La finzione cinematografica fa miracoli. Lo schermo del cinema può restituirci la trama viva della realtà in modo ancora più forte e immediato di quanto la realtà, anche quando osservata nel modo più meticoloso, non sappia fare. Così, nella stilizzazione, nella forzatura, nella invenzione e nella libera narrazione del testo cinematografico, scopriamo il reale in una sua più profonda e autentica tessitura, quasi rivelato a se stesso.
Raramente accade come nel caso del film I due papi, in cui il lavoro del regista e dello sceneggiatore, pur con alcuni limiti, riescono a restituire la vicenda ecclesiale, le figure di due papi e soprattutto il loro “rapporto” con una forza davvero rara.
Vorrei analizzare brevemente il lungometraggio dividendolo in diverse parti, come mi pare sia stato concepito dai suoi autori. Va detto, in via di premessa, che la presentazione delle due figure papali è asimmetrica: la vita di papa Francesco è scandagliata in profondità, nei dettagli, mentre quella di Benedetto è sommariamente riassunta per grandi momenti, ma mai “raffigurata”, se non sul volto espressivo di A. Hopkins. Questo è chiaro fin dalle prime immagini che muovono da una “rappresentazione” di una omelia del Vescovo Bergoglio su San Francesco.
La prima parte (fino al 2012)
La prima parte del film, che arriva fino alla “cena solitaria” del papa e del cardinale a Castel Gandolfo, pone le premesse di una “differenza”, che è umana, ecclesiale, di stile di vita, di visione ecclesiale. Qui i due si collocano agli antipodi. Ed è facile comprendere come anche le ragioni cinematografiche, oltre che i luoghi comuni, spingano i due ad una strutturale contrapposizione. Che consiste, come pretesto, nella presentazione delle dimissioni del card. Bergoglio, e il loro rifiuto da parte di papa Benedetto.
La seconda parte (il rapporto personale)
Il secondo passaggio del film avviene nella serata dopo la “cena solitaria”, quando le due “figure ecclesiali” entrano in una relazione personale più diretta, cercano di scoprirsi “fratelli” e di trovare il modo di “convivere”. Alcuni elementi autobiografici, il calcio e la musica diventano la forma di una migliore comprensione, fino alla buona notte. Qualcosa cambia, nasce una nuova possibilità di ascolto e di comprensione reciproca.
La terza parte (la reciproca confessione)
Bruscamente si entra nel momento più alto del film che inizia con il trasferimento dei due in Vaticano, in elicottero, e che giunge al cui culmine con l’appuntamento al mattino presto nella Cappella Sistina, nella quale si svolge il dialogo decisivo. In quel luogo non solo Bergoglio insiste sulle proprie dimissioni, ma Ratzinger manifesta, sub secreto, la intenzione di presentare le proprie! Il capovolgimento è spettacolarmente di grande effetto. Le parti si invertono: chi insisteva per le dimissioni (proprie) nega all’altro la possibilità delle sue. Così, per entrambi, la via della “apertura” passa per una “confessione”: di inadeguatezza e di peccato, di paura e di disperazione. Da questo passaggio toccante emergerà, per uno, la possibilità di essere all’altezza del papato, per l’altro la opportunità di rinunziare al ministero. E la lunga scena nella Cappella Sistina finisce, a sorpresa, con una “pizza al taglio” consumata come colazione da Bergoglio e Ratzinger nella “stanza delle lacrime”, con preghiera prima del pasto che rimanda comicamente la soddisfazione della fame.
La conclusione (la differenza che salva)
Il congedo tra i due, carico di presagi di quello che sarà dopo pochi mesi, avviene con alcuni passi di “tango” tra i due: il futuro Francesco e il quasi dimissionario Benedetto si salutano con un abbraccio danzato. Bello e toccante proprio nella sua implausibilità. Lo sviluppo successivo, con il passaggio dal 2012 al 2013, è scontato e compie le premesse del film. Ma è sorprendente scoprire che i due papi raffigurati sullo schermo diventano una possibilità ermeneutica dei due papi reali. E così, con 4 papi, il giudizio storico può diventare più ponderato e più lucido. Regia, montaggio e sceneggiatura sono di alta qualità. Le parole che si ascoltano, depurate di qualche esagerazione, non sono mai banali, sia nella comicità, sia nel dramma. Perché il piccolo miracolo del film consiste nel tono “lieve e intenso” che riesce sempre a garantire, anche quando tocca i passaggi biografici o ecclesiali più duri e più difficili.
La penitenza parallela e reciproca
Il cuore del film sta in una duplice conversione: chi voleva dimettersi non si dimette, mentre si dimette chi era causa di dimissione. Tutto questo avviene attraverso due “confessioni/narrazioni” di cui la prima – quella di Bergoglio – è tutta detta, rappresentata e meditata – mentre l’altra – quella di Ratzinger – è solo accennata, vi si allude e sul più bello viene “silenziata”. Tutto questo rende centrale nel film il “fare penitenza”. Il ministero di Francesco è interpretato quasi come una “penitenza”, e il ritiro dal ministero di Benedetto come una diversa penitenza. Custodire la differenza diventa, per entrambi, il frutto sofferto di un cambiamento, di una conversione, che non è tradimento. Cambiare non è tradire, ma è assicurare tradizione. Questo è il cuore del film, che come tale diventa un modo sereno e forte per commentare la storia della Chiesa degli ultimi 10 anni.
Il tempo reversibile del film
La libertà cronologica, con cui il film si sviluppa, è una perla ulteriore. Assomiglia al modo di raccontare di Garcia Marquez: il tempo scorre liberamente, avanti e indietro. Memoria e profezia si intrecciano, come gli sguardi dei due protagonisti. In tal modo i fatti del passato in flash-back, le crisi del presente e le possibilità del futuro prendono forma e si profilano allo sguardo e al cuore: talora in forma ampia, talora in forma istantanea, queste commistioni di immagini e di sguardi sono forse la cosa più irrinunciabile del film. Insieme alla colonna sonora, in cui le scelte musicali sono sempre azzeccate, forti e lievi, serie e sorridenti allo stesso tempo.
La facile conclusione calcistica – con la finale del Campionato mondiale guardata in coppia dai due papi – non è semplicemente un happy end. È la figura conclusiva di un passaggio ecclesiale delicatissimo e ancora in corso. È la possibilità di intendere la Riforma della Chiesa come una strada effettivamente aperta e assunta, da entrambi i papi, nella continuità di una duplice dimissione che mette in moto un processo virtuoso. Nel quale, anche grazie a questo film, è possibile collocarsi oggi con una visione più ampia e più lungimirante. E con una determinazione ancora più forte e radicale. Quattro papi, due reali e due rappresentati, ci offrono un quadro più completo e più vero della sfida oggi in campo. Due papi penitenti restituiscono alla tradizione la sua forza. Con tanta semplicità e con meravigliosa complessità.
Pubblicato il 2 gennaio 2020 nel blog: Come se non.