Francesca Giani è architetto e ingegnere Ph.D. DICEA Sapienza Università di Roma, Fondazione Summa Humanitate. Dal 2013 è una delle promotrici della Fondazione Summa Humanitate, ente che lavora per la valorizzazione sociale degli immobili ecclesiastici e supporta gli enti ecclesiastici nella gestione delle loro attività.
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Non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca.[1] Con questa frase di papa Francesco si può introdurre la lettura dei dati sulla vita religiosa italiana nei primi 4 anni del pontificato di Bergoglio. Tale affermazione si basa sullo studio dell’andamento del numero dei religiosi di diritto pontificio e di quello delle case religiose e dei monasteri femminili dal 31.12.2013 al 31.12.2017 suddivisi tra monasteri femminili, case di istituti religiosi femminili e maschili.[2]
In quattro anni i religiosi sono diminuiti del 14%, per un totale di 12.085 consacrati in meno (Tab. 1, Fig. 1) suddivisi in modo impari tra i generi, sia in relazione al numero complessivo che alla comparazione dei gruppi omogenei (donne -10.134, 84% delle defezioni totali – rispettivamente – -16% delle suore, -11% delle monache; uomini -1.951, 16% delle defezioni totali e -9% dei religiosi). Tali osservazione suggeriscono di mettere in relazione la diminuzione delle consacrate con la questione di genere e al tema dell’allontanamento delle donne dalla Chiesa cattolica – si veda di don Armando Matteo, La fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012.
Il numero delle monache in Italia è sceso da 5.954 a 5.272 in 4 anni, con una riduzione pari all’11%. Sebbene diminuite di 682 unità, il saldo quadriennale dei monasteri femminili italiani è di soli 2 monasteri in meno (Fig. 2, Tab. 2). Nei quattro anni studiati, il numero dei monasteri non è diminuito in modo costante, ma è aumentato due volte per poi diminuire. Tale circostanza, che non trova repliche negli altri due gruppi dei religiosi, evidenzia il dinamismo della vita contemplativa femminile italiana con la presenza di nuove fondazioni. Il fenomeno è accompagnato dalla presenza di un numero di postulanti e novizie pressoché costante e di poco inferiore a quello degli istituti religiosi femminili non contemplativi. Ovvero, in proporzione al numero delle religiose con voti perpetui, le postulanti e le novizie degli istituti contemplativi sono 10 volte superiori a quelli degli istituti religiosi femminili non contemplativi (Tab. 3 e 4). Risulta evidente che la vita monastica, seppure in un contesto di difficoltà, ha in proporzione un numero di vocazioni maggiore rispetto a quello della vita religiosa non contemplativa. Aspetto interessante che meriterebbe approfondimenti di carattere spirituale e sociologico, probabilmente collegati al tema affrontato nel numero di gennaio 2020 di Donne chiesa mondo, mensile dell’Osservatore Romano, dedicato a «Le suore alle prese con la sindrome del burnout: costruire comunità resilienti».
In tutti e tre i gruppi la percentuale della diminuzione delle persone è superiore alla diminuzione del numero delle case religiose. Ciò evidenzia la tendenza a preferire la riduzione del numero dei componenti delle comunità religiose alla chiusura delle case. Nonostante ciò, in Italia, dalla fine del 2013 a quella del 2017, sono state chiuse 1.097 case religiose. I dati mostrano la necessità di provvedere alla gestione degli immobili dell’ente con particolare sapienza, in particolare a quelli divenuti ridondanti, a partire dal carisma fondativo, esplicitato nel piano carismatico e agendo in relazione ai propri dati demografici e al quadro economico.
Per i religiosi la gestione del patrimonio immobiliare ha una difficoltà particolare. Mentre per il patrimonio della Chiesa gerarchica, in seguito alla riforma del Concordato avvenuta nel 1984, gli immobili destinati alla produzione di reddito sono confluiti negli Istituti per il sostentamento del clero e sono strettamente vincolati a tale finalità e non diversamente destinabili, per gli immobili dei religiosi l’appartenenza ad una delle tre finalità previste dal CIC – culto, onesto sostentamento, apostolato sacro e carità – non è vincolata e può variare nel tempo in conformità alle proprie costituzioni e alle decisioni degli organi direttivi. Tale condizione di maggior libertà espone la gestione immobiliare dei religiosi a rischi di gestione più ampi rispetto a quelli della Chiesa gerarchica e carica i proprietari di responsabilità che dovrebbero affrontare con una preparazione ancor più qualificata e coscienziosa. Ciò in un contesto nel quale, come ricorda suor Nicla Speziati, gli istituti religiosi operano in condizioni non sempre adeguate per competenza, risorse e politiche e gestione – di suor Nicla Speziati, “Introduzione” in CIVCSVA (a cura di). La gestione dei beni ecclesiastici degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014, pp. 21-31 –. L’individuazione del patrimonio stabile di ogni istituto «costituito da tutti i beni immobili e mobili che, per legittima assegnazione, sono destinati a garantire la sicurezza economica dell’Istituto» – CIVCSVA, Orientamenti Economia a servizio del carisma e della missione. Boni dispensatores multiformis gratiae Dei, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2018, p. 65 – è un compito da adempiere di indubbio beneficio, ma che non muta lo scenario sopra descritto.
