A Zaporizhia, alle porte della regione che è teatro di guerra, la gente aspetta sotto un insolito sole cocente l’arrivo del segretario di Stato di papa Francesco, nel cortile della residenza vescovile. Le guardie del corpo – si tratta di una visita ufficiale – non sanno se trattenerli o lasciarli avvicinare. Il cardinale stesso va verso di loro: molti piangono, in silenzio, molti chiedono una benedizione (un segno di croce e una mano posata sulla testa). Una donna gli dice: «Ma perché, perché questa guerra?».
Il cardinale la guarda, non sa rispondere e gli occhi gli si riempiono di lacrime. Ricorderà questo episodio spesso nel corso della visita: con i politici, con la stampa, nei colloqui personali. Non ha saputo, non ha potuto rispondere, perché una ragione plausibile non c’è e quella vera farebbe troppo male. È venuto a portare l’abbraccio di papa Francesco, la sua solidarietà, molto prima che il denaro raccolto per soccorrere quelle persone, un tempo forse agiate e ora ostaggio del nulla.
Un’ora, un’ora e mezza e il cardinale non si distacca da loro, da ciascuno di loro. Accarezza i bambini, che sembrano allegri e non sanno – ma lo sanno bene gli adulti – quali traumi hanno turbato i loro piccoli pensieri (qualcuno ha dimenticato come si legge e si scrive, o non riesce a dormire senza incubi). Eppure il cardinale è colpito da un altro aspetto: la voglia che questa gente ha di ricominciare a vivere, e le mille forme di solidarietà reciproca che esprime: molti sono volontari di se stessi, vogliono darsi da fare, sostenere i più deboli come essi stessi sono sostenuti. Una grande dignità, la chiama il cardinale. Qui c’è tutto il senso di questa visita: nei silenzi e nella commozione più che nelle parole. Esiste una diplomazia delle lacrime e delle carezze? Forse è solo Vangelo.
Mons. Claudio Gugerotti è nunzio in Ucraina
Testo raccolto da Francesco Strazzari
Nessun commento