Piccola grammatica dei congedi amorosi

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copertinaUn libro di cui consiglio vivamente la lettura ad amici e lettori di ogni genere, e di cui auspico vivamente il passaparola, è Addio di Carola Barbero, una “piccola grammatica dei congedi amorosi”, che dalla A (di addio, ambiguità, amicizia, angoscia) giunge fino alla V (di verità, quella davanti alla quale non si può più rinviare le proprie debite conclusioni su una relazione di cui grondiamo ancora sangue e lacrime), un piccolo trattato esibito con acribia e generosità di riflessioni sul tema della fine della relazione amorosa.

Se lo stile appare compassato e scientifico, l’atteggiamento di fondo dell’autrice è divertito, ironico, ficcante, sfizioso, teso a far luce su ogni angolo oscuro del rapporto a due, senz’alcun pudore o tentativo di fuga dalla realtà.

Il testo compie un’analisi che fa bene al lettore meglio di lunghe sedute psicanalitiche, ma anche e soprattutto si configura come un prezioso esercizio letterario che ha l’ardire di mettere insieme, con particolare scioltezza e noncuranza, la cultura “alta” con quella “bassa”, alternando citazioni colte con esempi presi dal mondo popolare (un libro pop, come un giovane odierno recensore noterebbe stucchevolmente, provocando il mio immediato disgusto), tanto da creare un clima di conversazione brillante e piacevole, succosa e gustosa. Al congedo dall’opera, resta l’impressione di aver incontrato un livre de chevet, un libro del cuore, un piccolo capolavoro colto e spassoso, nazionalpopolare (secondo il magistero gramsciano).

Più che di una ricognizione critica, mi soffermerò su riflessioni che la lettura del testo mi ha suggerito. In primis, che l’amore a due sia una truffa, un inganno, un topos culturale consunto, basato su una sostanziale ambiguità, sulla mediazione di due modi di essere, che non assume mai una forma unica e, se la riveste, si tratta di una pura illusione, di una folie à deux. L’amore consisterebbe in una cosa indistinta, né carne né pesce, di cui, quando eravamo presi nel turbine passionale, ci eravamo fatti un’idea sbagliata: una commistione di autoinganno e di inganno (dell’altro/a) la cui somma contribuiva a rendere unico, magico e altissimo quel rapporto che invece era roba ordinaria, sostenuta solo dalla nostra convinzione errata, dal nostro desiderio di amare l’amore, quello sì spontaneo, innocente, sincero, che ci accomuna tutti, belli e brutti, colti e ignoranti.

C’è una sfrontatezza della Barbero nel mescolare l’alto col basso, che non è quella contemplata da Eco, il quale intendeva sconvolgere i benpensanti storici della traduzione letteraria italiana, sbattendogli in faccia, con Il nome della rosa, una commistione esagerata di noir romanzesco storico-filosofico, per la pruderie propria del colto bizzarro enciclopedista che decostruisce le tessere di un mosaico per ricavarne una nuova figurazione possibile, in un gioco raffinato e provocatorio. Se quello di Eco vuol essere un insulto alle convenzioni letterarie, aristocratico e profanatorio, nella sfrontatezza della Barbero al contrario si mostra un atteggiamento letterario classisticamente femminile, puntiglioso, dispettoso, vendicativo nei confronti di un possibile colto lettore maschilista che viene sfigurato da un’acidità volutamente nazionalpopolare. Certo, l’Altro letterario dell’Autrice brilla di luce riflessa. L’addio della Barbero consiste in uno schiaffo ben dato, lo schiaffo della Immaginaria Scrittrice che quando diceva all’altro “ti amo” lo faceva per commiserazione, per pietà; lo faceva anche per “bellezza”, per sottolineare (con un manrovescio etico) che si è capaci di apprezzare e di godere di un qualcosa che non c’è più (e che non c’è mai stato, in verità), una bellezza che resta nelle forme di una realtà interiore e solo personale e indivisibile (l’altro ne è per sempre escluso, anche perché non è in grado di concepirla).

Un discorso sull’addio amoroso, un monologo serrato e acuto, avvolgente e coinvolgente, che raggiunge (e vendica) ognuno di noi, un testo universalmente apprezzabile. La Barbero erige una cattedrale all’avventura amorosa, al coraggio di ficcarsi in vicoli ciechi. L’amore che abbiamo vissuto concretamente, non solo nella sua finzione, esalta le qualità della persona. L’altro forse è stato solo un mezzo per l’Amore, per farci innamorare, e farci vivere giorni irripetibili. La Vita che si serve di noi come di semplici mezzi, di due persone inconsapevoli per raggiungere il suo scopo, che è quello di nascere, di esaltarsi per poi morire. Noi siamo solo corpi, sensi, parole, gli effetti dell’Amore. Ecco, se fossimo consapevoli di tutto questo, non ci sarebbero congedi traumatici, e si verserebbero solo le propizie lacrime liberatorie che bagnando il volto rischiarano la vista e ci fanno vedere un mondo più pulito, nuovo, pronto ad accogliere nuovi amori, proprio come accade al tuffatore quando riemerge dall’acqua e torna a vedere un mondo completamente diverso.

Carola Barbero, Addio. Piccola grammatica dei congedi amorosi, Marietti 1820, Bologna 2020, pp. 224, € 16,00. Recensione apparsa sul blog delle Edizioni Noubs il 18 marzo 2020.

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