In relazione alla gestione delle case religiose ormai chiuse, così come di altri immobili ormai non usati, è opportuno attuare una gestione immobiliare coerente con le finalità della Chiesa e dell’ente ecclesiastico proprietario, evitando valorizzazioni immobiliari con obiettivi esclusivi di massimizzazione del profitto e sposando invece criteri di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, ovvero operare una valorizzazione immobiliare carismatica o sociale (vedi Giani, La valorizzazione del patrimonio ecclesiastico: attivare processi non occupare spazi, in “Testimoni” n. 10/2018).
Le indicazioni presenti nella Laudato si’ relative alla cura del creato e alla giustizia – che qui potremmo tradurre sinteticamente con la riduzione dell’impronta ecologica degli immobili ecclesiastici e con la necessità di condividere i beni con chi ha meno – contribuiscono a orientare la valorizzazione degli immobili ecclesiastici dei religiosi che ha fondamentalmente come obiettivo la produzione di beni immateriali coerenti con il carisma nel contesto della sostenibilità anche economica.[3]
Se, nei prossimi anni, le tendenze rilevate saranno confermate, assisteremo rapidamente a dei grandi cambiamenti perché l’abitudine di diminuire il numero dei membri delle comunità per non chiudere le case religiose non sarà più sostenibile. Ne abbiamo avuto conferma all’evento di presentazione degli Atti del convegno Dio non abita più qui? svolto presso la Pontificia Università Gregoriana il 27 febbraio 2020. Mons. Carlos Alberto Moreira Azevedo, delegato del Pontificio consiglio della cultura, ha annunciato in quella sede che il Pontificio consiglio della cultura e la Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica stanno organizzando per il mese di marzo 2021 un convegno dedicato al riuso dei conventi, motivandolo in relazione alla previsione di chiusura del 50% dei conventi nei prossimi 10 anni. A tale affermazione possiamo aggiungere che in Italia le case religiose si sono pressoché già dimezzate (-46%) tra il 1985 e il 2017.
Nella scorsa estate a Lucca, promossa dall’Università di Bologna congiuntamente con il Centro studi Cherubino Ghirardacci e il patrocinio del Pontificio consiglio per la cultura e dell’Ufficio per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della CEI, è stata realizzata la prima summer school dedicata al tema del futuro dei patrimoni monastici dismessi. Sono stati invitati esperti ed enti che sostengono il monachesimo: la Fondation des Monasterès, ente con oltre 50 anni di esperienza, la Fondazione Summa Humanitate, che in Spagna sta svolgendo per conto della Conferenza episcopale spagnola e il Ministero della cultura e dello sport un progetto di tutela del valore immateriale dei monasteri e la Fondazione dei monasteri. La summer school sarà replicata.
Risulta evidente la necessità di gestire al meglio il cambiamento in corso offrendo strumenti per comprendere i segni dei tempi e ridefinire il carisma nel mondo che viviamo.[4] Non stupisce che il papa invochi ripetutamente il ricorso al discernimento spirituale in relazione al carisma fondativo quale chiave per affrontare il presente e il futuro. A seguito di tale discernimento si dovranno impiegare strumenti di previsione e di gestione oggi disponibili con il dovere di adeguarli alle finalità dell’ente, che è sostenuto da motivazioni evangeliche e non ordinate “secondo il mondo”.[5] In proposito, si suggerisce la visione del seminario organizzato dalla UISG lo scorso 25 febbraio 2020 «Criteri di discernimento in campo economico», che ha avuto come relatrici suor Annunziata Remossio m.v.f. del CIVCSVA e suor Simona Paolini f.m.g.b. docente di diritto canonico.
Non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca: restiamo con le lampade accese e la gioia nel cuore senza farci trovare impreparati al momento dell’arrivo dello sposo.
[1]Frase proferita il 10 novembre 2015 durante la Visita pastorale a Firenze in occasione del V Convegno nazionale della Chiesa italiana.
[2] Dati forniti dall’Annuarium statisticum ecclesiae 2013, 2014, 2015, 2016, 2017. Abbiamo qui sommato i dati dei religiosi preti con quelli dei non preti.
[3] Si veda il § 79 degli Orientamenti Economia a servizio della carisma e della missione CIVCSVA (2018) e il mio commento allo stesso paragrafo apparso su “Testimoni” numero 10 del 2018 “La valorizzazione del patrimonio ecclesiastico, attivare processi non occupare spazi. Un percorso per far fruttare i talenti ricevuti. Come gestire i beni immobili ispirandosi al Vangelo e non al mercato immobiliare”.
[4]Meriterebbero una riflessione particolare le azioni intraprese dalla CIVCSVA durante il pontificato di papa Francesco in relazione alla gestione dei beni ecclesiastici e all’economia dei religiosi.
[5] Come esempio di programmazione si riporta che la conferenza dei religiosi della Baviera, che comprende tutti i religiosi – uomini donne contemplativi e non –, ha da tempo fatto eseguire uno studio sociologico ed economico per prevedere l’andamento dell’età dei suoi membri nei prossimi anni e anche la loro assistenza sanitaria.