Martedì 21 giugno
Il secondo giorno dei lavori del Sinodo si concentra sullo studio della “diaspora ortodossa” e i suoi problemi.
La diaspora come problema nasce con le massicce emigrazioni del XIX e XX secolo, che hanno coinvolto fedeli ortodossi di tutte le Chiese locali, del Vicino e Medio Oriente, verso l’Europa occidentale e il “Nuovo Mondo”. I canoni antichi non prevedevano nulla circa la giurisdizione ecclesiastica. Si presumeva che l’Europa occidentale fosse, a causa dello scisma, competenza del patriarca ecumenico. Il “Nuovo Mondo”, quanto a giurisdizione ecclesiastica, era terra di nessuno.
Tra gli emigrati si trovavano anche gerarchi e chierici di diverse giurisdizioni. Con tanta buona volontà hanno cercato tutti di organizzarsi, secondo criteri etnici e di lingua, nella nostalgia della patria perduta. Così si sono ritrovati a vivere nella stessa città vescovi provenienti da diverse giurisdizioni. Caratteristico è il fenomeno di Parigi, dove tutti i fedeli ortodossi convivono facendo riferimento a dodici vescovi di diverse giurisdizioni. I problemi che si creano non sono ovviamente pochi, a cominciare dal fatto che, ad esempio, vescovi di diverse giurisdizioni e obbedienze portano lo stesso titolo.
Si è dunque manifestata la necessità di fare qualcosa per facilitare una reciproca informazione, per consultarsi, consigliarsi e affrontare i problemi sia interni al vasto modo dell’Ortodossia, sia relativi al mondo nel quale vivono i fedeli nella diaspora, senza ledere i diritti e le competenze dei vescovi previsti dall’ordinamento canonico. Sono venute formandosi così atipiche conferenze regionali. Si deve tener conto del loro valore, del loro ordinamento e delle competenze canoniche.
La questione è di difficile soluzione. A maggior ragione per il fatto che i russi e gli antiocheni hanno una foltissima quota di fedeli nella diaspora e, in quanto assenti dal Sinodo, non possono contribuire portando la loro opinione.
L’arcivescovo di Cipro ha dichiarato che «in fondo dobbiamo sentirci prima ortodossi e poi ciprioti, greci o altro. I vescovi serbi hanno proposto di non prendere per il momento decisioni, vista l’assenza di Chiese alle quali molta della diaspora fa riferimento». L’arcivescovo di Albania ha invitato a essere molto prudenti su quanto si deciderà.
Nella seduta pomeridiana sono state presentate, in riferimento al testo in discussione, quattro nuove proposte. Si è deciso di discuterle nel giorno di mercoledì 22. Sono le seguenti: a) ogni sette-otto anni venga convocato un Santo e grande sinodo; b) ci si occupi ancora una volta dell’etnofiletismo; c) sia proibito l’uso del medesimo titolo da parte dei vescovi della diaspora; d) si rafforzino le assemblee episcopali.
La Chiesa della Serbia
Prima del suo arrivo a Creta, la Chiesa di Serbia aveva diramato una nota dove si leggeva: «Nel caso emergesse che nel Sinodo non si tengono in debita considerazione le obiezioni delle Chiese assenti, e si consideri la loro assenza come un semplice boicottaggio, la delegazione della Chiesa serba abbandonerà i lavori del Sinodo».
Un giornalista ha chiesto in proposito il parere a un delegato serbo, il quale ha risposto: «Siamo soddisfatti di come procedono i lavori nel Sinodo; in questo modo non si pone la questione di un nostro eventuale abbandono».
I dati economici del Sinodo
Una nota infine sul budget di spesa per il Santo e grande sinodo, che si aggira sui 2,5 milioni di dollari, 1,5 dei quali vengono dagli USA. Lo ha riferito Alessandro Karlutsos, che ha ritenuto doveroso precisare come i fondi provenienti dagli USA siano tutti contributi di organizzazioni non governative. Il governo degli USA non ha niente a che fare con il Santo e grande sinodo, ha ribadito. Aggiungendo che un simile budget per un evento di tale portata è veramente molto contenuto.