Il 3 gennaio 2020 il presidente Trump ha ordinato un attacco coi droni per uccidere il generale iraniano Qassim Soleimani che si trovava in Iraq. Nell’attacco avvenuto nei pressi dell’aeroporto di Baghdad sono stati uccisi altri nove persone tra iraniani e iracheni. In seguito, il presidente ha minacciato ulteriori attacchi contro l’Iran, e con una serie di tweets ha lasciato intendere che sarebbero stati attaccati anche siti culturali, cosa che andrebbe contro il diritto internazionale.
Inoltre, ha dato mandato per l’invio di migliaia di militari quali truppe aggiuntive in Medio Oriente. L’8 gennaio il presidente Trump ha annunciato una serie di nuove sanzioni economiche contro l’Iran, segnalando così una mossa intesa a ridimensionare l’attività militare, ma il mondo rimane in uno stato di alta allerta.
L’amministrazione Trump afferma che il generale Soleimani era coinvolto nell’organizzazione di attacchi contro le forze armate americane nel Medio Oriente e che, quindi, l’attacco contro di lui all’aeroporto di Baghdad era giustificato in quanto autodifesa preventiva. Il governo iracheno non condivide questa visione dei fatti, affermando che gli attacchi violano l’accordo che consente la presenza di truppe statunitensi nel loro paese come aiuto per l’addestramento dei militari iracheni e combattere contro l’ISIS.
Un attacco legale?
Il parlamento iracheno ha votato una risoluzione per espellere le truppe americane dall’Iraq, ma il presidente Trump ha minacciato il governo iracheno con severe sanzioni nel caso i militari statunitensi fossero obbligati a lasciare il paese.
Gli attacchi degli Stati Uniti sono legali? Leggi americane approvate dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 non autorizzano l’uso della forza contro l’Iran. E il diritto militare statunitense, come il diritto internazionale, vietano in maniera specifica attacchi contro siti culturali. Il Congresso sta considerando una legge con l’intenzione di ridurre il conflitto, mentre il segretario della difesa Mark Esper ha chiarito che il diritto di guerra in essere è ancora valido e che i siti culturali non saranno obiettivo di attacchi militari.
La Costituzione dà al Congresso il potere di dichiarazione di guerra come quasi tutti gli altri poteri in situazioni di guerra – ad esempio il finanziamento delle forze armate, l’autorità esclusiva sulle forze armate e le basi militari, il potere di indagare e supervisionare tutte la attività del potere esecutivo del governo.
In pratica, i poteri di guerra sono stati condivisi con il presidente dal momento in cui Thomas Jefferson chiese al Congresso l’autorizzazione per combattere i corsari ottomani che attaccavano le navi statunitensi al largo della costa dell’attuale Libia.
Controllo civile delle forze armate
Con George Washington in mente, la Costituzione ha stabilito un controllo civile sui militari nominando il presidente comandate in capo delle forze militari. Questo significava che, una volta che il Congresso aveva autorizzato un’azione militare, un civile avrebbe avuto il controllo delle operazioni. I padri fondatori non si immaginavano che i presidenti avrebbero utilizzato questo limitato potere loro concesso per giustificare un’espansione dei poteri e il loro uso unilaterale al fine di impegnare le forze armate statunitensi all’estero. Ma storicamente i poteri del presidente e dell’esecutivo sono aumentati in periodi di guerra.
Durante la guerra in Vietnam il pendolo si è mosso il tal modo dalla parte del potere presidenziale che il Congresso si mosse per controllare la crescita di una «presidenza imperiale» nella quale i presidenti conducevano guerre «segrete». Queste guerre non sono mai state segrete per coloro che venivano bombardati dagli Stati Uniti, ma venivano portate avanti senza verifica o autorizzazione pubblica o da parte del Congresso. Per onorare il sistema costituzionale di controllo e bilanciamento, e per assicurare che la sfera pubblica statunitense e il Congresso (che pagano per le guerre con il sangue e il denaro delle tasse) prendessero parte alle decisioni di usare la forza, il Congresso nel 1973 ha approvato il «War Powers Act» passando sopra il veto del presidente Nixon.
Questa legge richiede di consultare il Congresso prima di usare la forza e di notificare il Congresso stesso sulle minacce specifiche che giustificano un tale uso della forza militare; e poi chiede l’autorizzazione del potere legislativo per un intervento militare, dando ragione degli esiti attesi e di indicare la durata dell’uso della forza militare. La legge richiede inoltre che i presidenti ottengano l’approvazione del Congresso per usare la forza militare e di ritirare le truppe dispiegate nel caso in cui il Congresso non dia la sua approvazione.
