Il cardinale J.J. Omella è il nuovo presidente della Conferenza episcopale spagnola. Viene dalla periferia, dalla Catalogna. Possiede una grande ricchezza evangelica e una grande sensibilità verso i poveri, gli ultimi e gli esclusi, ed è aperto ad una Chiesa in uscita e missionaria. Dopo quarant’anni di chiusura, ci si attende da lui che abbia a imprimere un nuovo impulso a una Chiesa “ferma” e centrata nella conservazione del suo potere.
Il 3 marzo scorso, il card. J.J. Omella, arcivescovo di Barcellona, è stato eletto presidente della CEE (Conferenza episcopale spagnola), con il card. C. Osoro, arcivescovo di Madrid, come vicepresidente.
Questa nomina segna la fine e il fallimento di quarant’anni di Chiesa “ferma”, più centrata sulla conservazione del suo potere tradizionale (sociale) che sulla trasformazione evangelica della sua identità e della sua missione come annuncio, fermento e anticipo del Regno di Dio.
È stata un’elezione logica dopo il fallimento del modello precedente ed è stata favorita dai cambiamenti introdotti da papa Francesco con la nomina dei nuovi vescovi, e specialmente con l’arrivo del nuovo nunzio, mons. B. Auza, propugnatore della dinamica missionaria che il papa sta promovendo nell’insieme della Chiesa.
Così l’hanno interpretata la maggior parte dei mezzi di comunicazione (cattolici e no) che parlano di una sconfitta dell’ala più tradizionale dell’episcopato, rappresentata da mons. J. Sanz, arcivescovo di Oviedo, difensore della visione e della tattica ecclesiale del card. J.M. Rouco, arcivescovo emerito di Madrid, che aveva guidato il cammino della Chiesa spagnola in questi ultimi quattro decenni.
Una primavera troncata sul nascere
Quarant’anni or sono (nel 1980) la Chiesa spagnola conobbe un momento di grande creatività e speranza. Ma in quello stesso anno, dopo l’elezione di Giovanni Paolo II, fu dimesso il nunzio mons. Dadaglio (1967-1980) a cui Montini aveva affidato l’incarico di “modernizzare” la Chiesa spagnola per adeguarla alla nuova dinamica del Vaticano II (1963-1965). Dadaglio aveva adempiuto al suo incarico in un modo elegante e rispettoso, ma fermo, accompagnato dal card. E. Tarancón, arcivescovo di Madrid (1971-1983), che fu presidente della CEE dal 1971 al 1981.
Furono anni gloriosi di rinnovamento evangelico per la Chiesa che si stava adeguando con molto realismo e grande generosità evangelica alle nuove circostanze sociali, politiche e religiose del cattolicesimo postconciliare, in una linea di libertà e di impulso evangelico, come posso testimoniare personalmente in virtù della mia collaborazione come docente.
La Chiesa spagnola costituiva un esempio e una speranza per tutto il mondo cattolico, con una dinamica molto vivace nonostante i suoi grandi contrasti interni, piena di creatività, con una grande presenza missionaria, non solo in America Latina, ma in tutto il mondo. I suoi “giovani” pensatori come J.M. González Ruiz e J.M. Castillo, L. Alonso Schokel e J-L. Sicre, J.I. González Faus e A.T. Queiruga, J.M. Rovira Belloso e J. Rius Camps, J.M. Velasco, I. Ellacuría, M. Vidal, J. Sobrino e O.G. de Cardedal… e molti altri, stavano tracciando una delle linee teologiche più significative dell’insieme della Chiesa.
Accanto a questa nuova dinamica, erano sorti in Spagna, e avevano un grande influsso nella Chiesa universale, vari movimenti di tipo tradizionale, malgrado la loro apparente modernità, come potevano essere l’Opus Dei, le comunità neocatecumenali, i Cursillos di cristianità e altri gruppi di rinnovamento ministeriale e carismatico.
