Alterità, reciprocità, fraternità, dialogo sono dimensioni capitali alla vigilia dell’incontro di Bari organizzato dalla CEI sul Mediterraneo come crocevia di culture, religioni e drammatica attualità europea. Tra i vescovi alcune figure significative.
60 vescovi di 20 Paesi diversi, per non parlare dei vescovi della Conferenza episcopale italiana. «Un laboratorio di sinodalità e d’impegno tra le Chiese e i popoli», recita la didascalia della locandina predisposta per l’evento. Pensando all’arrivo dei vescovi del Mediterraneo nella città di Bari, non si dovrebbe trascurare quanto una nuova teologia dell’episcopato possa servire alla riforma della Chiesa cattolica.
È passato moltissimo tempo dalla Regula pastoralis di papa Gregorio Magno, ma non sono mutate le condizioni di svolgimento di questo delicatissimo servizio per la Chiesa e per la società. Non ci si meraviglia sentendo che diversi candidati proposti per la dignità episcopale nella Chiesa cattolica pare si siano fatti da parte, mancando di dare la non facile risposta all’impegnativa chiamata.
Un porto tranquillo
L’esperienza dice che il vescovo illuminato fa luminosa la sua Chiesa e che colui che cerca il bene dei suoi fratelli nella fede li condurrà al porto sospirato.
Severiano, vescovo di Gabala, in Siria, tra la fine del IV secolo e l’inizio del V, ci ha lasciato questo pensiero: «Chi si allontana dalla fede fa naufragio. Chi segue la fede ormeggia il suo scafo in un porto tranquillo». Da meditare nei nostri tempi, i tempi di sempre, di mari in tempesta e rotte poco sicure.
Resta viva la speranza che alla figura e al servizio del vescovo verrà qualcosa di nuovo anche dalla costituzione Praedicate evangelium ormai prossima alla promulgazione, con cui si rinnova l’ordinamento della Curia romana. Riscopriremo il ruolo fondamentale di pastore delle pecore che ogni vescovo assume, senza necessariamente doverlo diventare per lavorare nella Curia al bene e al progresso della Chiesa.
«Ho bisogno della verità dell’altro»
Sulle rive del Mediterraneo nel corso dei secoli hanno vissuto, pensato, agito figure portentose di vescovi santi, confessori e anche martiri. Mutuando dalla sacramentaria fondamentale, si potrebbe asserire che tanta grazia divina è piovuta sulle città ex opere operantium in Ecclesia. Basterebbe ricordare qui Cipriano di Cartagine, Agostino in Ippona; i martiri della persecuzione comunista in Albania, mons. Vinçenc Prennushi e mons. Frano Gjini, che si opposero alla proposta di creare una Chiesa nazionale alternativa a quella di Roma.
Per giungere ai giorni nostri col beato martire Pierre Claverie, domenicano, vescovo di Orano, in Algeria. La sua avventura è esemplare per l’attualissima ricerca dell’approccio migliore nel dialogo fra le religioni. Nel suo testo Umanità plurale, scritto nel gennaio 1996, anno della morte, scriveva: «Non posseggo la verità e ho bisogno della verità degli altri». Potrebbero essere ricordate anche le sue parole riguardo la vita consacrata: «È probabile che il riconoscimento dell’altro sia alla radice della mia vocazione religiosa».
Santi vescovi
Alterità, reciprocità, fraternità, dialogo sono dimensioni capitali alla vigilia dell’incontro di Bari. Andrebbero scritte tutte con la lettera maiuscola, ad un anno esatto dal documento di Abu Dhabi «sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune».
Vorrei ricordare un paio di vescovi che, esattamente in Puglia, nel secolo scorso, si sono distinti nelle rispettive Chiese, tant’è che sono avviati da tempo i processi di beatificazione. Il primo è Giuseppe Di Donna, vescovo di Andria dal 1940 al 1952, dell’Ordine dei Trinitari, già missionario in Madagascar. Pensò bene di restar povero per occuparsi meglio dei poveri. È già venerabile.
L’altro è più vicino a noi, più noto per la grande sensibilità mostrata verso tematiche sociali scottanti e per il sostegno agli ultimi come emigrati, senza fissa dimora, disoccupati. Si tratta di don Tonino Bello, terziario francescano, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, nato e sepolto ad Alessano (Lecce). Quando diverrà beato, per il popolo di fedeli suoi devoti ed estimatori non cambierà nulla, perché in molti lo considerano già santo.
Dal Capo di Leuca don Tonino guarda due, tre, dieci mari, rilanciando la sfida della nonviolenza e della riconciliazione. Le sue parole restano oggi profetiche, nei suoi respiri l’ossigeno della poesia, una delle poche cose che, insieme con la fede, aiuta ad affrontare meglio le prove della vita.
Gesù sommo pontefice
La Lumen gentium al n. 21, a proposito della sacramentalità dell’episcopato, insegna che «nei vescovi, assistiti dai presbiteri, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo». Come fa papa Francesco da tempo, meglio riservare solo a Cristo l’attributo e la realtà di sommo pontefice. I padri del Vaticano II lo affermavano già nel capitolo III della costituzione sulla Chiesa.
Benedici, Signore Gesù, tutti i vescovi che giungeranno a Bari
e le Chiese particolari del Mediterraneo, loro spose fedeli.
Benedici e potenzia l’impegno sincero per avvicinare le persone di rive opposte.
Tu che hai detto: «Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio»,
benedici ciascuno di noi nel ricordo del santo vescovo Nicola.
Amen, alleluia!