L’arcivescovo Nichols
«Una grande tradizione del Regno Unito è quella di rispettare la volontà del popolo. Oggi abbiamo deciso su un nuovo corso che sarà impegnativo per tutti». Non ha atteso altro l’arcivescovo di Londra e presidente della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles che, alle 3.30 del mattino, a risultato Brexit ormai definitivo, ha postato il suo primo commento su Twitter.
Ma non si è fermato e, in una mattinata che ha visto svegliarsi sconvolta soprattutto la generazione dei più giovani, mons. Nichols ha continuato nella sua riflessione, fino ad una dichiarazione ufficiale sul sito dei vescovi con l’appello ad intensificare ogni sforzo per costruire comunità coese che non dimentichino la giustizia.
È la preghiera il viatico proposto dal cardinale: perché «il non facile compito della transizione possa funzionare con rispetto e civiltà, nonostante le profonde divergenze», «perché nel frattempo non venga a mancare il necessario supporto ai più vulnerabili, purtroppo facile bersaglio dei senza scrupoli» e soprattutto perché «nessuno di noi venga meno alle nostre migliori tradizioni di generosità e di accoglienza allo straniero», la grossa incognita migranti cavalcata, come in ogni altra zona d’Europa, dall’egoismo dei populisti.
«Siamo ad un nuovo passaggio della storia, difficile per tutti» dichiara Nichols come primate d’Inghilterra: «ora dobbiamo rimboccarci tutti le maniche per dimostrare di essere buoni vicini della casa europea e saper contribuire con coraggio agli sforzi internazionali per contribuire a risolvere i problemi più critici del nostro mondo».
Il primate J. Welby
Come già alla vigilia, di fronte alla rischiosa scommessa del referendum – che aveva visto diverse prese di posizione per il Remain tra cui quella del domenicano, padre Timothy Raccliffe o del vescovo irlandese Noel Treanor, già alla segreteria Comece «l’Europa non è un mostro di burocrazia come viene strumentalmente dipinta») –, piena identità di vedute viene espressa anche dal primate anglicano Justin Welby: «Dobbiamo rimanere ospitali e compassionevoli, costruttori di ponti e non barriere». Anche l’arcivescovo di Canterbury va subito col pensiero a quanti sono destinati a pagarne le spese in un futuro abbastanza prossimo chiedendo ai suoi concittadini di «restare fedeli ai principi che hanno ancorato al meglio la nazione»: «Molti di coloro che vivono in mezzo a noi e accanto a noi, vicini di casa, amici e colleghi di lavoro provengono da lontano e alcuni di loro avvertono un profondo senso di insicurezza. Dobbiamo rispondere loro con l’offerta di rassicurazione, facendoci carico della nostra società altamente diversificata, e affermando che il contributo di tutti e di ciascuno è unico e indispensabile alla sua costruzione».
Il vescovo Ch. Hill
«Sono profondamente dispiaciuto per il risultato, ma anche per la modalità con cui si è svolto questo referendum», è il tono della dichiarazione di un altro vescovo anglicano, Christopher Hill, presidente della Conferenza delle Chiese europee (KEK). «Non c’è dubbio che esistano molti problemi da risolvere, dobbiamo anche riconoscere con onestà che molte delle accuse, in particolare quelle relative alla questione migranti, determinanti per l’esito del Referendum, non hanno alcun rapporto con la realtà e il loro tono è stato spesso più isterico che razionale, soprattutto tra i partiti populisti e in alcuni organi di stampa».
Il vescovo J.-P. Gallet
Sul versante del Continente non si è fatto attendere il commento dell’arcivescovo di Strasburgo, uno dei due poli delle istituzioni europee: sul sito della Conferenza episcopale francese mons. Jean-Pierre Grallet, che è anche membro della Commissione dei vescovi accreditati presso la UE, registra il «sentimento di tristezza che i cattolici si trovano oggi a vivere di qua e di là della Manica». Per il pastore della cittadina “europea” per eccellenza, si tratta di «un momento estremamente delicato per la costruzione di una comune identità europea dopo secoli di divisioni», ma chiede grande realismo: «non si può costruire l’Europa senza i popoli» e adesso siamo tutti chiamati a individuare come andare avanti su «una strada di cui non conosciamo né struttura, né lunghezza».
Papa Francesco
Papa Francesco, sull’aereo che lo portava in Armenia, ha risposto prudentemente ad una domanda dei giornalisti: «Ho saputo dell’esito finale qui sull’aereo, perché quando sono uscito di casa ho solo sfogliato Il Messaggero e non era ancora definitivo. È stata la volontà espressa dal popolo e questo chiede a tutti noi una grande responsabilità per garantire il bene del popolo del Regno Unito e anche il bene e la convivenza di tutto il continente europeo».
Ma evidentemente il suo discorso al Parlamento europeo a Strasburgo il 25 novembre 2014 non ha fatto breccia. E a ben guardare, non solo tra i cattolici inglesi.