La Chiesa spagnola era, senza dubbio, molto complessa, con elementi contrapposti, di tradizionalismo e di rinnovamento, di ricerca spirituale e di impegno sociale, ma tutto lasciava presagire che questa complessità sarebbe stata molto positiva e avrebbe favorito la nascita e la realizzazione di un nuovo tipo di Chiesa, in armonia, allo stesso tempo, con i principi evangelici e la nuova realtà sociale e culturale della Spagna, sul piano del dialogo e dell’arricchimento reciproco, non di imposizione di un gruppo sugli altri.
Orbene, a partire da quel momento, in armonia con gli anni ’80 del secolo scorso, quella complessità del nuovo sviluppo ecclesiale fu frenata e fermata, non solo per problemi interni della stessa Chiesa spagnola, ma anche per la mano “superiore” di Giovanni Paolo II (e più tardi di Benedetto XVI) che non vedevano con favore la nuova “deriva” del cristianesimo ispanico, accusato di promuovere la teologia della liberazione, di apertura al secolarismo, di abbandono degli aspetti positivi del nazional-cattolicesimo ecc.
In questa linea, con la sostituzione di mons. Dadaglio, con la nomina di nuovi nunzi stile Giovanni Paolo II, con l’elezione di vescovi “restauratori”, tra i quali si è distinto in questi ultimi 40 anni il già citato card. J.M. Rouco, arcivescovo di Madrid (che molti hanno chiamato “il papa della Spagna”) e con l’intenso cambiamento culturale e religioso (alcuni dicono “antireligioso”) della nuova società, già integrata pienamente nella modernità (Unione Europea, liberalismo economico), la Chiesa spagnola ha conosciuto tre grandi trasformazioni.
La trasformazione sociale
La Spagna era sociologicamente e politicamente “cattolica”, a partire dall’unità politica, imposta dalla fine del XV secolo, con una specie di pulizia etnica, con l’espulsione degli ebrei e dei musulmani e l’istaurazione del cattolicesimo come religione di stato.
Questa situazione durò con variazioni e crisi periodiche quali si verificarono nel secolo XIX fino a culminare nel “trionfo” del fascismo cattolico del generale Franco (1936-1976).
Quella Spagna di identità politico-sociale cattolica si era formata nel corso di cinque secoli di “riconquista” (dal IX al XV d.C.) e di altri cinque secoli di trionfo di una visione (imposizione) religiosa, con l’identificazione tra società e Chiesa.
Il trionfo del nazional-fascismo “cattolico” di Franco voleva perpetuare quel tipo di società, con una Chiesa di “crociata”, alleata al “regime”, approfittando della situazione che le conferiva un grande potere, senza rendersi conto che il tempo stava cambiando e che il cristianesimo ha delle radici e una natura diversa, non in linea con il controllo sacrale della società, bensì del servizio messianico.
Pertanto, logicamente, con la caduta della dittatura di Franco (1975) e l’apertura alla “modernità sociale europea” (del capitalismo occidentale), con i cambiamenti economici e culturali che implicava, si produsse una rapidissima inversione di quel progetto sociale “cattolico”.
Questo è qualcosa che papa Giovanni Paolo II (dal suo punto di vista polacco) e i nuovi vescovi nominati secondo la sua linea non vollero e non seppero capire, così che ciò che poteva essere una transizione nella libertà e nella radicalità cristiana si trasformò in un fallimento generale.
Tuttavia, in certo senso, la Spagna continua ad essere vincolata alla Chiesa, ma in un modo molto diverso, perché, sebbene il 70% della sua popolazione si dichiari cattolica di nascita, ha perso (o può perdere di fatto) molto rapidamente la sua identità cristiana. Gli spagnoli consapevoli della loro identità e del loro impegno col Vangelo non raggiungono il 20%.
La “destra” politica, che si proclama erede del cattolicesimo tradizionale, interpreta il Vangelo in modo autoreferenziale (conforme a una visione del potere e dell’economia molto lontana dal progetto di Gesù).
