Giustizia e pena

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Sergio Genovesi, penalista mantovano per tre anni sindaco della città (1990-1993), interviene con una serie di riflessioni pacate e puntuali sul sistema giudiziario italiano e sulle strutture della giustizia del paese.

Caro Sergio, come ti posso definire: “giurista cattolico” o “giurista e cattolico”?

Mi piacerebbe definirmi giurista cattolico, nel senso di aver stabilito, nell’agire della mia professione, un limite preciso e insuperabile alle possibilità del mio credere, ma più realisticamente penso di dovermi definire un avvocato penalista – e come tale un giurista tenuto a studiare il diritto dello Stato – con una coscienza cristianamente formata.

Molto spesso mi sono trovato nella mia professione a misurarmi con regole in contraddizione con i miei principi, perlomeno in astratto. Ma il mio atteggiamento è sempre stato quello della massima attenzione alla persona concreta affidata alla mia difesa con gli strumenti giuridici di fatto messi a disposizione dalle leggi dello Stato. In questo senso la mia posizione è stata sempre molto “laica”.

Mancanza di programmazione

Da anni si parla dell’esigenza di una riforma della giustizia nel nostro paese: puoi spiegare che cosa vuol dire “riforma della giustizia”?

Da sempre si parla di“ riforma della giustizia”, usando però questo termine con una certa disinvoltura, spesso per riforme molto parziali più che di carattere organico. D’altra parte, è una caratteristica del legislatore repubblicano quella di affrontare in modo frammentato emergenze e contingenze, senza un’autentica capacità “programmatoria”.

Unica vera eccezione è costituita dal varo del nuovo Codice di procedura penale del 1988: questa è stata un’autentica riforma che ha dato vita al modello accusatorio (democratico) del processo penale, cancellando il modello inquisitorio del Codice Rocco, peraltro disegnato e scritto assai bene ma figlio dei riferimenti ideologici fascisti. Anche questa grande operazione di riforma, che reca la firma del ministro Vassalli, ha avuto vita breve. È stata rapidamente “martoriata” da mini riforme, vuoi per affrontare emergenze gravi come la lotta alla mafia, vuoi per tutti i ritocchi apportati nel tempo, che ci offrono oggi un processo sbilanciato tra limitazioni ed eccessi di garanzie processuali (così delicate e fondamentali).

Puoi dire della riforma di cui si parla di questi tempi, quella della prescrizione?

Una riforma sull’applicazione della prescrizione è stata fatta a più riprese, l’ultima due anni fa. Dal primo gennaio è in vigore una nuova riforma sulla stessa materia. È mai possibile che le cose cambino in così brevi termini di tempo? Cerchiamo di andare al cuore dei problemi: qui troviamo i nodi autentici della giustizia che sono dati dai tempi e dalla certezza. Una vera riforma è quella che può andare a incidere sui tempi e sulla certezza della giustizia.

Una questione di tempi

Su questa cosiddetta “riforma della prescrizione” – ossia sul blocco dei termini della prescrizione – io sono molto critico. Si tratta intanto di un intervento attivo su di un numero assai limitato di processi in corso rispetto alla totalità. Va detto inoltre che il 60% delle prescrizioni matura quando ancora il procedimento è in capo alla Procura e il processo non è ancora avviato. Per esperienza e per convinzione sincera dico che la sola pendenza – così lunga – è già un’effettiva sanzione applicata alla persona e alle persone coinvolte.

Per ciò, per me, la prescrizione è l’inevitabile risposta alla durata irragionevole dei procedimenti. Dico di più: a fronte di questa situazione, è una semplice misura di civiltà.

Consentimi uno sfogo: troppo spesso ho partecipato casi in cui sono state irrogate pene carcerarie a persone che avevano 18 anni o poco più quando hanno commesso il reato e che si sono trovate a scontare pene a 35 anni, magari da sposati, con figli, con professioni avviate e socialmente positive. Francamente non riesco a cogliere il significato di una tale giustizia.

Non voglio dimenticare mai che la funzione della giustizia è essenzialmente di coesione sociale, in funzione del ruolo centrale delle persone.

Puoi ribadire quali sono i nodi problematici della giustizia e quindi come si possa altrimenti intervenire?

Ho detto della durata e della certezza della giustizia. Se tutti i processi fossero definitivamente conclusi in 3-4 anni, non saremmo qui a parlare della necessità della riforma della giustizia, addirittura abolendo la prescrizione prima ancora di farla (cioè incrementando il vizio prima di porvi rimedio).

Depenalizzazione

Come intervenire? La mia posizione è netta. Non c’è stato e non c’è ancora oggi un adeguato coraggio del legislatore nel verso della depenalizzazione. Di fronte ai problemi, il legislatore è andato sempre più a incrementare le fattispecie penali e ad aggravare le pene in un sistema penale già fortemente carcero-centrico.

