papa Francesco visiterà la repubblica di Armenia, estesa su una superficie di 29.743 kmq, con una popolazione di 3.017.100 abitanti. La capitale Yerevan conta poco più di un milione di abitanti.
Un tempo l’Armenia si estendeva dal Mar Nero al Mar Caspio e comprendeva territori che ora appartengono alla Turchia e all’Iran. Una storia tribolata, spesso tragica, segnata da avvenimenti sui quali è ancora incandescente il dibattito. Si pensi alla tormentata questione del genocidio, di 1.500.000 armeni sotto il potere dei Giovani turchi, che dal 1908 si protrasse sino alla fine della prima guerra mondiale. Nel 1988 un terremoto di vaste proporzioni ridusse in macerie parecchie città, provocando 25 mila morti e migliaia di feriti.
Già repubblica federata nell’ambito dell’URSS, divenne indipendente il 21 settembre 1991 e due mesi dopo aderì alla Comunità degli Stati Indipendenti. Nel 1988 entrò in guerra con l’Azerbaigian per il possesso del Nagorno-Karabah, una enclave azera abitata in maggioranza da armeni.
L’accordo dell’ottobre 1997 concesse ampia autonomia alla provincia e consentì la formazione del Corridoio di Lachin. A causa del conflitto, circa 300 mila armeni abbandonarono l’Azerbaigian. La Costituzione della repubblica armena fu promulgata il 5 luglio 1995. Il primo presidente fu Levon Ter-Petrossian, un intellettuale dissidente, che nel febbraio 1998 fu costretto a dare le dimissioni. Fu sostituito da Robert Kocharian, ex presidente del Nagorno-Karabah, il cui governo non era riconosciuto da nessun altro paese, se non dall’Armenia.
Il 1° gennaio 2015 il paese è entrato a far parte dell’Unione doganale euroasiatica, stringendo importanti rapporti con la Federazione Russa. Presidente è Serzh Sargsyan dall’aprile 2008 e riconfermato nel febbraio 2013 e primo ministro è Hovik Abrahamyan dall’aprile 2014. La maggioranza dei seggi nell’Assemblea nazionale la detiene il Partito repubblicano conservatore (70); al secondo posto si colloca il partito Armenia prospera, pure di stampo conservatore (36).
Gli armeni apostolici ortodossi, sotto la guida di sua santità Karekin II, sono il 94%; i cattolici il 4%.
Giovanni Paolo II fece visita all’Armenia dal 25 al 27 settembre 2001, in occasione del 1700° anniversario della proclamazione del cristianesimo quale religione ufficiale del popolo armeno.
Secondo una tradizione molto antica essa avvenne nel 301 ad opera di san Gregorio l’Illuminatore, che convertì il re Tiridate III e battezzò lui e la sua corte. Fu lo stesso san Gregorio, consacrato vescovo a Cesarea di Cappadocia (oggi Kaysri in Turchia) con il titolo di catholicos o vescovo generale degli armeni, a fondare la prima cattedrale chiamata Etchmiadzin. Secondo un’antichissima tradizione sarebbero stati gli apostoli Giuda Taddeo e Bartolomeo a evangelizzare il regno di Urartu già nel 1° secolo.
Il catholicos Karekin II, nato nel 1951 in un paesino della regione di Armavir, a Voskehat, è dal 1999 il 132° patriarca di tutti gli armeni ortodossi. È un uomo di squisita sensibilità, molto colto e instancabile restauratore di chiese e monasteri. Ha eretto seminari e fondato centri di cultura e spiritualità. Il 27 settembre 2001 firmò con Giovanni Paolo II, nella cattedrale di Etchmiadzin, alle porte di Yerevan, una Dichiarazione comune, nella quale il massacro degli armeni viene definito «il primo genocidio del XX secolo». Ora pare essere diventato meno sicuro, cosa che l’ha sottoposto a una serie di critiche.
Karekin II, quando lo incontrai qualche anno fa, mi raccontò con orgoglio di avere ceduto la propria stanza a Giovanni Paolo II quando gli fece visita e di avergli poi dato in dono la Via crucis, che vi era stata messa appositamente per il papa. Non v’è dubbio sulla sua forte convinzione ecumenica, che lo porta a continuare ad avere nei confronti della Santa Sede la volontà di mantenere rapporti sereni e proficui, iniziati già dal predecessore Karekin I.
Significativo il dono che il catholicos fece al papa in ricordo della visita: una fiaccola accesa alla fiamma che arde perennemente al pozzo, profondo 40 metri, nel quale il re Tiridate tenne prigioniero per tredici anni san Gregorio l’Illuminatore per la sua fede cristiana. Giovanni Paolo II collocò la fiaccola nella nuova cappella dell’aula del Sinodo dei vescovi.
Segni altrettanto significativi sono da attendersi sia da papa Francesco che dal patriarca. Ad entrambi non manca certo la fantasia.