Da parte sua, la “sinistra” politica e sociale, con forti elementi di origine cristiana (evangelica), è fortemente anticlericale (e, in un certo senso, anti-ecclesiale). È evidente che il tentativo di restaurazione voluto a partire dal 1980 è fallito.
Trasformazione “ministeriale”: la perdita di potere del clero
Nel 1980 c’era in Spagna un clero abbondante, con ministri molto impegnati nel promuovere la “nuova evangelizzazione”, con una pratica massiccia dei sacramenti (battesimo, eucaristia, matrimonio cristiano). Ma, dopo quarant’anni (2020), la Chiesa si trova ad essere guidata da un clero invecchiato e, ciò che è peggio, piuttosto deluso, non solo per la perdita di potere sociale (cosa evidente!), ma per mancanza di una “gerarchia” evangelicamente coraggiosa, affascinata dal progetto di Gesù.
Una parte considerevole della Chiesa istituzionale sembra sentirsi minacciata e risponde con una politica di “resistenza”, di attaccamento al suo potere sociale e morale e persino economico. Questa Chiesa ha paura di perdere un immenso patrimonio culturale e sociale, così che alcuni hanno potuto affermare che un certo tipo di gerarchia cattolica è semplicemente una “classe” residuale, un ricordo del passato.
D’accordo che il clero non è la Chiesa, ma senza un clero con una vera leadership morale, utopica e spirituale, con una nuova creatività che ritorna a Gesù, come voleva, ad esempio, M. Legido (1935-2016) e come vuole J.A. Pagola (1937-), non si può parlare di rinnovamento della Chiesa. In questa linea, sono molti a sostenere che al clero spagnolo manca di una vera leadership culturale e sociale, religiosa e intellettuale, il che può significare che manca di un vero futuro, a meno che non sappia rinnovarsi dall’interno.
D’altra parte, gli ordini religiosi, in precedenza molto attivi, hanno difficoltà a trovare un posto e un compito nel tessuto sociale, all’interno di un nuovo “mercato” religioso, in cui, da un lato, trionfa un tipo di integrismo (fondamentalismo) musulmano o cattolico e, dall’altro, corriamo il rischio di perdere la più profonda tradizione cristiana nelle mani delle nuove sette o movimenti dello spiritualismo light, da oriente a occidente.
Ci sono molte difficoltà per “ricreare” e promuovere le vocazioni per i ministeri ordinati, secondo la linea tradizionale, così che la Chiesa corre il rischio di diventare un’istituzione senza movimento, una “reliquia” culturale e sociale di un passato che non può più tornare. Logicamente, essa appare nelle statistiche come una delle realtà meno considerate nella società.
Una nuova fase per la Chiesa spagnola
Questa Chiesa conserva grandi valori sociali, culturali e religiosi e, in questo contesto, dev’essere valutata questa elezione, nell’attuale nuova fase della Chiesa che papa Francesco ha chiesto di rinnovare (rifare da capo, a capite et in membris) in riferimento alla sua radice messianica.
I vescovi spagnoli hanno posto la loro fiducia in Omella, offrendogli un’autorità e un incarico che egli deve interpretare e rafforzare, alla luce del Vangelo, in questa nuova realtà socio-politica, culturale ed economica dei diversi popoli della Spagna.
È significativo il fatto che egli non provenga dal centro (Castiglia, Madrid), ma da una periferia piena di problemi e di possibilità come la Catalogna, con grande attenzione verso gli esclusi della società, come ho potuto vedere, condividendo con lui tempo fa alcune giornate di pastorale penitenziaria, al servizio della giustizia redentiva, e non vendicativa, che altri hanno difeso in Spagna.
Omella è vescovo di comunione in un contesto in cui molti, anche all’interno della stessa Chiesa, sono riluttanti al dialogo con gli estranei e con i diversi, preferendo risolvere i problemi attraverso un tipo di imposizione giuridica, sociale ed ecclesiale.