Io invito a costatare che ciò non ha portato a un risultato statisticamente positivo. Posso fare diversi esempi: la severissima legge sulla violenza sessuale non ha risolto il problema, l’introduzione della fattispecie dell’omicidio stradale non ha contenuto il problema, persino l’ennesima riforma sul diritto tributario che pure merita molta attenzione… sta inseguendo un miraggio.

Sistema giudiziario Italia

È dimostrabile con i numeri: l’aumento esorbitante delle pene non ha mai portato a dei risultati sociali reali. In questo modo la giustizia si scredita sempre più agli occhi della stessa opinione pubblica che il legislatore politico tenta di gratificare moltiplicando le fattispecie penali e incrementando le pene. Mentre si dovrebbe fare a mio avviso proprio il contrario.

Il mondo accademico dei giuristi di supporto alle commissioni parlamentari ha prodotto numerose proposte di riforma organica. Tutte vanno nella direzione di offrire pene alternative alla detenzione. Gli studi mostrano che i cittadini sono molto più sensibili alla confisca amministrativa di un bene quale l’autovettura, rispetto all’eventualità di subire un processo per reato di guida in stato di ebbrezza con relativa sanzione penale. È solo un esempio.

Con questo voglio chiaramente dire che risposte di tipo amministrativo – quindi depenalizzate nel senso di tolte dall’ambito penale – offerte con certezza e con certezza di tempi, potrebbero risultare molto più socialmente efficaci e adatte a incidere significativamente sui nodi di fondo della giustizia penale nel nostro paese.

Coordinazione della macchina pubblica

Non c’è pure un problema di personale dedicato alla giustizia?

Non penso, francamente, che il problema fondamentale risieda nel numero di magistrati dedicati. Abbiamo in Italia un numero di magistrati equivalente se non di gran lunga superiore a quello dei paesi europei. Se c’è un problema di personale, non è collegato ad un numero carente in organico. Piuttosto la difficoltà del settore ha a che fare con la difficoltà complessiva del nostro paese a coordinare efficacemente il personale dedicato alla cosa pubblica.

Se dici che dobbiamo andare con decisione verso una depenalizzazione per affrontare i nodi della giustizia, vuol dire che dobbiamo avere sostanzialmente più fiducia nelle persone e nella persona umana?

Io penso a questo: mi fanno rabbrividire certe espressioni reiterate ad alto livello istituzionale e messe in testa, più di quanto magari già non siano, alla gente, quali “sbattere le persone criminali in carcere per poi buttare via la chiave”. Questo mi ferisce sinceramente. Lo si dice, probabilmente, per offrire un senso di sicurezza, per andare incontro ad una esigenza vera di sicurezza.

Ma io penso di poter dire, per esperienza, che il senso di sicurezza c’entra ben poco con il senso della giustizia. Io ne sono convinto. In un sistema costituzionale che tende all’equilibrio e alla coesione sociale, l’orizzonte dev’essere sempre quello del termine della pena e della restituzione alla piena socialità.

Puoi dire dei rapporti tra politica e giustizia e delle cosiddette invasioni di campo da una parte e dall’altra?

La cosiddetta invasione di campo della giustizia nell’ambito della politica è parzialmente, storicamente, verificata. Se ne trovano le tracce specie nel periodo del terrorismo nel nostro paese, con la decisione della politica di delegare funzioni alla magistratura. Quando la politica, pressata da urgenze, delega funzioni proprie, a mio parere, apre effettivamente campi sconfinati. La materia è delicatissima.

La magistratura

La mia critica alla magistratura in genere non vuol essere ingenerosa. Riconosco il ruolo fondamentale della magistratura. Riconosco che è una professione difficile e ingrata. Non c’è cosa più difficile del giudicare le persone. Ma quando la magistratura si propone di agire in rappresentanza diretta del popolo snatura il proprio ruolo. Il magistrato è un funzionario dello stato. Non è eletto dal popolo.

Ho una grande ammirazione per la magistratura silenziosa che non si espone. Non mi piace quando si espone mediaticamente. Non mi piace quando si espone politicamente, benché sia ovviamente umano, normale, democratico nutrire propensioni politiche.

Giustizia ed economia: i problemi della giustizia costituirebbero una delle ragioni importanti per cui gli imprenditori stranieri fanno fatica a investire in Italia e quelli italiani fanno fatica a restarci, è così?

Il mondo dell’economia esige dalla giustizia del paese risposte rapide. Su questo ho già detto. Non solo. Il mondo dell’economia, forse in maniera particolare, esige risposte certe, da una sola fonte, con riservatezza; quindi risposte chiare, non rivedibili, dunque affidabili al fine di poter osare investimenti duraturi.

L’abbondare di trasmissioni televisive nel corso dei procedimenti più noti riguardanti i grandi gruppi industriali senz’altro non incoraggia gli imprenditori interessati. Sono in gioco i consueti valori della giustizia sociale: una buona amministrazione della stessa, una corretta informazione e la riservatezza dei dati personali (perché il penale ha sempre a che fare con persone in carne ed ossa). Se l’imprenditore non può sentirsi tranquillo secondo questi tre parametri di valore, chiaramente può sentirsi indotto ad abbandonare il nostro paese.

