La strage di Hanau

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Quanto accaduto oggi a un tiro di schioppo da Francoforte, centro della finanza europea e tedesca, era un dramma atteso che andava preparandosi da tempo nella società tedesca. Nel giugno scorso l’omicidio del presidente della provincia di Kassel W. Lübcke aveva già portato alla ribalta mediatica lo strisciante estremismo di vari gruppi di destra a ispirazione filo-nazista.

Una pentola a pressione civile fatta di emarginazione sociale, bassa scolarità, povertà linguistica, violenza diffusa, in parte sdoganata politicamente dal non detto dei contatti con questo sottofondo estremistico da parte della «Alternative für Deutschland». Che appare oramai in grado di influenzare significativamente il mondo politico tedesco quantomeno a livello di Länder. Quanto avvenuto in Turingia solo alcune settimane fa palesa anche una tensione difficilmente componibile all’interno della CDU tra piano locale e dimensione federale del partito. Il veto giunto da Berlino, che ha posto fine sul nascere all’esperimento tentato a Erfurt di comporre la tradizione conservatrice della CDU con il populismo razziale della AfD, più che risolvere la situazione ne mostra la portata esplosiva per gli equilibri della Repubblica federale.

Né deve sorprendere che la violenza linguistica in Rete trovi approdo nella vita di tutti i giorni. Arriva il momento in cui odio e aggressività non trovano più sfogo adeguato nelle parole e nell’anonimità dei social media. Era già successo in precedenza in Germania e accadrà ancora.

Razzismo, violenza, pregiudizi sociali, non si spazzano via come d’incanto dalla vita di un paese. Non bastano né procedure burocratiche, né piani di emergenza a livello di educazione civica. La cultura selettiva e competitiva, fin dall’età scolare, su cui si è basato il successo economico e finanziario della Germania, e la privatizzazione del disagio sociale, chiedono ora di pagare il loro spettrale dividendo.

Poco si è compreso anche in merito alla sparizione delle comunità cristiane come cuscinetto di ammortizzazione e assorbimento delle conflittualità sociali. Non senza responsabilità delle due grandi Chiese tedesche. Finito il cristianesimo nessuno ha pensato come supplire alla sua funzione civile nella coltivazione locale di legami comunitari.

Alla retorica del momento meglio preporre la sobria durezza dello stato delle cose, sapendo che la violenza diffusa e l’odio razziale non si superano a belle parole o articoli di legge. Siamo del tutto impreparati e incapaci di immaginare una via di uscita dalla liberalizzazione deregolata dell’aggressività e degli impulsi primordiali, non solo in Germania.

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