Egli può fare affidamento sul retroterra cristiano di gran parte della società, quella non gestita dalla propaganda del neoliberismo economico allineato al puro consumismo commerciale, e su istituzioni cristiane come la Caritas, il segno più chiaro di una Chiesa che non vuole accrescere il suo patrimonio economico e sociale (il suo prestigio, l’area del possesso), ma metterlo al servizio gratuito dei gruppi meno favoriti.
Insieme alla Caritas, la Chiesa di Spagna ha molte altre opere di tipo assistenziale e promozionale, di accoglienza agli immigrati, di aiuto agli esclusi e, in tal modo, appare come riferimento fondamentale nel campo della promozione dei diritti umani e degli aiuti ai bisognosi, con la difesa (testimonianza) dei valori trascendenti della vita, nella linea di Gesù, con la testimonianza della vita, come fermento del Regno e non come un’imposizione sociale o politica.
Di fatto, la Chiesa non ha più il predominio culturale che aveva prima, ma questo fatto può risultare positivo, perché essa, alla fine del XVII secolo, ha esercitato un forte “monopolio” in questo campo, a volte usandolo in un modo più impositivo che evangelico. Pertanto, avendo perso quel monopolio, può e deve acquistare un tipo più alto di autorità, come portatrice e punta avanzata di una cultura di interiorità e di comunione, al servizio della vita, e nient’altro, e specialmente della vita dei più poveri.
In questo momento, la Chiesa è stata in gran parte “espulsa” dalla nuova cultura ufficiale (ampiamente anticlericale), ma, proprio ora, senza gli asservimenti precedenti, essa può e deve offrire un nuovo e più profondo potenziale di conoscenza e di esperienza, in linea con la libertà personale, l’incontro interumano, la comunione di fede e di vita, in base all’esperienza e all’impulso dello Spirito di Cristo.
In quest’ultima linea, la Chiesa di mons. Omella deve essere (deve offrire) un progetto di illuminazione e di trasformazione personale e sociale, in chiave strettamente religiosa, senza alcun genere di imposizione sociale, mettendo in risalto, senza alcun genere di complesso o di paura, i valori della trascendenza, del riconoscimento del mistero della vita come dono condiviso, a partire dai poveri, dagli esclusi, i migranti, i carcerati ecc., secondo l’ideale di Mt 25,31-46, in un contesto in cui devono essere messi in risalto tre tratti o momenti.
Esaurimento di un modello di potere sociale della Chiesa
Il punto di partenza è il riconoscimento del “fallimento” o, meglio, l’esaurimento di una linea di identificazione sociale nella chiave di potere, che si era imposta quarant’anni fa con il modello promosso da papa Giovanni Paolo II.
È finito un ciclo di “dominio canonico” (ontologico?) della Chiesa, che (specialmente in Spagna) ha mirato a chiudersi e a perpetuarsi nella sua dinamica di supremazia religiosa, in una linea che molti hanno inteso e sofferto come “dittatura ecclesiale”.
Forse, senza avvertirlo, con la migliore intenzione, un tipo di Chiesa, rappresentata da alcuni vescovi e “pastori” degli ultimi decenni, ha voluto continuare ad essere una “società superiore”, con il potere di imporre il suo dettame (un tipo di protettorato morale) sull’insieme della società. Ebbene, quel periodo di protettorato della Chiesa sulla linea sociale è fallito e si è concluso, per cui J.J. Omella deve sentirsi totalmente libero per promuovere una nuova “Chiesa in uscita”, che si svuota di sé per tornare, come Gesù e con Gesù, al mondo concreto dei poveri e degli emarginati, come dice l’inno di Fil 2,6-11.
Autonomia della società civile
Al centro di questo progetto c’è il chiaro riconoscimento della reale autonomia della società civile, che la Chiesa deve accettare con grande rispetto ma, allo stesso tempo, sottolineando la sua differenza profetica, non in chiave di potere, ma di “fermento” dell’umanità, in base alla testimonianza di Gesù.
