L’immigrazione straniera in Italia è cresciuta pochissimo negli ultimi cinque anni, meno del 7% in tutto, ossia poco più dell’1% all’anno. Crisi e poi stagnazione economica hanno da anni allontanato il grosso dei flussi migratori dall’Italia.
Una delle ragioni principali dell’interesse per l’Africa negli ultimi anni è la questione migratoria. Africa, migranti, sbarchi sulle coste hanno formato in tempi recenti un trinomio che non solo ha attratto grande attenzione, ma si è trasformato in una rappresentazione distorta e ansiogena dei fenomeni migratori. Molti italiani sono convinti che l’immigrazione diretta verso l’Italia, o almeno quella attuale, arrivi in gran parte dall’Africa, e che sia cresciuta drammaticamente fino alla (pretesa) chiusura dei porti. Pronta a ripartire immediatamente se le autorità governative abbassassero la guardia.
Il recente Dossier immigrazione IDOS 2019 ribadisce invece anzitutto che l’immigrazione straniera in Italia è cresciuta pochissimo negli ultimi cinque anni, meno del 7% in tutto, ossia poco più dell’1% all’anno. Crisi e poi stagnazione economica hanno da anni allontanato il grosso dei flussi migratori dall’Italia, incidendo anche su ricongiungimenti familiari e nuove nascite da genitori stranieri. Persino il sospirato accesso alla cittadinanza italiana serve a migliaia di ex stranieri per compiere una seconda emigrazione verso Paesi che offrono prospettive più promettenti: 25.000 circa tra il 2012 e il 2016, ma la cifra è approssimata per difetto.
In questo contesto, l’immigrazione dall’Africa continua ad avere un peso molto minore di quanto viene percepito e raccontato: i residenti africani in Italia sono 1,14 milioni, il 21,7% del totale, dunque uno su cinque immigrati o poco più. Per di più, la maggior parte proviene però dal Nord Africa: anzitutto dal Marocco (423.000 residenti), poi dall’Egitto (127.000), dalla Tunisia (103.000). L’immigrazione dall’Africa subsahariana non arriva a mezzo milione di persone, meno del 10% del totale. Le due nazionalità più numerose sono quella nigeriana (107.000 residenti) e quella senegalese (106.000).
Allargando lo sguardo, si può notare che la regione partecipa poco alle migrazioni internazionali, presentando una percentuale di emigranti inferiore al 3% della popolazione. Per l’Europa il dato è 7,8%, per il Nord Africa 5,8%. Infine, le migrazioni internazionali nella regione subsahariana sono per oltre l’80% interne alla regione stessa: ossia gli africani, anche quando emigrano, fanno poca strada. Quelli che riescono a uscire dalla regione sono in buona parte istruiti, e non vengono necessariamente in Europa.
La ragione di questa ridotta mobilità africana è soprattutto la povertà, che non consente alle persone di disporre delle risorse necessarie per emigrare. È vero il contrario di quanto comunemente si pensa: la grave povertà trattiene le persone, anziché spingerle a muoversi. I poverissimi sono forzatamente radicati, o al massimo fanno poca strada.
Lo sviluppo, a sua volta, come hanno documentato molti studi, per un primo non breve periodo aumenta la propensione a emigrare: più persone arrivano a disporre delle risorse necessarie, accrescono l’istruzione, accedono a nuove aspirazioni. Dunque, anziché lasciarsi sedurre da slogan superficiali, del tipo «aiutiamoli a casa loro», la buona causa del sostegno allo sviluppo dell’Africa va tenuta distinta dall’idea di contrastare l’emigrazione. Chi ama l’Africa e la vuole aiutare non creda alle sirene del sovranismo travestito da solidarietà.
Maurizio Ambrosini è docente di sociologia delle migrazioni all’Università degli Studi di Milano, e insegna anche all’Università di Nizza. È responsabile scientifico del Centro Studi Medì di Genova, dove dirige la rivista Mondi Migranti e la Scuola estiva di sociologia delle migrazioni. Articolo ripreso dalla rivista missionaria dei padri bianchi Africa.