Immacolata: Il sogno di un’umanità guarita

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La festa di Maria Immacolata, tappa luminosa nel percorso d’Avvento, riporta lo sguardo sulle origini di una storia, la nostra, cominciata con una creazione tutta immersa nella bellezza di un giardino preparato per l’uomo perché «lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 3,4-15), e finita nel disastro di una confusione che ha l’effetto sconvolgente di far fuggire l’uomo a nascondersi, e di spezzare quella unità armoniosa tra uomo e donna, che pure erano stati fatti come aiuto l’una per l’altro.

Il racconto di quello che siamo soliti chiamare “peccato originale”, da intendere piuttosto come “origine del peccato”, offre all’omileta un’occasione più che opportuna per sottrarre i racconti della Genesi da un’atmosfera ingenua e favolistica e tradurli in tutto il loro drammatico realismo.

Dopo aver trasgredito, per quell’orgoglio e quella sciocca vanità che aveva già perduto Lucifero e gli angeli ribelli, l’uomo e la donna conoscono la “paura” di Dio, si sentono “nudi”, e vanno a “nascondersi”. L’uomo che si sente nudo è lo stesso di chi si percepisce immerso nella notte, dove regna la paura e dove ci si va a nascondere, purtroppo servendosi della misera e futile copertura di povere foglie di fico. È la tragedia di una relazione tra uomo e Dio nata come un rapporto amicale, sincero e fiducioso, che si rovescia in tutto il suo contrario.

Questa non è una favola, ma è lo specchio di ciò che continua ad accadere tra di noi, e che non fatichiamo a capire se solo pensiamo alle storie delle nostre relazioni, anche perché, inevitabilmente, ciò che costruiamo dell’immaginario di Dio ha radici in ciò che sperimentiamo in noi stessi, nei nostri rapporti interpersonali, da dove ci arriva il linguaggio per parlare di un Dio che abita pur sempre in una luce inaccessibile (1Tm 6,16).

Adamo, dove sei?

Nel magnifico Sermone 51 per la festa dell’Assunta, Isacco della Stella (XII secolo) rilegge in modo magistrale il «Dove sei?» che apre la lettura biblica di oggi. Scrive: «Adamo, che egli aveva posto prima del peccato nella chiarità e nella luce del paradiso, andò a cercarlo dopo il peccato nello stesso luogo. E non avendolo per niente trovato lì – era infatti fuggito a nascondersi a causa del peccato – lo inseguì gridando: Adamo, dove sei? (Gen 3,9). Come se dicesse: Non ti trovo dove ti ho posto; e dove sei non ti ho posto io. Non ti seguo nelle tenebre, non ti seguo fino all’ombra, te che avevo lasciato nella luce e nella chiarità» (I sermoni, 51.17, vol. 2, Milano 2007, p. 319).

Ma la storia, per fortuna, non finisce lì, perché il brano biblico termina con la condanna totale del primo e più pericoloso colpevole, il serpente, e nell’annuncio che colei che era stata illusa e indotta a disubbidire, trascinando il suo compagno nello stesso errore, sarà la stessa che gli schiaccerà il capo, e soprattutto termina con la promessa che l’umanità non sarà sterminata, perché Eva, la donna, sarà «la madre di tutti i viventi».

Torno a Isacco che, con la solita abilità retorica, prima descrive la situazione di blocco insormontabile che risulta dal peccato: «È fuor di dubbio che coloro che sono in verità accusati dalla giustizia vengono severamente condannati dal giudizio, a meno che non interceda con misericordia la sola clemenza». E parte da qui per una preghiera di intercessione che chiede alla misericordia di mettersi in movimento: «Dov’è la miseria venga la misericordia, poiché dov’è l’ingiustizia non può venire la giustizia» (n. 20).

Si noti che, mentre tra giustizia e ingiustizia non ci può essere niente in comune, perché tra loro c’è assoluta incompatibilità, la miseria invece chiama naturalmente la misericordia! E Isacco aggiunge: «Venga dunque la misericordia, e la casa vecchia e in rovina, aperta ai venti e alle piogge, esposta agli uccelli del cielo e alle bestie della foresta, nella quale l’uomo non osa abitare e il Figlio dell’uomo non riposa, la rinnovi con arte nuova trasformandola in una nuova abitazione, dove il Figlio dell’uomo possa poggiare il capo (Mt 8,20), e lì nel frattempo riposare un poco (Mc 6,31), come è scritto: Dormite ora e riposate, e subito dopo: Alzatevi e partiamo da qui (Mt 26,45-46) (n. 21). Scarso, infatti, e breve, è su questa terra il riposo dei santi, grande è invece la fatica, e quasi continua».

Questa casa restaurata, dove Dio può riposare, è Maria Immacolata, anche se si tratta di un riposo temporaneo che dovrà passare per la sofferenza della passione, come dice lo stesso Isacco mediante l’accostamento dei due passi biblici di Marco e Matteo.