La Chiesa ufficiale ha vissuto troppo a lungo (quasi un millennio!) vincolata al potere, con un’autorità morale, culturale e persino sociale su tutto il popolo (con i valori e i limiti che questo modello aveva). Ora è giunto il momento della normalizzazione, vale a dire del riconoscimento concreto dei “poteri sociali”, senza identificare il cristianesimo con un modo di intendere la “Spagna” (come bene morale o religioso).
È giunto il momento in cui la Chiesa deve definirsi per la sua esperienza e il suo compito messianico, nell’apertura radicale ai più poveri, agli esclusi, a livello di esperienza orante, celebrativa e persino culturale e artistica.
Negli ultimi decenni, contagiata dal “male sociale” del suo ambiente (quello delle cosiddette “due Spagne”), la stessa Chiesa ha vissuto polarizzata tra interessi opposti, in modo che si è potuto parlare, da un lato, di una Chiesa militante nella linea di un nazionalismo sociopolitico e, dall’altro, di una Chiesa di liberazione a servizio dei più poveri, in contrasto col potere stabilito. In quel contesto, in certi circoli del cattolicesimo neo-nazionale spagnolo la nomina di Omella non è stata accolta bene, da coloro che lo accusano di essere “separatista” (anti-spagnolo), perché viene dalla Catalogna, o perché si definisce semplicemente un cristiano, aperto al dialogo con tutti, senza appoggiare religiosamente la “causa” nazionale spagnola.
In forza del Vangelo
La terza caratteristica, la più importante, è il ritorno ai valori del Vangelo. I diversi popoli della Spagna possiedono un immenso patrimonio evangelico e di esperienza religiosa, che può e dev’essere ricreato.
In questa linea, per cominciare dai tempi antichi, è preziosa non solo l’eredità di sant’Isidoro e dei concili di Toledo (VI-VII secolo), ma anche la testimonianza dei “cristiani mozarabici” che, in vari modi, cercarono un genere di identità e di presenza in mezzo ad un ambiente musulmano (VIII-X secolo).
Si possono recuperare anche le voci di alcuni cristiani “(ri)conquistatori” (sostenitori di un tipo di Cristo spagnolo), ma insistendo, soprattutto, sulle voci degli emarginati, dei convertiti e dei cristiani illuminati (con i sufi musulmani e i cabalisti ebrei…).
In questo senso, è fondamentale la testimonianza dei neo-radicali evangelici del XVI secolo (come Teresa di Gesù e Giovanni della Croce, entrambi uniti) e dei contro-riformatori (come Ignazio di Loyola, aggiornato in chiave di libertà cristiana).
Ecco perché dobbiamo leggere con occhio “critico”, ossia con discernimento attivo, la storia dei missionari presenti nell’America del XVI-XVIII, recuperando le voci dei critici e dei dissidenti, da Bartolomeo de Las Casas alle reducciones (riduzioni) dei gesuiti o dei francescani, dall’Argentina e dal Paraguay fino al sud degli Stati Uniti…
Con questi valori, la Chiesa del card. Omella deve tornare alle persone concrete, a partire dall’esperienza e dall’impegno evangelico, in una Spagna (o Spagne al plurale) che può e deve essere esemplare in conformità col Vangelo.
In questa linea può e deve essere compresa, a mio giudizio, la sua elezione, dopo 40 anni di cattolicesimo fascista (franchista), seguito da altri 40 anni di ripristino impositivo in linea con il fallito recupero del potere ecclesiale.
Mons. Omella può collegarsi con i migliori elementi dello spirito ecclesiale di 40 anni fa, quando il nunzio Dadaglio con mons. Tarancón e diverse centinaia di ministri della Chiesa, teologi e cristiani di vario genere cercavano e tracciavano forme di un nuovo cristianesimo ispanico.
Sei sicuro di quello che scrivi? Parla dell’Italia e lascia in pace la Spagna.