Cosa suggerisce la teologia di J.B. Metz per i nostri giorni segnati dal coronavirus? Torna di viva attualità la sua riflessione sull’“ecumene della compassione”.
Metz fa parte della generazione dei teologi tedeschi del periodo post-bellico. Nato il 5 agosto 1928 in una cittadina della Baviera, è morto il 2 dicembre 2019. Certamente uno dei teologi cattolici più influenti. Fondò con Rahner, Congar, Küng, Schillebeeckx la rivista Concilium per dare impulso alle riforme del concilio Vaticano II.
Nel 1963 fu nominato professore di teologia fondamentale alla Facoltà cattolica di teologia dell’Università di Münster, in Vestfalia, fino al suo pensionamento nel 1993. Nel 1968 s’impose al mondo teologico con il trattato Sulla teologia del mondo, nel contesto del dibattito su una ridefinizione dei rapporti tra Chiesa e mondo, inteso come realtà sociale nel divenire storico. Tema ripreso in La fede, nella storia e nella società (1977). La sua “teologia politica” veniva così inserita nel progetto di una teologia fondamentale.
L’esperienza del secondo conflitto mondiale
Metz fu segnato dalla seconda guerra mondiale, alla quale prese parte, verso la fine, all’età di sedici anni e fu mandato al fronte. Per capire le sue inquietanti riflessioni sulla passione dell’umanità, occorre riferirsi alla sua esperienza personale.
Il comandante lo mandò a portare un messaggio a un altro comandante sul fronte renano. Attraversò una zona bombardata dagli Alleati: edifici in preda alle fiamme e morti. Ritornato all’accampamento, lo trovò decimato dalle incursioni aeree. I suoi commilitoni erano tutti morti.
Fu catturato e imbarcato per gli Stati Uniti, dove, come prigioniero di guerra, venne mandato a lavorare nelle fattorie della Virginia e del Maryland. Mi parlava spesso della nostalgia di casa e dei suoi pianti. La padrona della fattoria lo consolava come fosse suo figlio. Fu una delle sue “fonti” delle riflessioni sui momenti tragici della storia umana.
Ma un’altra fonte la si trova nei suoi interrogativi: dov’era la voce dei teologi tedeschi sotto il nazionalsocialismo, con il filosofo Heidegger in testa? Che ruolo svolsero le Chiese al tempo di Hitler? In che modo i cristiani fecero i conti con l’Olocausto?
Furono i fallimenti e le pazzie del regime neo nazista prima della guerra a spingere Metz a sviluppare la sua teologia politica, partendo dalla sua tesi in filosofia su Martin Heidegger.
Studente di Rahner, scrisse una tesi in teologia che fu pubblicata con il titolo di Christliche Anthropozentrik. Rahner e Metz rimasero legati da una profonda amicizia. I suoi primi scritti riflettono la teologia di Rahner, particolarmente sull’antropologia e sul rapporto tra Chiesa e società. Poi Metz sviluppò una sua riflessione, criticando alcuni elementi della teologia trascendentale di Rahner.
“Memoria passionis”
Delle opere di Metz, in questo periodo di coronavirus, che continua a mietere vittime e a incutere paura, va ricordata l’opera Memoria passionis. Un ricordo provocatorio nella società pluralista, uscita in tedesco nel 2006 e in italiano nel 2009. Metz parla della «memoria pericolosa» delle vittime della sofferenza e dell’ingiustizia e afferma che la memoria della sofferenza di Gesù e della sofferenza di altre vittime dell’ingiustizia è un grido a Dio.
La sofferenza è presente nel mondo dovunque. L’epidemia in breve tempo è diventata pandemia. Tutto il mondo ne è coinvolto e si alzano dalle varie comunità cristiane preghiere e grida: perché avviene questo? Il teologo catalano, Victor Codina, si interroga: Perché Dio permette la pandemia e tace? È un castigo? Dobbiamo chiedergli miracoli per arrestarla? Dov’è Dio?
Metz si aggrappa alla figura di Gesù Cristo, il cui comportamento era rivolto non tanto al peccato degli uomini, ma al loro dolore. La sensibilità per il dolore degli altri – osserva Metz – segna il «nuovo stile di vita» di Gesù. Gesù parlava dell’indivisibile unità dell’amore di Dio e del prossimo: passione di Dio come compassione (Mitleidenschaft).
La compassione è la parola chiave per affrontare le tragedie del tempo «Compassione come sofferenza, come partecipe percezione del dolore altrui, come pensiero attivo della sofferenza degli altri, come tentativo di vedersi e valutarsi con gli occhi degli altri, degli altri sofferenti» .
Il coronavirus sta mettendo in atto un’ecumene della compassione? Aiuti vengono dalla Cina, dalla Russia, da Cuba. Medici e personale di diverse religioni o agnostici, atei, si trovano a contatto con credenti: li accomuna e unisce la compassione.
Tutte le grandi religioni dell’umanità sono concentrate intorno al problema della sofferenza. Potrebbe essere anche la base per una coalizione delle religioni per opporsi alle cause della sofferenza.
C’è di più – osserva Metz –: l’uomo di oggi naviga sempre più nei sistemi, vuoti di umanità, dell’economia, della tecnica, della tecnologia culturale e informatica. Questa ecumene della compassione non sarebbe soltanto un puro e isolato evento religioso, ma anche politico, perché vengono percepiti e vissuti momenti drammatici della storia.
«La compassione non è un vago romanticismo pastorale, ma è una virtù quotidiana, una virtù base dei cristiani: è espressione della filiazione divina».
Metz conclude la sua riflessione sull’ecumene della compassione: «Che cosa succederebbe se i cristiani, nei loro distinti mondi, osassero questo esperimento della compassione, non importa se in forma modesta, purché sempre nuova, indefessa, e così alla fine si pervenisse a una ecumene della compassione tra tutti i cristiani: che cosa succederebbe? Non sarebbe questa una nuova luce proiettata sulla nostra terra, su questo mondo globalizzato e tuttavia così dolorosamente lacerato?».