Qualsiasi aspetto dell’economia europea che conosciamo dovrà essere ripensato per rispettare le direttive che l’Europa si imporrà a contrasto dell’emergenza climatica e ambientale contemporanea. Se (e quando) verrà approvato, l’European Green Deal, l’impegno del nuovo esecutivo UE di fare il possibile per rispettare l’accordo ONU di Parigi in tema climatico, porterà entro pochi anni a modificare le modalità di produzione, consumo e trasporto.
Ed è una buona notizia.
Il traguardo è il 2050
Il 10 dicembre alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima, la COP25 tenutasi a Madrid, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha presentato l’ambizioso accordo contenente gli obiettivi da raggiungere da qui al 2050 per affrontare (se non proprio risolvere) le emergenze ambientali che minacciano il nostro pianeta. Un serie di limiti imposti e di azioni da attuare che gli Stati membri sono stati chiamati a votare per intervenire concretamente nella salvaguardia della pianeta (e che, a causa dell’opposizione della Polonia, dovrà essere ridiscusso il prossimo giugno).
Il traguardo finale proposto per i prossimi 30 anni è quello di abbattere le emissioni per arrivare a un continente carbon neutral, che sia in grado quindi di rispondere alle necessità della vita a cui siamo abituati attraverso modalità di produzione sostenibili, consumi più consapevoli, interventi di revisione delle prassi economiche contemporanee.
Se è vero che qualcosa si sta muovendo verso soluzioni meno devastanti per l’ambiente, la novità rappresentata da questo accordo è il cambio di prospettiva. Si guarda al tema sotto una luce pragmaticamente economica e di sviluppo che, puntando a ridefinire le azioni da intraprendere, propone interventi in (quasi) tutti gli ambiti possibili: dalla qualità di aria e acqua, alla produzione di cibo, dalle emissioni delle automobili e del trasporto su strada, in cielo, sull’acqua, alla protezione del paesaggio e all’evoluzione delle aree verdi.
La presidente von der Leyen ha promosso il pacchetto in una cornice internazionale importantissima e sotto i riflettori di tutto il mondo, per segnalare che l’Europa vuole assumere ancora una volta in tema ambientale la leadership a livello globale.
Il piano presentato è passato anche sotto l’attento scrutinio di associazioni e gruppi che di clima si occupano ed è stato accolto in modo abbastanza positivo, almeno per gli obiettivi che impone. Da più parti, però, si è additato alla “lentezza” sui termini di applicazione. Il 2050, si sostiene, è una data troppo lontana, non è poi sufficiente l’impegno di ridurre del 50% – oggi è il 40% – le emissioni entro il 2030, dai livelli del 1990 (la richiesta è, per esempio, di iniziare ad alzare questa soglia al 65%).
Un piano ambizioso
È indubbio che in un momento come quello attuale di grandi domande e paure, il Green Deal propone una strada ambiziosa, ragionata, ampia e puntuale nella sua formulazione. Descrive, per esempio, anche i piani per supportare quei Paesi che ancora non hanno raggiunto livelli di sviluppo paragonabili agli altri, come Repubblica Ceca e Ungheria, e sono quindi più scettici e meno propensi, come ha fatto la Polonia, ad appoggiare questa “comunicazione” della Commissione.
Frans Timmermans, Commissario per il clima, presentando l’accordo europeo ha sostenuto la necessità di preparare con rigore i passi verso la sua implementazione: «Lo abbiamo visto con la proposta sulla plastica (la messa al bando in Europa di posate e cannucce monouso entrato in vigore quest’anno, ndr): se agiamo in questo modo, ci muoviamo più velocemente».
Lo stesso Timmermans a chiusura di una COP25 che non ha portato a risultati concreti – non si è arrivati a nessun accordo specifico – ha insistito sull’intenzione europea di continuare sulla strada tracciata dal Green Deal: «Puntiamo ad alzare le ambizioni globali per il COP26 del 2020. Continueremo a lavorare coi nostri partner e ci assicureremo di affrontare di petto la sfida urgentissima del cambiamento climatico».
Si tratta di una sfida per tutti, di questioni che interessano qualsiasi ambito della vita umana. Parliamo, infatti, di aspetti di uno stesso poliedro che comprende le migrazioni, i diritti umani, la salute e la tutela della natura: non è più il tempo di ragionare per compartimenti stagni.
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