All’alba di lunedì 30 dicembre è morta nella sua casa di Roma Maria Grazia Mara, tenuta per mano da chi le era vicino. Era nata nel 1923 e ha attraversato la notte di una lunga attesa. Nel diminuire delle forze, della vista e della mobilità continuava a chiedersi e a chiedere perché Dio non la veniva a prendere.
L’ho conosciuta come docente e ne ho ricevuto tanto come amica: la contattai per chiederle se era disponibile a stendere per le EDB un commento serio all’apocrifo Vangelo di Pietro, uscito poi nel 2003 nella collana “Scritti delle origini cristiane”; di quest’opera aveva già fatto nel 1973 l’edizione critica presso le Sources Chrétiennes. Il discepolato che ne nacque da parte mia divenne ben presto amicizia condivisa.
Era nata a Milano nel 1923 e cresciuta fino a 16 anni a Tunisi, ove il padre, nei quartieri poveri della città, esercitava la medicina come autentica filantropia religiosa. Un aspetto sul quale ella tornava spesso come tratto essenziale dell’essere cristiani.
Al momento della rottura politica tra Francia e Italia causata dal fascismo, fu caricata con tutti gli italiani su una nave: lei, papà e mamma arrivarono a Roma con quello che avevano addosso. Ricominciarono dal nulla e tra la diffidenza per chi viene da lontano.
Mi ha raccontato una per una le prime cose che la mamma riusciva a comprare, elencava le persone che avevano offerto un gesto e la comprensione.
Su questa seminagione profonda dell’altruismo, dato e ricevuto, Maria Grazia ha costruito la sua fede. La sua ricerca su Ricchezza e povertà nel cristianesimo primitivo (pp. 260, EDB 2015) e il suo commento al testo di Ambrogio su La vigna di Naboth (pp. 136, EDB 2015 e 2016) nascono da questo vissuto.
Per decenni è stata docente di storia del cristianesimo all’Università di Roma La Sapienza e ha insegnato Patrologia fondamentale alla pontificia facoltà Augustinianum.
Nell’insegnamento accademico e nella vita della Chiesa ha sempre predicato e praticato libertà e verità, anche quando sapeva che le sue posizioni non avrebbero facilitato la sua carriera. Non a caso è stata studiosa innamorata di Erasmo.
Era esigente nell’affermare la serietà nello studio, sia sul versante laico sia su quello ecclesiastico; non lo voleva apologetico e rifiutava decisamente la cultura come forma di potere.
Della Chiesa amava sottolineare l’universalità in senso umano e non clericale; ricordava che Chenu le aveva detto, alzando il dito: «La Chiesa arriva fino a dove cielo e terra si uniscono», cioè in ogni uomo. Un ecumenismo umano e universale. «Se manca l’umano, la grazia non ha dove posarsi», è un altro dei suoi princìpi. Per questo ricordava spesso suo padre, religioso perché filantropo. Lui e lei hanno attraversato la notte della fede.
Di conforto immenso fu per lei la visita privata e improvvisa di papa Francesco a casa sua. «Come dovere di giustizia, per ringraziarla del bene che ha fatto e fa alla Chiesa», le disse.
La sua memoria è in benedizione.
* Alfio Filippi è direttore emerito delle Edizioni Dehoniane Bologna (EDB)
Sono stata alunna della Prof.ssa Maria Grazia Mara. Apprendo oggi della sua scomparsa perché il Papa l’ha ricordata durante l’omelia della s. Messa. Ne ho provato dolore e amore insieme, scoprendo il segreto della sua pacata tolleranza per ogni posizione ideologica anche estrema. Il Papa l’ha ricordata per una sua frase: “Cristo è morto per tutti. E dunque… andiamo avanti”. Oggi ho finalmente capito perché lei, nella sua serietà e competenza professionale, non interveniva mai a contraddire i suoi colleghi, anche quando… osavano parlare di cose che non conoscevano”. Io mi stupivo del suo silenzio. Ora comprendo. Grazie, professoressa Mara, per la sua lezione altissima di umanità!
Palma Camastra
4 maggio 2020
Ho un vivo ricordo di quando sostenni con Lei l’esame di Storia del Cristianesimo alla Sapienza di Roma negli anni ’70, nel quale portai fra gli altri testi il suo saggio sul Vangelo Apocrifo di Pietro, e poi di quando Don Romano, ora Vescovo nella Diocesi di Civitacastellana ma all’epoca Parroco di Nostra Signora di Coromoto ai Colli Portuensi, la invitò a tenere una conferenza nei saloni della Parrocchia: mi presentai a Lei quale ex e indegno suo studente universitario e al mio racconto, riaffiorando in Lei ricordi di oltre 30 anni prima, si commosse. Lei è stata una grande studiosa e una donna veramente amabile e dalla grande umanità. Ciao Maria Grazia, R.I.P.
Non saprei trovare parole migliori di quelle di p. Filippi, che ha descritto da amico e persona competente la prof.ssa Maria Grazia Mara. Sono stato suo studente, mi ha seguito e consigliato in ogni passo della mia vita universitaria, ne ricordo il rigore scientifico e le aperture che le venivano da conoscenze sterminate. Non era però un sapere compiaciuto di sé, riusciva a portare a sintesi processi molto complicati, il Papa stesso lo ha sottolineato, la semplicità è un punto di arrivo.
Altri potranno fare di Maria Grazia un quadro intellettuale compiuto, a me piace sottolineare che nella quotidianità, quando si riusciva a incontrarla e a stare del tempo con lei, si percepiva fortemente la dimensione spirituale dell’esistenza. Mi sembra di poter dire di Maria Grazia: «Che donne che ci sono tra i cristiani!», con le parole del retore Libanio riferite alla madre di Giovanni Crisostomo.
Maria Grazia aveva sviluppato una lettura sapienziale, profonda, aveva un carattere determinato, anche per le vicende della sua vita, ed era una donna di preghiera. Ho sperimentato di persona che cosa significava affidarle una preoccupazione, una difficoltà, se Maria Grazia diceva: «Pregherò per te», non soltanto lo faceva, ma se ne sentivano immediatamente i frutti.
Non credo di esagerare se affermo che abbiamo avuto a che fare con una santa. Una donna senza terra che ha vissuto in comunione con il Cristo che ha sempre amato. Maria Grazia non ha finito il suo compito, lo continua oggi nella potente intercessione che sono sicuro continua a svolgere.
Veni Sponsa Christi accipe coronam quam tibi Dominus praeparavit in aeternum.
Ho ascoltato dalla televisione la notizia della morte di Maria Grazia Mara, mia prof. nell’Istituto Patristico “Augustinianum” di Roma e relatore della mia tesi di Licenza in Patrologia nel 1973. Prima di sentirmi saggiamente guidato negli studi, mi son sentito voluto bene. La ringrazio per tutto il bene che mi ha voluto. Il Signore le doni il centuplo e la vita eterna. Con stima e affetto, commosso, don Antonio Cantelmi.