Sistema giudiziario Italia

Consideriamo poi la questione dei costi esorbitanti dei procedimenti a carico del mondo economico e i crediti ritardati o di fatto inesigibili nei confronti dello stato. Sono tutti aspetti di una giustizia carente che obiettivamente scoraggiano gli investimenti.

Questione ambientale

Probabilmente c’è, in quel che stai dicendo, un riferimento alla questione ambientale e quindi al rapporto giustizia e ambiente…

Sì, certo. Non c’è dubbio che ci sia oggi molta positiva attenzione della giustizia per l’ambiente. Ovviamente si è mosso in primo luogo il legislatore. È stata prodotta molta nuova codicistica sui reati ambientali. C’è stato un forte irrigidimento sanzionatorio. Quel che rilevo, anche in questo caso, è che la giustizia arriva in ritardo, ossia quando i guasti ambientali sono già stati prodotti. Per salvaguardare l’ambiente non basta moltiplicare le norme e incrementare le sanzioni.

Secondo me si deve intervenire molto prima e per via amministrativa. In materia di ambiente – quindi di salute e di sicurezza dei lavoratori e dei cittadini – devo dire, per essermene occupato lungamente, che risulta molto più efficace una giustizia amministrativa che si apre e che si chiude in pochi anni, piuttosto di una giustizia penale che si trascina per vent’anni, andando a processare ormai la storia degli anni passati piuttosto che persone effettivamente responsabili di reati.

Le nuove e continue acquisizioni scientifiche quanto pesano, specie al riguardo ambientale, rispetto alla giustizia? Affinano le possibilità di giustizia ovvero ritardano e complicano le stesse possibilità?

Mentre formuli questa domanda penso a recenti sentenze riguardanti l’impiego dei telefoni cellulari o il consumo di carni rosse rispetto alla salute umana. Esistono diverse posizioni scientifiche al riguardo. La giustizia è chiamata ad avvalersi delle prevalenti ragioni scientifiche. Certamente non è semplice. Ma ripeto: sinché la giustizia deve essere fatta al livello solo penale, ci si scontra sempre contro questi limiti.

Stiamo parlando di giustizia, ma non abbiamo dato una definizione di giustizia: che cos’è?

Sono un avvocato e parlo dell’amministrazione della giustizia. Non voglio fare filosofia. Non è il mio ambito. Mi ha recentemente colpito tuttavia una rappresentazione della giustizia attraverso l’immagine di un ponte tibetano sospeso nel vuoto: traballante, molto traballante, ma sostenuto da funi perché non cada. E non cade. Le funi della giustizia sono le regole processuali.

D’accordo, ma a che cosa sono ancorate le funi?

Per me restano aggrappate ai principi costituzionali e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: abbiamo dovuto attendere la fine del secondo conflitto mondiale per arrivare a quel tipo di consenso internazionale. È questo a tenere salde le funi.

Della giustizia

C’è qualcosa di cristiano in questo ancoraggio?

Sì, sicuramente. Secondo me, dentro questi principi c’è l’antropologia cristiana di fondo. C’è dentro san Paolo. C’è dentro la nostra cultura e la nostra civiltà cristiana. Purtroppo, non abbiamo ancora ben capito quale sia la portata di questo grande patrimonio culturale per l’umanità.

Da professionista, prima che da cattolico, ho maturato grande ammirazione per due scritti del magistero di papa Francesco: il primo inviato a studiosi del diritto penale sudamericano, il secondo ai rappresentanti dei penalisti europei. Sono ammirevoli. Francesco mi lascia stupito per la visione organica che mostra delle garanzie del processo penale. Questo viene evidentemente da una chiara visione antropologica. Viene da una visione teologica.

Mi colpisce in particolare quel passaggio in cui parla in termini giuridici qualificati del perdono, o meglio del per-dono, come “sacrificio necessario”.

Senza voler dare definizioni, dico che la giustizia è uno strumento di equilibrio e di coesione sociale. Fare giustizia non può mai significare punire senza ricerca la ricerca del ravvedimento e del perdono. Per questo sono per una giustizia riparativa che metta in comunicazione autore e vittima del reato, una giustizia che cerca, come ho detto, tutte le alternative possibili al duro carcere.

Ti sei mai sentito chiedere come fai a difendere, da cristiano, un colpevole?

Oh, certo! Il rapporto tra difeso e difensore è un rapporto umano molto particolare. È simile al rapporto tra il paziente e il medico di fiducia. Si instaura a un certo punto, tra i due, un rapporto di fiducia o di affidamento. Si costruisce insieme qualche cosa che può significare la difesa dell’innocenza o la difesa del minor danno. Quando questo avviene io riesco a fare bene il mio lavoro perché mi sento totalmente proiettato nella difesa della persona.

Ecco, da giurista cristiano – forse questa volta posso così definirmi – ritengo che la difesa della persona costituisca un diritto umano inalienabile e quindi una funzione inalienabile.

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