Presidenti di entrambi i partiti politici si sono lamentati di questa legge, e il Congresso ha combattuto per ottenere il rispetto dei tempi del dispiegamento delle forze armate tutte le volte che il potere esecutivo non era interessato a seguire questa parte della legge. E i presidenti si sono attenuti alle condizioni richieste dalla legge e hanno dato al Congresso e al pubblico specifiche giustificazioni legali per l’uso della forza.
Assassini di stato mirati
Prima degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti si sono opposti con coerenza all’uccisione mirata di individui. Poiché le truppe americane sono dispiegate in 150 su 193 nazioni del mondo, i cittadini statunitensi corrono maggiori pericoli quando vengono messe in atto politiche che permettono l’assassinio mirato di individui. L’amministrazione del presidente repubblicano George W. Bush si espresse contro operazioni volte ad assassini mirati prima degli attacchi dell’11 settembre; con l’ambasciatore americano in Israele che affermava «che il governo americano è molto chiaro, e lo è in forma pubblica, nell’essere contro omicidi mirati. Si tratta di uccisioni che cadono al di fuori dello spazio delle legge e noi non siamo favorevoli a esse».
In maniera coerente al «War Powers Act», dopo gli attacchi di Al Qaeda dell’11 settembre 2001, il Congresso ha autorizzato il presidente all’uso di «tutta la forza necessaria e adeguata contro quelle nazioni, organizzazioni o persone che egli determina abbiano pianificato, commesso, o siano state d’aiuto degli attacchi terroristici avvenuti l’11 settembre 2001; o che abbiano offerto protezione a queste organizzazioni o persone – questo al fine di prevenire ogni attacco futuro di terrorismo internazionale contro gli Stati Uniti da parte di queste nazioni, organizzazioni o persone».
Dopo l’11 settembre 2001
Questa legge ha autorizzato l’invasione statunitense dell’Afghanistan ed è stata usata per giustificare l’assassinio mirato di soggetti non-statali mediante attacchi condotti da droni contro Al Qaeda e gruppi terroristici di musulmani sunniti estremisti collegati a essa, che sovente erano finanziati e supportati da cittadini e denaro dell’Arabia Saudita.
Nel 2002 il Congresso ha approvato l’«Autorizzazione dell’uso della forza militare contro l’Iraq», che ha consentito l’intervento militare statunitense per costringere Saddam Hussein a rispettare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che richiedevano ispezioni dell’ONU per verificare che l’Iraq avesse distrutto le sue armi di distruzione di massa dopo l’invasione dell’Iraq da parte americana nel 1991.
Queste leggi hanno offerto la base legale per gli attacchi con droni contro Al Qaeda, i Talibani e gruppi terroristici e soggetti non-nazionali composti da musulmani sunniti estremisti, da un lato, e contro il governo di Saddam Hussein, d’altro lato. Queste leggi sono state estese per coprire operazioni contro l’ISIS, ad esempio, che non esisteva ai tempi in cui esse erano state emanate e si è formato come conseguenza dell’invasione statunitense dell’Iraq.
Ma poiché l’ISIS era una costola nata da Al Qaeda, guidata da leader deposti della Guardia repubblicana iraniana di Saddam Hussein, si è argomentato che la lotta contro l’ISIS potesse essere considerata come consentita dalle autorizzazioni del Congresso del 2001 e 2002. Il presidente Obama chiese al Congresso di approvare un’autorizzazione ulteriore per legittimare interventi contro l’ISIS in Siria, ma il Congresso non agì in questo senso.
Nessuna di queste leggi autorizza l’uso della forza contro l’Iran. L’Iran non era responsabile per gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. E nonostante la conflittualità tra Stati Uniti e Iran, l’Iran e le milizie sciite hanno combattuto contro l’ISIS e altri gruppi sunniti in Iraq e Siria. Le operazioni di coalizione contro l’ISIS sono state al momento sospese a seguito dell’attacco contro Soleimani.
Il presidente Trump è obbligato per legge a riportare ufficialmente al Congresso elementi specifici e dettagli delle azioni militari statunitensi contro l’Iran. Egli afferma che i tweets sull’Iran soddisfano le condizioni che gli chiedono di informazione ufficiale del Congresso, ma molti membri del Congresso non sono d’accordo.
Sia al Senato che alla Camera sono stati presentati progetti di legge per una riduzione delle azioni militari statunitensi contro l’Iran. Il presidente Trump afferma che egli è libero di agire senza autorizzazione da parte del Congresso. Ma la lezione del Vietnam mostra che il presidente non dovrebbe intraprendere una guerra senza autorizzazione del Congresso e supporto pubblico.
Nostra traduzione dall’inglese dell’articolo pubblicato sulla rivista dei gesuiti statunitensi America (originale, qui). Maryann Cusimano Love è professoressa di relazioni internazionali presso la Catholic University di Washington.