I numeri 87-90 di “Querida Amazonia” non sembrano aver recepito quanto di nuovo aveva detto sul sacerdote il concilio Vaticano II. Come uscirne?
Come tutti i testi di papa Francesco, Querida Amazonia tocca i nostri cuori. Vi troviamo l’umanità di Francesco, la sua semplicità, la sua sollecitudine per le persone, ma anche la sua sensibilità evangelica, la sua esperienza di Gesù e, infine, la sua forza profetica che non solo invita a fare dei percorsi e a nuove pratiche, ma non indietreggia neppure di fronte alla maledizione delle forze e degli uomini che distruggono tutto.
In particolare, la Chiesa che Francesco sogna è quella che vorremmo, che amiamo, alla quale vogliamo partecipare, per l’Amazzonia, ma anche altrove.
In questa Chiesa, attraversata dai doni dello Spirito, c’è l’eucaristia. Attraverso di essa facciamo memoria della morte e della risurrezione di Gesù; attraverso di essa riceviamo il perdono dei peccati ma anche e soprattutto il dono dello Spirito Santo; in essa oggi possiamo offrire a Dio, ovunque nel mondo, il sacrificio spirituale del nostro amore per lui e tra di noi.
Di questa celebrazione, il sacerdote – e solo lui – è il ministro, per cui la sua assenza provoca una vera ferita nelle comunità. Da qui la domanda, scottante per l’Amazzonia (ma non solo): come celebrare l’eucaristia se non ci sono sacerdoti?
Vaticano II
Prima di esaminare le parole del documento su questa questione (QA 87-90), vorrei ricordare alcuni insegnamenti essenziali del concilio Vaticano II.
Il Concilio ha parlato della Chiesa prima di parlare dei vari membri (LG 1 e 2). Ha parlato del sacrificio e del sacerdozio spirituale prima di parlare del sacrificio e del sacerdozio sacramentale (LG 10, PO 2). In altre parole, il sacramento dell’ordine è ordinato al sacramento del battesimo, dato a tutti i cristiani con la grazia e i carismi ad esso collegati.
Il Concilio ha riflettuto sul sacerdozio dei preti a partire da quello dei vescovi: sono due gradi diversi di un’identica ordinazione e missione (LG 21 – vescovi, 28 -sacerdoti).
Il Concilio ha attribuito al carattere sacramentale dell’ordine una portata globale. Questo carattere fonda l’insieme della missione del vescovo (e del sacerdote): proclamazione della parola, celebrazione dei sacramenti, guida della comunità (LG 21). Significa e conferisce una funzione globale alla governance, alla leadership, che gioca il suo ruolo nella missione di quella Chiesa particolare.
In sintesi, è la Chiesa che evangelizza, che offre il sacrificio spirituale, perdona i peccati e fa circolare la grazia. È la Chiesa che celebra l’eucaristia. Il sacerdote, nella comunità a lui affidata, è animatore, moderatore, responsabile; a questo titolo celebra l’eucaristia, insieme alla comunità.
L’approccio di QA è diverso
Querida Amazonia cerca di determinare ciò che è specifico del sacerdote, ciò che non può essere delegato ad altri. Questa identità è definita come configurazione al Cristo Sacerdote attraverso l’ordine sacro; essa sottolinea l’assunzione da parte del sacerdote di un carattere ordinato alla presidenza dell’eucaristia.
Ciò non esclude una configurazione al Cristo Capo, dato che questo potere gerarchico, questa suprema autorità è ordinata alla santità di tutta la Chiesa. Anche in questo caso, il sacerdote manifesta la sua posizione di capo nella celebrazione dell’eucaristia: lui solo può dire «questo è il mio corpo».
A questi aspetti specifici si devono aggiungere le parole relative al perdono dei peccati, quindi i sacramenti della penitenza e dell’unzione dei malati.
Pertanto, l’identità esclusiva del sacerdote si trova in questi tre sacramenti. La specificità ricercata è tutta in ciò che, nell’uomo ordinato, è sacro, gerarchico, supremo.
Poiché l’eucaristia è al centro della vita della Chiesa, il papa non può che sollecitare la moltiplicazione dei sacerdoti in Amazzonia, pregando, ma anche orientando le vocazioni verso il ministero amazzonico.
Bisogna però riconoscere che il discorso sul sacerdote in questi numeri della QA è in linea con quanto si leggeva prima del Concilio nei manuali di teologia sul sacramento dell’ordine, e ciò che si trova anche in alcuni passaggi dei documenti del Vaticano II, che il magistero successivo ha ripetuto spesso. Ma questa insistenza va a scapito di ciò che c’è di nuovo nell’insegnamento del Concilio, che ho riassunto sopra.
Impasse
Una prima conclusione si impone: se il discorso sul sacerdote non è cambiato, non si vede perché si debba cambiare qualcosa nella disciplina del celibato, collegata per tanto tempo al carattere sacro del sacerdote, lui stesso legato alla trascendenza dell’eucaristia. In questo senso, non c’è una nuova risposta alla domanda posta al n. 86: come «configurare la ministerialità a servizio di una maggiore frequenza della celebrazione dell’eucaristia?».
Una seconda conclusione è che tutto ciò che non è questa identità esclusiva del sacerdote può appartenere ai cristiani, il che spiega i lunghi accenni del documento sui laici. Ma non si dice come questo apostolato dei laici, contraddistinto dalla specificità del sacerdote, si articoli con quello del sacerdote.
Infine, la distinzione tra clero e laici appare forte, e, poiché i chierici hanno il sacro, la gerarchia, la leadership, c’è un forte dislivello tra loro e i laici. In tal modo è forse aperta la via al clericalismo, che Francesco ha denunciato con forza fin dall’inizio del suo pontificato.
L’Amazzonia, il punto di partenza, il prete
Mi sembra, quindi, se si parla del sacerdote a partire da ciò che gli è specifico e se si cerca questa specificità solo nel potere del sacerdote sui sacramenti, non sia possibile realizzare una Chiesa dell’Amazzonia missionaria, umana, eucaristica; si rischia di mantenerla nel regime clericale.
Ciò è tanto più deplorevole se si tiene conto che, se lasciamo questa vecchia prospettiva clericale, cosa che il QA fa già al 91, torniamo a prospettive molto ampie: «Chi presiede l’eucaristia deve curare la comunione, (…) accoglie la molteplice ricchezza dei doni e dei carismi che lo Spirito riversa nella comunità». Ora a questi doni e a questi carismi dello Spirito si uniscono delle sfide e delle responsabilità, sotto tutti gli aspetti: parola, gesti, istituzioni… Il numero 94 descrive splendidamente i campi in cui soffia lo Spirito Santo, il vero motore della vita e dell’unità della Chiesa.
L’evangelizzazione è la convergenza sinfonica delle forti ispirazioni dello Spirito, che si traduce in un’articolazione dei carismi e delle responsabilità, dove si manifesta un impegno costante per armonizzare gli sforzi. La responsabilità ultima nel cammino evangelico di una Chiesa è il dono e la missione del vescovo e dei sacerdoti che lo assistono.
Quindi penso che QA 87-90 sia un passo falso e spero che le discussioni che continueranno sull’Amazzonia cerchino di superarlo in modo che si arrivi a degli orientamenti forti.