Da secoli la liturgia offre un percorso di avvicinamento al Natale marcato da sette brevi preghiere, o Antifone, una specie di “settimana” spirituale che ha lo scopo di preparare mente e cuore a celebrare l’ingresso del Figlio di Dio nel corpo dell’umanità, il Verbo/Parola che «si è fatto carne ed è venuto a piantare la sua tenda tra noi» (Gv 1,14).
Un tempo da godere
Il Natale è una festa, e in quanto tale è atteso come un momento di gioia e di esultanza, qualcosa di gratuito da “godere”, semplicemente, una pausa che interrompe quella che appare spesso la monotonia di giorni grigi e sempre uguali.
Tale gioia è un sentimento legittimo, che si traduce nel piacere di fare e ricevere regali, nell’addobbare con tocchi vivaci case e ambienti, nel rallegrare i muri di paesi e città con lo sfolgorio di luminarie che mettono allegria.
Un credente, però, non può fermarsi qui. La festa ha una sua ragione e una sua radice nel fare memoria di un “evento” che ha segnato per sempre la storia del mondo: la nascita di Gesù a Betlemme, che è poi solo l’inizio di una vita che, per chi crede, rimane un riferimento imprescindibile.
Senza immergersi nel senso di questo evento, senza tornare a scavare il valore e il significato di una “vita”, quella di Gesù, che ha un senso decisivo per la nostra vita, il Natale rischia di essere una bolla di sapone che svanisce una volta che tutto ciò che ne forma la “crosta”, addobbi, luminarie, regali, “l’albero”, e persino il presepio, che più specificamente illustra l’evento, finiscono negli scatoloni al termine delle “feste”. Celebrare la Novena nella preghiera e nella riflessione ha precisamente lo scopo di farci evitare tale rischio.
In ascolto
L’inizio non pare molto propizio. L’Antifona che apre il cammino ci si propone come un totale spaesamento rispetto alle tante immagini che affollano la nostra mente quando sentiamo la parola “Natale”. Ascoltiamo:
«O Sapienza, che esci dalla bocca dell’Altissimo,
ti estendi da confine a confine,
con forza e dolcezza ordini tutte le cose:
vieni a insegnarci la via della prudenza».
Le parole che appaiono in questa preghiera non le troveremo in nessun supermercato, dove si saluta il Natale facendo “atmosfera” con Tu scendi dalle stelle, Astro del ciel, Jingle bell e Bianco Natale, cui si aggiungono altri ingredienti che mescolano folclore e vangelo: i Babbi Natale e il presepio.
Qui si parla di sapienza, ordine, prudenza. Linguaggio severo e astratto, almeno in apparenza, che difficilmente fa atmosfera. Lo fa ancor meno la scelta, che appare sempre più spesso in questi tempi, di chi, per marcare la durezza e la povertà della nascita che celebriamo, colloca il Bambino in un barcone di migranti, suscitando le reazioni infastidite di chi preferisce un presepio più “poetico”. Ma un’atmosfera, se non vuole essere impalpabile ed evanescente, è pur fatta di cose, che rimandano a idee e comportamenti. Che sono ben presenti nell’Antifona.
La Sapienza
Il termine chiave è Sapienza. Nella Bibbia è oggetto di un intero libro, di cui forma il titolo, ed è tema portante di altri libri quali Giobbe, Qoèlet, Proverbi, Siracide, detti appunto sapienziali.
È necessario, per capirlo, sottrarre il termine dallo spazio angusto che ne fa una prerogativa degli intellettuali, delle persone istruite e colte, quelli che sanno tante cose.
La Sapienza che esce dalla bocca di Dio è altra cosa. Riguarda in modo inscindibile la mente e il cuore, questo più di quella. A evitare ogni ambiguità, Gesù ha pure detto: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Nella Sapienza confluiscono il sapere e il sapore, la verità e il gusto che ne promana, e le due cose non sono separabili pena l’insignificanza di ambedue. Nell’Antifona essa coincide con Gesù, Parola che “racconta” un Dio che nessuno ha visto perché esce dalla sua bocca, parola che nasce dall’amore e che genera amore. Non c’è niente di più concreto.
Questa Sapienza si «estende da confine a confine»: nulla si sottrae alla sua azione, tutto è pervaso dalla sua presenza.
Ovunque
Bisognerebbe leggere Siracide 24,1-32, da dove è tratta la frase che genera l’Antifona: «Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo» (v. 3).
Qui la Sapienza risiede in ogni forma di bellezza: cieli immensi e profondi abissi, alberi giganteschi e fiori delicati, ulivi e rose, aromi e profumi, frutti e miele.
E, se il tempo d’Avvento era iniziato, come sempre, con immagini e visioni che dicono quanto questo nostro mondo sia fragile e malato, la preghiera posta in testa al Settenario ci rassicura e ridona fiducia, perché ci mette davanti un protagonista che non solo è presente ovunque, ma che «con forza e dolcezza ordina tutte le cose».
Il termine ordine potrebbe far pensare a regole e costrizioni, quando non a situazioni di paura al solo nominare le “forze dell’ordine”. Chi ama la spontaneità, la fantasia e la creatività si trova a disagio in compagnia dell’ordine! Non è così.
Un altro passo celebre mostra la Sapienza che “gioca” davanti a un Dio visto come “architetto” della creazione che si diverte a “comporre” tutte le cose (Pr 8,30)! Perché Dio nella sua Sapienza opera «con forza e dolcezza», la prima per superare le nostre resistenze, la seconda per attenuare la fatica richiesta per sistemare il caos e i conflitti che ci abitano.
L’ordine, infatti, è anzitutto armonia, cosmo che risistema la confusione del caos di una terra «informe e deserta», come ben evidenzia il primo racconto della creazione (Gen 1,2).
Se i “cosmetici” sono agenti di bellezza, una persona, un disegno, un discorso caotico suscitano fastidio e rifiuto. Da sempre la spiritualità parla di “carità ordinata”, e dunque persino il più “spontaneo” dei sentimenti, l’amore, ha bisogno di una grammatica che ne governi gli impulsi devianti.
Apprendere la prudenza
Come riuscire a mettere ordine nelle idee, nei sentimenti, nei comportamenti?
La Sapienza si fa maestro, alla sua scuola impariamo quella virtù che si chiama prudenza. Anche questo termine ha acquistato un significato riduttivo. Per i più è legata alla guida di una macchina, alla necessità di non viaggiare troppo veloci e a fare attenzione ai semafori.
Si tratta invece di ben di più, come suggerisce il termine “discernimento” che ne è stretto parente. Dove non si tratta soltanto di stare in guardia da rischi e pericoli, ma di fare le scelte più convenienti, più in armonia con quella che sentiamo essere la nostra vocazione, anche quando costano un prezzo alto.
Non si confonda prudenza con neghittosità o mancanza di coraggio. La prudenza è una virtù dinamica: non per niente essa è legata all’immagine della via! E, se vogliamo un’immagine plastica di cosa significhi questa virtù, il riferimento d’obbligo è a Maria, chiamata non a caso Virgo prudentissima.
Si pensi anzitutto al racconto dell’Annunciazione, dove Maria è chiamata a fare delle scelte (l’annuncio dell’Angelo), o quando non capisce ciò che le succede (la «spada» profetizzata da Simeone, la perdita di Gesù, la croce) e risponde «custodendo ciò che vede meditandolo nel suo cuore» (Lc 2,19.51). Così la preghiera si chiude dove era cominciata, confidando nella Sapienza.