Attorno al Concilio ortodosso di Creta (19-26 giugno) ci sono state e ci saranno riflessioni molto impegnative e serie. Proporzionali alla lunga attesa (12 secoli di assenza e 55 anni di preparazione), all’altezza della sfida (sinodalità effettiva fra le Chiese ortodosse), alle attese dei 200 milioni di fedeli (l’annuncio e la testimonianza cristiana oggi). Ma negli eventi anche maggiori ci sono “registri” bassi come i personalismi, i condizionamenti nazionalistici, le piccole guerre di cortile. A questi rimandano, in parte, la decisione di tre Chiese (Bulgaria, Georgia, Antiochia), di non partecipare. Ad esse si è aggiunto Cirillo di Mosca. Senza nessuno sforzo per convincere le renitenti, egli ha fatto due conti: la resistenza interna al suo incontro con papa Francesco, l’assenza di una decisione per confermare il legame dell’Ucraina ortodossa a lui, l’interesse per il “mondo russo” più che per il “mondo ortodosso”, l’impossibilità di egemonizzare l’evento e il suo possibile fallimento. Troppo rischioso. Se il Concilio fallisse sarà in capo all’“agnello” Bartolomeo di Costantinopoli; se, in extremis, la Chiesa russa dovesse partecipare, la positività dell’evento andrebbe a vantaggio della “volpe” Cirillo. Ma, nella storia, le minuscole rivalità possono propiziare grandi sconfitte. Per tutti.