Fino al 3 aprile non vi saranno celebrazioni dell’eucaristia nelle parrocchie. La CEI ha preso atto del Decreto del governo italiano. La quaresima di quest’anno coincide per gli italiani con una lunga astensione dal buon pane che sostiene nel cammino dei giorni che ci sono dati. Una pratica ascetica inedita per le nostre generazioni; ma anche per una Chiesa che ha risucchiato tutta la sua liturgia nell’eucaristia.
La celebrazione della fede torna a essere domestica, quotidiana, laica. Potrebbe anche essere un bene. L’intelligenza pastorale della nostra Chiesa italiana dovrebbe cogliere l’occasione di questo stato di eccezione, per apprendere da esso l’ampiezza della sua tradizione liturgica. Ma, soprattutto, non dovrebbe poi lasciarsela troppo rapidamente alle sue spalle non appena l’emergenza sarà finita. È solo l’inizio di un possibile modo altro di dare forma alla vita delle nostre comunità, che continuano a sussistere anche in assenza dei momenti di aggregazione parrocchiale.
Nella semplicità delle case nascono modi di celebrare, pregare, ricordare, attingere alla sapienza delle Scritture per navigare in questi giorni incerti, di paura e sospetto. Il male che incombe si combatte anche attraverso le favole, da sempre. Perché non riscoprire in questo senso, per noi e per i nostri bambini, il tesoro delle narrazioni evangeliche?
Ma esse sono anche un invito a mettere in circolo, nelle nostre società, nei nostri rapporti quotidiani con gli altri (quei pochi che ci rimangono), una ragione al tempo stesso assolutamente realistica (la malattia è malattia, la morte è morte, la paura è paura, nel Vangelo) ma anche carica di fiducia.
Abbiamo tutta una nazione in “condizione quaresimale”, a questo popolo dobbiamo una qualche parola che sappia andare oltre la retorica, che lo sappia accompagnare senza volerlo inquadrare, che sia lì per lui senza chiedere niente in cambio. Un’occasione per il ministero e per i nostri vescovi.
Il Decreto del governo interdice anche le esequie (laiche o religiose che siano). Un punto molto delicato per i mesi che vengono che porteranno con sé anche un aumento della mortalità. Qui la sapienza pastorale deve inventarsi in fretta qualcosa, perché la morte senza un “cuscinetto” simbolico di congedo e lutto condiviso rischia di gettare un’ombra lunga che andrà ben oltre i mesi di contagio da Coronavirus che ci aspettano.
Abbiamo bisogno di una Chiesa che non aspetti semplicemente il ritorno alla normalità, che comunque non sarà più quella di prima. Abbiamo bisogno di una Chiesa in prima linea non solo per ciò che concerne la carità che non si ferma, ma anche per quanto riguarda la cura dell’anima e la celebrazione della vita quotidiana, morte compresa. Non per esorcizzare, ma per restare umani. Senza messa e, molte volte, senza prete.