Diventare “benedizione”

L’uscita dal tunnel in cui erano andati a cacciarsi i nostri progenitori, e tutti noi con loro, è descritta splendidamente nella seconda Lettura (Ef 1,3-6.11-12), che è un inno grandioso alla bellezza rigenerata, una visione che canta e incanta, un capolavoro assoluto di quella teologia che si chiama “dossologica”, e che riempie gli scritti dei mistici, sull’onda dei Padri e della letteratura monastica, e che non farebbe male frequentare di tanto in tanto per andare oltre le secche che rischia certa teologia sistematica, buona per gli addetti ai lavori, ma di difficile utilizzo per la predicazione e la preghiera. Non posso, in proposito, evitare di consigliare la lettura di tutto il Sermone 51 di Isacco della Stella, che dispiega, proprio dopo i passi citati sopra, una magnifica teologia dell’incarnazione tutta fatta di “immagini”, certamente più efficaci dei “concetti”, e che, nella sua visione del Corpo mistico in connessione con Maria, la Chiesa e l’anima del singolo fedele, ha meritato la citazione nella Lumen gentium (n. 64).

L’inno della Lettera agli Efesini ci segnala che la nostra vocazione è diventare «benedizione», nella «carità» che ci rende «santi e immacolati», e questo «a lode della sua gloria», che ricorda s. Elisabetta della Trinità la quale ne fece il motto-programma della sua vita.

“Ouverture di primavera”

E, alla fine di questa immersione nella bellezza, non resta che scendere a terra, nell’oscuro villaggio di Nazaret, per condividere quell’incontro tra la terra e il cielo che avviene nel cuore di una ragazza, chiamata a una scelta del tutto imprevista che sarà, insieme, la sua gloria e la sua spada.

Viene salutata con parole che la sconvolgono: «Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te!». Parole che rischiano di uscire troppo logore e ovvie dopo le ripetizioni di infiniti rosari, e che invece sono cariche di tutta la magnificenza piena di fascino del Paradiso originario prima di quella che siamo abituati a chiamare la “caduta”, e lo è davvero!

Contro la paura di Adamo viene un’offerta gratuita di gioia, contro la sua nudità viene donata una “pienezza di grazia”, contro la fuga che porta a nascondersi per scappare da Dio, viene affermata una situazione di “compagnia” che ha tutta l’aria di essere stabile e indistruttibile. E tutto questo con il coronamento di uno squillo di fanfara che proclama: «Nulla è impossibile a Dio», che fa sì che una vergine concepisca e una sterile partorisca.

Non so cosa avrà capito Maria di tutto questo, non so fino a quando è durato il suo “turbamento”, che certo riappare nell’incontro con i pastori, con i magi, con Simeone nel tempio, a Cana e, al massimo livello sotto la croce, dove tutte le belle promesse dell’inizio sembrano franare miseramente nella sofferenza atroce del figlio, nella vergogna subìta da tutti i “delinquenti”, e negli insulti dei capi, dei sacerdoti, della folla pronta, come sempre, a seguire tutte le bandiere.

Ma proprio lì, in quella circostanza che parla solo di fallimento e di dolore, Maria rimane la stessa ragazza dell’Annunciazione: stabat, dice il vangelo, diritta, in piedi, non accasciata come poi certa iconografia amerà dipingerla, coerente con la sua risposta al destino che le era stato predetto: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Ciò che la liturgia di oggi ci suggerisce è la storia in tre tappe di quella che siamo abituati a chiamare la nostra “salvezza”, una vicenda che si ripete in ogni nostra microstoria: la caduta figurata in Adamo ed Eva, il riscatto realizzato e magnificato in Maria, la via per farlo diventare nostro mediante la sua stessa disponibilità: “Eccomi”, pronti a servire fidandoci della parola del Signore! Per finire, vorrei proporre una poesia che si intitola Ouverture di primavera, e riprende i tre momenti della storia della salvezza.

«Tutto cominciò con un cinguettio, /una nota bassa, un indizio promettente di cominciamenti, / e io me ne stetti ad ascoltare, in attesa di altri suoni, / e vennero a dozzine, ad araldi, un’orchestra / che ora sorgeva ad accogliere il sole. […] Nessuno parlava tranne gli uccelli / e i loro gridi erano il mondo che cominciava di nuovo / con innocenza, e freschezza e delizia, / e i miei occhi si aprivano su un altro Eden / dolce e immacolato, straripante di verde, / e io non so quanto tempo rimasi in / quello stato di perfezione che gli uccelli mi offrivano. // Poi notai un’ombra, una sola, e poi così tante che mi resi conto che l’Eden non poteva tornare, / né io restare innocente, e man mano che il sole diventava / più caldo e più largo io mi riducevo, / schiava di un mondo spezzato che era dentro di me, // ma questo non importava perché / io sapevo che l’ouverture degli uccelli / si sarebbe ripetuta l’indomani attraendomi nella sua musica / dolce e audace, una tale marea di voci / che nessuno mai avrebbe potuto contare» (da E. Jennings, La danza nel cuore delle cose, Àncora, Milano 2007, p. 118).

L’Eden è un mondo di luce e di musica, la sua scomparsa a causa del peccato è descritta come un “ridursi” a una sorta di “povertà/nudità” e un diventare “schiavi di un mondo spezzato”: ogni parola va meditata e approfondita. Alla fine, però, vince la speranza. È questo che ci permette di cantare ogni giorno il Magnificat.

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