Missionario in Giappone e, dal 1966 al 1995, docente di teologia biblica alla Gregoriana, il vegliardo biblista gesuita Francesco Rossi De Gasperis (1926-) è da anni impegnato in riflessioni bibliche, predicazione e animazione di esercizi spirituali nella Terra del Santo. I suoi scritti illustrano la continuità trasfigurata tra AT e NT e l’imprescindibilità del rapporto tra i cristiani e la radice santa di Israele.
Avvalendosi degli studi di Wénin e di Pellettier sui primi capitoli della Genesi, De Gasperis “distrugge” le interpretazioni puerili o semplicistiche del “peccato originale” e propone una lettura di Gen 1–11 più in linea con il dettato biblico.
L’errore principale e molto comune nell’interpretazione di questi capitoli (e non solo) sta nell’aver pensato alla creazione della donna successiva a quella dell’uomo maschio e in provenienza/dipendenza da esso. Di qui tutta una sequela di interpretazioni bibliche che addossavano alla donna il peso principale del “peccato originale” e una certa giustificazione teologica di una posizione subordinata della donna rispetto all’uomo-capo. Dagli strali di De Gasperis non si salva (giustamente!) neppure san Paolo in alcune sue pagine (1Cor 11; 2Cor 12,3; 1Tm 2m,11-15). Del resto, va ricordato che ci sono realtà transeunti anche nel NT e il modo di fare esegesi del tempo, con le relative acquisizioni, non è assunto materialmente e pedissequamente come materia di rivelazione divina, ma risente del cammino progressivo della rivelazione.
La “donna-uomo/’iššāh” non fu creata in una creazione successiva dall’uomo-maschio/’îš. (Fra l’altro, cosa a cui De Gasperis non accenna, sembra che i due termini non siano corradicali, ma provenienti da radici diverse fra loro). Secondo il testo biblico, la donna fu creata, invece, dall’“’ādām/umanità” sessualmente indistinto/a (androgino?) in una creazione contemporanea che diede origine in quel momento anche all’’îš/uomo-maschio. L’esclamazione di stupore ammirato con cui l’uomo maschio descrive la donna non è per nulla esente da atteggiamenti possessivi, dominatori (ossa mia, carne mia). Non c’è alcun dialogo fra i due, solo ammirazione venata di dominazione da parte dell’uomo-maschio. Egli si arroga pure il diritto di ridare il nome alla donna, Chawwah (Gen 3,20).
Gen 1–11 narra vari peccati di origine. Nei suoi racconti sapienziali circa l’origine dell’uomo, del mondo, del male…, essa si avvale anche di narrazioni mitologiche proprie delle culture circonvicine: si veda Gen 6,1-4, che narra l’amplesso fra “uomini divini” e splendide donne sexy umane, anche qui senza dialogo ed erotismo alcuno, ma solo amplessi che danno vita a discendenti dalle dimensioni e dalla natura semidivina. (Credo che a p. 51 r 10 si debba leggere «maschi celesti e donne terrene»).
Il primo peccato di origine non fu tanto una disobbedienza a un comando singolo (di cui viene incolpata la donna), ma il fatto che la coppia umana non vive il rapporto dialogico nel rispetto della dualità complementare prevista nel progetto originario di Dio: «… sembra che l’uno mal sopporti un altro “che gli corrisponde standogli davanti” (kenegdo: Gen 2,18.20)» (p. 25-26).
L’assenza di dialogo porta dominazione, sospetto, pretesa di fissare autonomamente cammini di vita che però escludono di fatto il progetto del Creatore. Si divora la relazione. Eva ringrazierà Dio e non l’uomo per aver avuto il figlio, Caino (comportato/acquistato da Dio… Gen 4,1) e anche per il terzo figlio, Set, Eva ricorda il dono di Dio ma non menziona il marito (Gen 4,26).
Il disagio iniziale della coppia vede l’incolpamento reciproco e il gioco tragico dello scaricabarile. Dio non maledirà gli umani, ma farà soltanto risaltare le conseguenze delle scelte sbagliate della coppia.
Dal disagio originale – il silenzio coniugale e la violenza dominatrice all’interno della coppia iniziale – scaturisce la violenza fratricida di Caino verso Abele, portato nel campo senza proferire parola, anche qui. Non si rispetta l’insindacabile libertà di Dio nell’accogliere i doni delle persone e nelle sue scelte in genere. La violenza dilaga poi nell’umanità occupando totalmente il cuore dell’uomo fin dalla giovinezza (Gen 6). C’è il puro prolungamento biologico della discendenza, ma nessun dialogo e rispetto del disegno iniziale di Dio sull’uomo e sulla donna.
Il mondo sarà salvato dal fatto che Dio rende grazioso un uomo, Noè, con cui raggiungere positivamente l’umanità intera. Stesso intervento “positivo” di Dio contro l’egemonia culturale globalizzatrice in modo disumano espressa con la torre di Babele (Gen 11). È il peccato universale dell’umanità.
La storia vera e propria partirà con la scelta che Dio fa di una persona singola, ancora una volta: Abramo. Con lui Dio stringerà un patto che mette in moto una storia di alleanza che prenderà vari volti.
La seconda parte del volumetto (pp. 65-82) riprende un contributo per la Giornata ebraico-cristiana e riflette sulla seconda delle Dieci Parole donata da YHWH a Israele. Sono le parole di un Innamorato, di un Alleato, di un Liberatore. Parole destinate non solo a Israele, ma a tutte le genti. Queste potranno rispondere a Dio intonando il Cantico dei Cantici, il cantico dell’umanità.
Pagine molto intense e chiarificatrici, che vanno conosciute bene anche dai catechisti e dai predicatori.
Francesco Rossi De Gasperis, Peccati d’origine. Lettura biblica del rapporto tra uomo e donna (Lapislazzuli s.n.), EDB, Bologna 2019, pp. 88, ISBN 978-88-10-55952-9